I nuovi Bartleby: riscritture del dissenso in Gianni Celati e Daniel Pennac

Andrea Gabban

Nel 1853, con la pubblicazione del suo romanzo breve - o racconto lungo che dir si voglia (cf. McCall 2002: vii) - Bartleby, The Scrivener, Herman Melville creava una figura letteraria fondamentale per la sua capacità di affermare un dissenso netto ma non violento nei confronti della società del tempo.

Il Novecento, secolo dominato per lo più da rivolte armate e sanguinose repressioni, ha spesso guardato a questo eccezionale impiegato di Wall Street come al modello di una terza via che ovviasse alle atrocità commesse. Ciò ha prodotto vere e proprie riscritture della novella melvilliana, che sono al contempo sue interpretazioni e attualizzazioni. Per sottolineare il carattere internazionale dell’influenza di Melville, analizzeremo qui le versioni di Gianni Celati e Daniel Pennac.

 

1. Baratto, o La formula del silenzio

2. Non aggravare l’entropia

3. Conclusioni

4. Bibliografia

 

 

1. Baratto, o La formula del silenzio

 

Attorno alla metà degli anni ‘80, Gianni Celati portava avanti in parallelo le sue carriere di professore all’Università di Bologna e di scrittore. Questa doppia attività lo condusse alla pubblicazione quasi contemporanea delle Quattro novelle sulle apparenze (1987) e di una traduzione di Bartleby lo scrivano (1991).

La consonanza temporale diventa ancora più precisa se consideriamo che, come afferma lui stesso, la traduzione e il saggio introduttivo al racconto di Melville sarebbero stati elaborati rispettivamente negli anni accademici 1984-85 e 1986-87 con la collaborazione dei suoi studenti (Celati, 1991: v). Tale coincidenza legittima una lettura combinata dei due testi, che arriva a sottolineare il carattere di riscrittura melvilliana della prima delle Novelle di Celati, intitolata Baratto (Celati 1987: 7-36).

Il plot del racconto è abbastanza lineare: dopo una partita di rugby, il professore di ginnastica Baratto decide senza alcuna ragione apparente di chiudersi in un silenzio ostinato, senza più dire una parola, e arriva persino ad addormentarsi nudo negli spogliatoi della scuola, perdendo così il lavoro. La moglie, esasperata da questo comportamento, si trasferisce a Lione per aiutare il fratello nella gestione del suo ristorante e Baratto, ritrovatosi solo, compie un giro per l’Europa in moto, facendo amicizia a modo suo con una comitiva di turisti giapponesi. Tornato a casa, passa sempre più tempo con una coppia di anziani che abita nel suo stesso condominio, fino a trascorrere intere serate nel loro appartamento. Qui, attorniato da una serie di strani personaggi, decide finalmente di ricominciare a parlare.

parallelismi con il racconto di Melville cominciano già nello stringato incipit, in cui il narratore fornisce in modo piuttosto strano l’argomento della storia:

 

Racconterò la storia di come Baratto, tornato a casa una sera, sia rimasto senza pensieri, e poi le conseguenze del suo vivere da muto per un lungo periodo (Celati 1987: 7).

 

Una simile introduzione, seppure in forma più distesa e tradizionale, è anche quella che ci viene data dall’avvocato-narratore in Melville. Dopo aver introdotto gli scrivani come figura nuova in letteratura, egli afferma l’eccezionalità di Bartleby in quanto uomo di cui le cronache tacciono completamente: 

 

But I waive the biographies of all other scriveners for a few passages in the life of Bartleby, who was a scrivener the strangest I ever saw or heard of. [...] I believe that no materials exist for a full and satisfactory biography of this man. It is an irreparable loss to literature. Bartleby was one of those beings of whom nothing is ascertainable, except from the original sources, and in his case those are very small. What my own astonished eyes saw of Bartleby, that is all I know of him, except, indeed, one vague report which will appear in the sequel (Melville 1853: 4).

 

Bartleby e Baratto sono accomunati quindi da un totale rifiuto del linguaggio. Se nell’uno il silenzio si riduce alla formula «I would prefer not to», nell’altro si radicalizza in un mutismo totale. Le loro esperienze sono però sostanzialmente equivalenti, in quanto il muro che Baratto si costruisce attorno tacendo non è affatto più spesso o impenetrabile di quello dello scrivano di Melville. Infatti, la sua ossessiva ripetizione della stessa frase, con pochissime e insignificanti variazioni, nega esattamente allo stesso modo la comunicazione con l’altro.

Secondo Celati, a rendere straniante questa frase è la mancanza di intenzioni con cui Bartleby la pronuncia, come se non «ci fosse niente da discutere, nessun bisogno di accordarsi meglio con gli altri, nessuna minaccia di essere fraintesi» (Celati 1991: x), oppure come se lo scrivano fosse dominato da una rassegnazione che lo porta ad azzerare la sua vita interiore, riversando così tutto se stesso in ciò che fa (cf. ibidem: ix).

Ugualmente, come il narratore stesso ha affermato, Baratto è rimasto senza pensieri, e dunque la sua storia si esaurisce in una cronaca delle sue azioni. Il personaggio si riduce così a un fantasma, una mera presenza che infesta la scuola e casa propria, turbando i presenti e costringendoli a una separazione che consiste di volta in volta nell’allontanarsi o nel tentare di cacciare il fastidioso invasore della loro tranquillità.

Anche l’affermazione dell’avvocato di non conoscere altro di Bartleby che quanto aveva visto con i propri occhi obbedisce a questa logica. Ciò che colpisce il lettore è che:

 

Bartleby ci fa sentire il carattere incondizionato d’uno stato di presenza. E il narratore ci promette subito qualcosa del genere - non un personaggio con frastornanti garbugli psicologici da seguire, ma l’opposto, una apparizione, il mostrarsi di una presenza (ibidem: xv-xvi).

 

In quanto apparizioni, sia Bartleby che Baratto suscitano un sentimento ambivalente in chi sta loro attorno. All’evidente fastidio si aggiunge, infatti, una velata ammirazione, dovuta al distacco dal mondo che i due strani personaggi testimoniano. L’identificazione di Bartleby con una sorta di Cristo di Wall Street è evidente già dal linguaggio biblico caratteristico di Melville. Tuttavia, riflettendo sulla condizione di Baratto, anche il preside della scuola dove lavora afferma che:

 

è uno che non si dà pensieri, né pensiero per i pensieri degli altri su di lui. Vuoi vedere che quell’individuo l’ha toccato la grazia? (Celati 1987: 23).

 

Qual è, però, la causa di tutto questo turbamento, della forte reazione che Bartleby e Baratto suscitano in chi sta loro attorno? Celati crede che il rifiuto di Bartleby di scrivere sia usato da Melville per attirare l’attenzione del lettore su un problema di carattere emotivo. In particolare, Bartleby causa, già con il suo arrivo, un cambiamento nell’ufficio dell’avvocato: la sua mera presenza porta un’oscillazione nello stile del narratore, che passa da un ampio periodare di ascendenza ciceroniana a frasi brevi e laconiche che ricordano e anticipano al contempo la formula del dissenso del suo impiegato. È in questo repentino cambio di stile che va cercata, secondo Celati, la ragione della fortuna di Bartleby come classico della letteratura americana e mondiale:

 

il grande perturbamento che Bartleby introduce nella scrittura dipende [...] dal poco, dal niente, su cui si può sempre sopravvivere, e dall’aridità che le voci dell’anima devono una volta o l’altra affrontare (Celati 1991: xxii).

 

Allo stesso modo, anche Baratto porta con sé un nuovo registro nel canone della letteratura italiana. Ispirandosi a Italo Calvino, Celati proponeva, già in alcune sue opere precedenti, una poetica del semplice, capace di affrancare la lingua letteraria dal grande modello trecentesco di Dante, Petrarca e Boccaccio. La pressione esercitata dai grandi maestri delle origini, infatti, era avvertita nel Novecento come una barriera che, a causa della sua forte caratterizzazione formale, creava uno iato tra l’esperienza letteraria e quella della vita di tutti i giorni. La lingua di Baratto è invece totalmente identica al parlato contemporaneo, con tanto di anacoluti e scorrettezze grammaticali, e risulta così una voce nuova per il lettore italiano, abituato com’è al tono libresco della tradizione.

Ciò che differenzia marcatamente i due personaggi, però, è il risultato a cui approdano. Bartleby finisce per morire d’inedia in prigione, seppure trovi in essa una sepoltura realmente faraonica, secondo la descrizione melvilliana che vorrebbe il penitenziario di New York simile alle piramidi di Giza. D’altro canto, Baratto riacquista la parola, in modo non meno improvviso e misterioso di quanto non l’avesse abbandonata.

Nell’esito felice garantito al suo protagonista, Celati riversa la propria esperienza degli anni precedenti. Infatti, dopo la trilogia dei Parlamenti buffi, pubblicata tra il 1972 e il 1978, anch’egli si era chiuso in un silenzio meno netto sul piano personale, ma altrettanto sorprendente su quello letterario, che lo aveva portato a non pubblicare più nulla fino al 1985, anno di uscita dei racconti di Narratori delle pianure.

Baratto-Celati, dunque, sembra aver trovato una ragione per uscire dal suo stallo comunicativo e mitigare l’esperienza di dissenso nei confronti della società. Non si tratta, però, di una sorta di ritorno all’ordine. Se dell’insegnante di ginnastica non sappiamo più nulla, fatta eccezione per la ricomparsa del suo dolore al menisco (cf. Celati 1987: 36), di Celati possiamo dire che la seconda fase della sua produzione letteraria - inaugurata due anni prima e profondamente influenzata dalla fotografia di Luigi Ghirri - si caratterizza per un’attenzione alle problematiche ambientali e al territorio emiliano, in netto contrasto con l’inquinamento selvaggio e la globalizzazione sregolata.

 

2. Non aggravare l’entropia

 

Contrariamente a quanto accade per Celati, Daniel Pennac menziona esplicitamente Bartleby, The Scrivener per tutto il corso del suo ultimo libro, Mon frère (2018). L’opera, di carattere marcatamente autobiografico, alterna, dopo un breve capitolo introduttivo, trenta coppie di capitoli, dei quali il primo è costituito integralmente da una citazione della traduzione francese di Pierre Leyris del racconto di Melville; mentre il secondo riporta un episodio della vita di Bernard, compianto fratello dell’autore.

Bartleby diventa qui, oltre che un alter ego del protagonista, una sorta di filo rosso attorno al quale si snoda l’intera narrazione. Pennac, infatti, spinto dal dolore per la morte di Bernard, dichiara di aver riletto la storia dello scrivano di Wall Street, decidendo poi di organizzare una lettura di passi scelti a teatro. Le citazioni che costituiscono i capitoli pari di Mon frère, dunque, sono il risultato del collage operato dallo scrittore francese per tale occasione.

D’altro canto, questi passi melvilliani si trasformano in un’occasione per ricordare ulteriormente Bernard, destinatario ideale della lettura-spettacolo del fratello, e presente anche quando costui non sembra fare altro che riportare le reazioni del pubblico. Ne risulta una celebrazione del rapporto tra i due e insieme della potenza del racconto di Melville, capace di coinvolgere emotivamente anche persone che abitano dall’altra parte dell’Atlantico a 150 anni di distanza.

In particolare, Pennac insiste su come il suo uditorio fosse totalmente ignaro della storia di Bartleby - a tal punto da non essere neppure in grado di pronunciarne correttamente il nome - e si fosse recato a teatro sospinto dalla fama di cui lo scrittore francese gode in patria. Subito, però, le cose cambiano: è Bartleby a prendersi tutta la scena, scatenando nella platea reazioni che fanno pensare più al pubblico irrequieto dei tempi di Shakespeare che a quello decisamente più compassato cui siamo abituati.

Nella mente di Pennac, tutto nel racconto di Melville si confonde con i ricordi di Bernard, che risalgono talvolta fino all’infanzia, a cominciare dalla celebre formula, che Celati considerava speciale per la sua eccessiva formalità. Allo stesso modo, Pennac ricorda come da bambino gli capitasse spesso di chiedere al fratello maggiore di preparargli qualcosa da mangiare. Ciò finì per originare tra di loro una sorta di gioco per cui la richiesta veniva esaudita solo se formulata con toni comicamente aulici, sfiorando talvolta il panegirico.

Più spesso, però, alla nostalgia lascia il posto la tristezza: Bernard morì di setticemia, a causa di un errore medico durante un’operazione alla prostata che stava subendo per la seconda volta. Inoltre, anche nei momenti in cui godeva di buona salute fisica, lo spettro della depressione aleggiava attorno a lui, portandolo a tentare il suicidio. Quel momento segnò una svolta nell’immagine che Pennac si era fatto del fratello. Bernard, infatti, era un punto di riferimento per il piccolo Daniel, fino a essere idealizzato da questi, che ancora da adulto lo immaginava come il marito e il padre perfetto.

Al contrario, mentre Bernard era in convalescenza dopo il tentativo di togliersi la vita, Pennac dovette ascoltare lo sfogo della cognata, che si lamentava di come il suicidio non avrebbe fatto altro che portare all’estremo una situazione già esistente, in cui lei era lasciata sola a occuparsi della casa e dei figli sia sotto l’aspetto economico che sotto quello emotivo. Tale distacco esisteva anche tra gli stessi coniugi, dal momento che avevano deciso ormai da tempo di dormire in camere separate.

Questo tragico avvenimento condusse Pennac ad associare mentalmente il fratello con Bartleby in modo ancora più marcato: la moglie di Bernard, infatti, si lamentava di tutte le cose che il marito preferiva non essere - un compagno amorevole, un padre affettuoso, un lavoratore che fatica per il benessere dei suoi cari, - esattamente come l’impiegato di Wall Street preferiva evitare di svolgere mansioni come la rilettura dei documenti copiati, o di compiere gesti quali lasciare l’ufficio al termine dell’orario di lavoro.

Il male di vivere di cui soffriva Bernard si va così ad associare a una sua formula personale, quella con cui, nel capitolo introduttivo, era stato presentato al lettore. Un giorno, viaggiando in autostrada tra Nizza e Avignone, Pennac si vide sorpassare da una Ferrari nuova di zecca che sfrecciava in netto contrasto con la più modesta vettura di seconda mano dello scrittore. Proprio questo avvenimento scatenò il ricordo del fratello, che amava ripetere a Daniel di non aggravare l’entropia

Per Bernard, questa grandezza fisica - che sottolinea il lento ma inesorabile cammino verso la morte termica dell’universo - si trasforma in un imperativo morale teso a riutilizzare ciò che è già stato usato, anziché affannarsi per accumulare oggetti nuovi che non servirebbero ad altro se non accelerare il viaggio verso l’apocalisse.

Egli era ben consapevole della presenza della morte e non provava, come fanno in molti, a dimenticarsene per vivere più sereno, spinto in questo anche dall’Alzheimer che aveva colpito l’ultimo dei fratelli, più giovane sia di Daniel che dello stesso Bernard. Descritto come il più generoso della tribù, era stato proprio quest’ultimo a farsi carico dell’assistenza di cui il malato aveva bisogno, senza sottrarsi neppure da visite quotidiane alla clinica specializzata in cui era ricoverato.

Questo contatto ravvicinato con la morte diede origine a ulteriori tensioni coniugali. A un pranzo in famiglia alla presenza di Pennac, una mosca si posò sul naso di Bernard, che non tentò in alcun modo di scacciarla, commentando anzi divertito che il povero insetto lo aveva scambiato per un cadavere. La battuta scatenò le ire della moglie, che si alzò in piedi furiosa e gridò al marito che era odioso. Bernard, da parte sua, non tentò neppure di difendersi, se non mormorando di non essere affatto odioso, come se non solo litigare, ma semplicemente tentare di giustificarsi fosse un atto insensato, un ennesimo tentativo di aggravare l’entropia.

Le recriminazioni della moglie di Bernard non si interruppero neppure dopo la morte del marito. Pennac racconta che una sera, mentre la riaccompagnava a casa dopo una riunione di famiglia, dovette sopportare l’ennesimo sfogo della cognata, ormai esasperata come l’avvocato di Wall Street verso la fine della novella di Melville. In particolare, quella volta il problema era costituito dalle precarie condizioni economiche in cui Bernard aveva lasciato la famiglia al momento della sua morte, aggravate peraltro dalle ingenti spese del funerale. A quel punto, Pennac decise di passare davanti al cimitero in cui erano sepolti sia Bernard che il fratello minore - a sua volta morto di dolore per l’inevitabile interruzione delle visite - e costringere la cognata a dire qualcosa di bello sul marito. Dopo averci pensato a lungo, tutto ciò che le venne in mente fu di sottolineare come lei non l’avesse mai tradito.

Le uniche persone con cui questo moderno Bartleby, incapace di adeguarsi ai meccanismi più profondi della società, riusciva a mostrare il proprio affetto erano proprio i fratelli. A chiudere il mémoir, accompagnato da una fotografia in cui Bernard a otto anni regge il piccolo Daniel mentre i due stanno seduti su un muretto, è l’ennesimo ricordo d’infanzia. La protezione che Pennac ha sempre ricevuto dal fratello si riconduce all’episodio in cui, tornato da scuola dopo aver ottenuto brutti voti, si lamentava di essere un idiota. Bernard, allora, si limitò ad alzare lo sguardo e assicurare il fratellino che no, non era un idiota, o lui lo avrebbe saputo.

 

3. Conclusioni

 

I due testi presi in esame, pur essendo molto diversi, mostrano la vitalità di Bartleby e della scrittura di Melville, sia che venga impiegata per segnare una svolta di poetica - come fa Celati, - sia che invece la si utilizzi come meccanismo per ricordare il proprio fratello, forse troppo fragile per lo stile di vita dell’Occidente. 

Ciononostante, Baratto e Bernard sono due figure che ci offrono un’alternativa a quest'approccio alla vita, così radicato in noi da sembrare quasi inevitabile. Non tentano, però, di nasconderne le difficoltà, che consistono soprattutto in una difficile relazione con gli altri, specie con gli affetti più cari. Infatti, ambedue i personaggi, pur non essendo celibi come Bartleby, finiscono per vivere il rapporto conflittuale con le mogli come un celibato di fatto.

Infine, appare evidente come il dissenso sia per Celati e Pennac intimamente legato sì al linguaggio - seguendo in questo la formula di Bartleby «I would prefer not to» (Melville 1853: 10), - ma anche alla difesa dell’ambiente. Vale la pena notare che ambedue gli scrittori approdano a un messaggio che si pone in netto contrasto con le politiche ambientali più o meno cieche a loro contemporanee. Se Baratto, infatti, si colloca all'inizio del “periodo emiliano” di Celati, sempre più attento al territorio padano in cui ha trascorso gran parte della sua vita, Bernard non finisce mai di ricordare al fratello Daniel - e, attraverso lui, a tutta l’umanità - di non aggravare l’entropia e riciclare quanto è già stato usato.

 

4. Bibliografia

 

Celati, Gianni (1987), Quattro novelle sulle apparenze, 6a edizione, Feltrinelli, Milano 2012 (1a edizione, 1987).

― (1991), Introduzione e traduzione di H. Melville, Bartleby lo scrivano, 21a edizione, Feltrinelli, Milano 2018 (1a edizione, 1991).

McCall, Dan (ed.) (2002), Melville’s Short Novels, W.W. Norton, New York 2002.

Melville, Herman (1853), Bartleby, The Scrivener, in McCall 2002: 3-34.

Pennac, Daniel (2018), Mon frère, Gallimard, Paris 2018.

 

Foto 1 da goodreads.com (data di ultima consultazione: 30/08/2021)

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