Conosciamo Arianna Muti, phd il Dipartimento di Interpretazione e Traduzione di Forlì. Arianna ci ha raccontato del suo progetto di ricerca dedicato alla classificazione di tweet misogini.
Hai svolto il tuo percorso universitario presso l’Alma Mater. Quali sono stati i fattori che hanno determinato la scelta dell’Università di Bologna rispetto a un altro Ateneo?
Sono sempre stata affascinata da Bologna e dal suo mito di città libera, attiva e piena di opportunità. Ancora prima dell’Università ho scelto dunque la città, che oltretutto ho visitato spesso da adolescente. Sono cresciuta ad Osimo (AN) e ricordo ancora che appena potevo prendevo il treno per trascorrere qui una giornata. Quando poi è stato il momento di decidere quale percorso di studi intraprendere dopo le scuole superiori, ho scelto di iscrivermi alla laurea triennale in Lingue e letterature straniere. Durante i primi anni all’Università ho cominciato poi a capire di volermi dedicare a cose più pratiche, in particolare modo alla traduzione e alla linguistica. Un cambiamento di prospettiva che, devo dire, è stato facilitato anche dalla struttura del corso che ho frequentato, che permetteva e permette tutt’ora ad ogni studente di costruirsi un percorso personalizzato, incentivando di conseguenza l’interesse nei confronti dell’interdisciplinarità.
Il tuo legame con l’Università di Bologna è molto forte, come testimonia la scelta, dopo la laurea magistrale, di frequentare il Dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Interpretazione e Traduzione. Che cosa ti aspetti da questa nuova avventura?
Vivo il Dottorato come una preview della vita da ricercatrice e mi aspetto di imparare tanto, anche perché sono consapevole di aver scelto un ambito che non è il mio. Il mio progetto di ricerca, infatti, è molto più vicino all’informatica che alla traduzione e alla linguistica. Ma è comunque uno stimolo in più per imparare cose nuove. A dire il vero, non avevo mai pensavo di fare questo percorso, però ho seguito quello che in questo momento sento mi piace fare.
Accennavi poc’anzi al tuo progetto ricerca, che riguarda lo sviluppo di un algoritmo che classifica i tweet misogini. Si tratta di un argomento già trattato nella tua tesi di laurea magistrale. Ci spieghi come è nato il progetto e come si sta evolvendo?
Il progetto non è nato da una mia idea, ma da quella della prof.ssa Elisabetta Fersini dell’Università Milano-Bicocca, che da anni studia il tema della misoginia. È stata lei a promuovere una Challenge dedicata allo sviluppo di un algoritmo capace di classificare i tweet misogini. Ho partecipato perché il tema mi è sempre stato a cuore, pur avendo una competenza informatica molto basilare. Mi sono trovata al cospetto di un mondo che non avevo mai esplorato, e ho cercato di colmare le mie lacune seguendo un corso di programmazione. Sinceramente non speravo di vincere la Challenge, arrivando persino prima di Google! Ad ogni modo, l’algoritmo che ho creato serve, come dicevo, a classificare se un tweet scritto in lingua italiana, inglese o spagnola è misogino o non misogino e, nel primo caso, anche se è aggressivo o non aggressivo. Attualmente. Ho portato questa esperienza nella mia tesi di laurea magistrale e successivamente i docenti dell’Alma Mater che mi avevano seguito mi hanno proposto di continuare la ricerca nell’ambito del Dottorato.
L’algoritmo sarà esteso anche ad altri contenuti digitali e social network?
Stiamo cercando di applicare una classificazione anche ai meme. Si tratta di un lavoro molto più complesso perché, trattandosi di immagini, a volte l’elemento misogino è presente solo nel testo che compare sull’immagine, a volte invece è esclusivamente nell’immagine (grafica o fotografica), oppure, in tanti altri casi, è il connubio tra immagini e parole che fa emergere la componente misogina. Per quanto riguarda invece gli altri social: l’obiettivo è quello di lavorare un domani con Facebook e Instagram. Il problema è che, mentre Twitter permette l’accesso ai dati, per quanto riguarda Meta (la nuova società fondata da Mark Zuckerberg, ndr) i dati non sono consultabili ai soggetti esterni. Per questo motivo sto considerando di attivare un tirocinio con Facebook, in modo tale da poter studiare dall’interno quei dati oggi inaccessibili.
La misoginia, così come altre forme di violenza verbale, sono ormai, purtroppo, una costante sui social. Quasi ogni giorno leggiamo di ragazze o, ad esempio, persone appartenenti a minoranze che denunciano questa pratica inaccettabile. Come credi si possa combattere questo “fenomeno”?
È molto difficile rispondere a questa domanda. Sarebbe sicuramente utile iniziare a parlarne nelle scuole. Ma non sono sicura che sarebbe così efficace. Il problema è chiaramente complesso e sfaccettato, e la battaglia andrebbe combattuta su più fronti. Dal punto di vista della linguistica computazionale, ad esempio, l’identificazione di post di questo genere è utile perché permette successivamente di rimuoverli o nasconderli. Ma un algoritmo non può cambiare il pensiero di coloro che quei post li hanno pubblicati. Forse bisognerebbe innanzitutto monitorare i contenuti che le persone influenti promuovono sui loro canali social, in ragione del ruolo che rivestono, e andare a neutralizzare prima di tutto loro.
Intervista effettuata il 2/3/2022 - Associazione Almae Matris Alumni