Intervista a Laura Perrotta

Conosciamo Laura Perrotta, laureata in Biologia Molecolare,dove ha conseguito anche un PhD,e oggi Fundraising Director di Medici Senza Frontiere. Laura ci ha parlato del suo rapporto con l'Alma mater.

In che modo l’ambiente universitario ha contribuito all’evoluzione del tuo percorso? 

Il periodo di formazione all’università è stato ed è il più importante della mia vita. Innanzitutto per la formazione tecnica e teorica che offre ma soprattutto perché si impara a stare con gli altri, in maniera diversa da come si fa prima di allora.  L’università è il primo momento della vita in cui non si è protetti (come accadeva a scuola) e ci si trova a mettersi in discussione: questo è l’aspetto più formativo a mio avviso. Inoltre si tratta di una formazione costante, in cui giorno dopo giorno impari qualcosa di nuovo su te stessa e sulle persone che ti circondano. Bologna è un crocevia di culture e realtà internazionali che permettono di instaurare un dialogo e un confronto continuo, senza dare nulla per scontato.  Mi sembra banale dirlo ma è proprio vero che le relazioni che stringi durante il periodo universitario sono quelle che porterai con te per tutta la vita. La dimensione collettiva, però, è stata forse la più importante. L’amore per l’esperienza universitaria è talmente grande, come la ricchezza che ha portato alla mia vita, che oggi dopo una laurea a ciclo unico , un dottorato e due master mi sono iscritta alla Bologna Business School per seguire il e-HMBA, un MBA erogato in inglese, che si svolge in parte da remoto.  

Il tuo percorso formativo ha incontrato l’Università di Bologna nelle lauree triennale e magistrale di biologia Molecolare ma poi ha avuto una virata interessante verso i diritti umani. Come descriveresti il tuo percorso? 

Sono sempre stata innamorata del mio lavoro e ho sempre pensato che la biologia sarebbe stata la mia vita. Durante il dottorato di ricerca in biologia mi sono accorta di non essere brava in laboratorio e mi sono confrontata per la prima volta con i miei limiti. Così ho cominciato a guardarmi intorno. Il primo passo mi ha portata al di fuori dell’ambiente universitario, all’interno di una realtà - Italia Nostra - che si occupa della gestione di un parco urbano a Milano, un perfetto link tra divulgazione ambientale e approccio attivista. Questa esperienza mi ha permesso di conoscere in maniera più approfondita il mondo no profit che vedevo lentamente allinearsi alle mie inclinazioni personali tanto da indurmi, poco dopo, a iscrivermi a un master dell’Università di Roma Tre in diritti umani e cooperazione internazionale.  

La tua esperienza ci ricorda quanto le strade che scegliamo non siano vincoli ma nuove porte per altri percorsi. Cosa ti ha permesso di affacciarti al mondo umanitario avendo alle spalle un background scientifico? 

Me stessa e le mie scelte. Durante il mio percorso universitario ho fondato un’associazione studentesca - Bios - con cui organizzavamo seminari su temi a metà strada tra la biologia e l’etica.  Sempre durante il periodo universitario ho collaborato con un’associazione - Bologna Guatemala - con cui ho viaggiato e conosciuto mondi e realtà politiche diverse dalle mie. Mi sono interfacciata, inoltre, al mondo del volontariato proprio prestando servizio per il commercio equo e solidale.  Organizzare e compiere azioni a beneficio della collettività  è un’inclinazione che ho sviluppato proprio grazie all’ambiente universitario ma allora non avrei mai pensato che sarebbe diventato il mio lavoro.  La passione per i numeri, i dati, i processi logici che deriva anche dal mio background scientifico, però, si è resa utile per il mio attuale ruolo nella raccolta fondi, perché valuta gli aspetti economici della comunicazione.  Penso che nel percorso evolutivo e professionale di ciascuno prima o poi tutto torni ritorni e che, in fin dei conti, non ci si allontani mai troppo dalle proprie personali inclinazioni. 

Da più di 17 anni lavori in ambito umanitario. Hai ricoperto diversi ruoli per Amnesty international, Save the children, UNHCR fino ad arrivare oggi ad essere Fundraising Director di Medici Senza Frontiere.  Cosa ti ha spinto a cambiare organizzazione con differenti Mission? 

Il mondo del no profit segue, in realtà, gli stessi meccanismi del profit e, come spesso accade, le ragioni che portano a cambiare posizione possono essere svariate: economiche, sociali, umane. Però in queste organizzazioni vi è anche un meccanismo mentale più profondo perché insieme al ruolo scelto si sposa una causa. Quando ripenso al mio percorso professionale vedo con chiarezza che in ciascun periodo della mia vita ho creduto in cause e stimoli differenti, seguendo cicli di innamoramento e disinnamoramento. Arriva un momento in cui le circostanze ti portano a desiderare un cambio di rotta, per motivazioni pratiche, ideologiche o entrambe. Oggi, per esempio, sono contenta di fare parte di Medici senza Frontiere ed essere tornata alle mie origini scientifiche.  

Le modalità di accesso al no profit sono le stesse del mondo profit?  

Io sono entrata in contatto con il mondo no profit in modo molto classico, attraverso stage e percorsi di formazione presenti a Roma, finendo per caso nella sezione raccolta fondi (lasciando semplicemente il curriculum sulla scrivania dell’organizzazione). Parliamoci chiaramente: gli stipendi nel no profit sono più bassi (c’è una legge che li regola) e anche le possibilità di carriera sono minori che nel profit. Solo alcune organizzazioni sono abbastanza articolate e ampie da garantire buone possibilità di crescita. Esistono, però, professioni molto specifiche nel no profit a cui è possibile accedere attraverso la porta principale (stage e application dell’Università). A Forlì esiste il Master in raccolta fondi, per fare un esempio. Ultimamente le organizzazioni sono diventate più “professionalizzate” e attingono anche dal mondo profit nella ricerca di risorse.  Un mio consiglio, quindi, è di cercare le vacancy aperte a tutti, diffuse dalle varie organizzazioni, e valorizzare la propria formazione. Ci sono profili molto ricercati come per esempio tutto quello che riguarda il digitale o la gestione e l’analisi dei dati, ma per esempio in medici Senza Frontiere abbiamo assunto anche degli avvocati per aiutarci a gestire il programma lasciti.  Oggi più che mai il mondo profit e quello no profit si mescolano quindi niente paura: non è necessario avere un background no profit per entrare nel no profit. Se si ha l’inclinazione personale giusta, si può anche fare volontariato.  Vivere le dinamiche e i meccanismi di un’organizzazione da un punto di vista più integrato permette di inquadrare con più facilità la realtà con la quale si vuole entrare in contatto e capirne le logiche. 

Esiste un confine tra lavoro e missione? Se sì, in cosa lo si può riscontrare? 

Lavorare in questo mondo significa, per me, compiere una scelta alla base. La mia, per esempio, è stata quella di voler lavorare in un contesto che arricchisse la collettività e non gli interessi di singoli individui o aziende. Questa scelta porta, inevitabilmente, a svolgere un lavoro facendo sempre i conti con i propri valori e principi ma anche mettendo in campo una passione e una dedizione che non viene solitamente contemplata in altre professioni. E’ un lavoro che richiede tanta passione e in cui è difficile tracciare una linea di confine tra dovere e piacere, missione e professione. Sicuramente la separazione tra i ruoli può aiutare: l’impegno emotivo di un operatore sul campo sarà differente da quello richiesto a chi lavora nella raccolta fondi come me, ma tutto dipende dal tipo di persona. 

Soprattutto in questo periodo di incertezza, ragazze e ragazzi in cammino verso la propria meta non riescono a vedere più in là del proprio passo. Cosa diresti a chi non sa che strada intraprendere o sente di aver perso la fiducia nel futuro? 

Un consiglio che posso dare è quello di non risparmiarsi, di usare tutta l’energia per sfruttare ogni occasione che la vita offre. Tutte le esperienze che ho vissuto, nel bene e nel male, mi sono tornate utili prima o poi. Buttatevi in qualsiasi cosa vi renda felici o vi affascini senza pensare troppo a ciò che vi sta restituendo nell’immediato. Focalizzarsi su ciò che vorremmo in un futuro remoto - come cosa vorremmo fare tra cinque anni - può portare a un'alienazione da ciò che siamo e dal tempo che stiamo vivendo. Non fatevi immobilizzare dalla paura e dall’ansia del fallimento, l’importante è fare le cose con il massimo dell’impegno e della serietà per poter imparare sempre qualcosa, sia dai successi che dai fallimenti. Un altro consiglio è avere sempre cura della rete di amicizie e conoscenze, non sottovalutatela perché vi darà grandi soddisfazioni.

Intervista effettuata il 27/7/2022 - Associazione Almae Matris Alumni