Intervista a Jacopo Tosi

Conosciamo Jacopo Tosi laureato in antropologia culturale ed etnologia presso l'Università di Bologna e vincitore del premio di studio Sandra Sabatttini

Chi è Jacopo Tosi?

Dopo una triennale ed una magistrale completamente immerso nello studio delle scienze antropologiche ho realizzato quanto l’avvicinamento e l’approccio con questa disciplina sia stato per me liberatorio che mi ha consentito di incanalare la mia curiosità insaziabile in un percorso professionale che mi legittima oggi a porre quelle tante, talvolta “troppe”, domande. Il Servizio Civile svolto in Perù durante la magistrale, poi, mi ha dato l’opportunità di mettermi in gioco sul campo. È proprio lì che è nata la mia passione per la difesa dei diritti umani e il supporto alle lotte sociali dei popoli indigeni.

Conoscevi la storia della beata Sandra Sabattini? Quale aspetto ti ha più colpito della sua storia?

In quanto mia conterranea conoscevo la storia di Sandra Sabattini ma è stato proprio in occasione del premio istituito dal Lions Club Rimini Host e dall’Almae Matris Alumni Association che ho avuto modo di approfondirne la storia. Quello che mi colpisce delle persone come Sandra Sabattini è il compromesso totale dimostrato nei confronti delle cause sociali di chi vive ai margini della società. L’esempio che ci viene dato da queste persone eccezionali sembra voglia ricordarci che, parafrasando Italo Calvino, è sempre possibile trovare chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, ed è nostro dovere farlo durare, dandogli lo spazio d’azione necessario.

Cosa significa per te ricevere questo premio?

Ricevere questo riconoscimento ha un enorme valore per me, oltre a darmi un segnale positivo che attendevo da anni. Mi ha permesso di constatare che sia l’Università che la società civile sono ancora attente a riconoscere e pronte a premiare l’impegno sociale e politico dei loro studenti e cittadini.  Oggigiorno, c'è la tendenza a dare particolare rilevanza ai progressi compiuti in ambito tecnico e scientifico che, per quanto fondamentali, rappresentano solo uno aspetto delle complesse società in cui viviamo.

 Qual è stata la sfida più grande che hai affrontato durante il percorso accademico e personale? Come l’hai superata?

Gli anni accademici sono stati tutt’altro che spensierati poiché, senza scadere in auto vittimismi, le discipline demo-etnoantropologiche nel nostro Paese  non godono della dignità e del riconoscimento che, a mio parere, meritano. Ciò comporta precarietà professionale e un’incertezza diffusa riguardo alle possibilità concrete di una loro applicazione pratica.

Per quanto riguarda la mia storia personale, la chiave di volta è stata la partecipazione ad un progetto del Servizio Civile Universale in Perù, che mi ha dato al tempo stesso la possibilità di conoscere ed appassionarmi a un campo di applicazione della mia disciplina fornendomi il tempo necessario per fare un’esperienza professionale oltremodo soddisfacente.

 C'è qualcuno a cui ti ispiri quotidianamente o che vorresti ringraziare?

Vorrei sicuramente ringraziare Luca Jourdan e Stefania Spada, rispettivamente il mio relatore e la mia correlatrice durante la scrittura della tesi magistrale. È grazie al loro supporto ed entusiasmo che sono riuscito poi a trasformare il progetto di tesi in un vero e proprio libro pubblicato dalla ONG per cui lavoravo in Perù. Allo stesso modo vorrei ringraziare i miei colleghi peruviani, che saranno per me una fonte perpetua di ispirazione tanto professionale quanto umana. Infine, vorrei ringraziare in maniera speciale le leader e i leader indigeni, così come i membri delle loro comunità, che hanno condiviso con me le loro storie di vita dandomi una fiducia che fino a quel momento non pensavo nemmeno di meritare. Li definisco maestri di resistenza capaci di scolpire, attraverso le lotte sociali di cui sono protagonisti, il loro grido di protesta nella storia.

 Quale impatto sociale speri di avere con il tuo lavoro?

Ciò che mi auguro è di continuare a rendermi utile alle cause sociali, politiche ed economiche dei popoli indigeni facendo loro da tramite, in modo tale che gli enormi sforzi e le infinite sofferenze a cui sono costretti, così come i saperi ancestrali custoditi e le formidabili capacità di resilienza dimostrate, possano diffondersi anche all’interno della nostra società, togliendoci il privilegio di sentirci parte di un altro mondo che niente ha a che fare con loro.

 Pensi che fare volontariato rappresenti un valore aggiunto a livello personale e professionale?

Assolutamente sì, e non saprei dire quale dei due aspetti valorizzi di più. Penso che quando si fa un’esperienza che ti gratifica quotidianamente attraverso l’impegno profuso in una causa che si ritiene intimamente giusta, la crescita professionale si intrecci in modo talmente fitto con quella personale fino al punto che diviene difficile distinguerle.

 Consiglieresti ai giovani della tua età questa scelta di vita o anche solo per un breve periodo? Se sì per quali ragioni?

 Senza pensarci due volte! Non solo perché personalmente ho tratto dalla mia esperienza una quantità enorme di benefici ma lo suggerisco anche come una sorta di atto di "ribellione". In una società che ci vuole sempre più performanti e che detta tempi sempre più rapidi, prendersi del tempo per fare un’esperienza simile può aiutare a capire meglio chi siamo e cosa vogliamo fare davvero delle nostre vite.

 In che modo studiare all’Università di Bologna ha influenzato il tuo percorso di vita?

 All’Università e alla città di Bologna devo e la mia formazione personale e umana avvenuta dentro e fuori le aule dell’Università di Bologna e per questo non posso che essere eternamente grato. Sono stato positivamente influenzato dall’ambiente universitario e dai collettivi studenteschi presenti in città, da sempre attenti e sensibili alle cause sociali di chi lotta contro forme di oppressione.

 Cosa significa per te essere un Alumnus dell’Università di Bologna?

Mi rende orgoglioso far parte di una rete di colleghi che stimo e con i quali posso scambiare esperienze e idee in modo tale da poter innescare un processo di condivisione dei saperi, oltre che a fungere da stimolo reciproco.

 Quali sono i tuoi piani o obiettivi futuri?

Partirò a breve per la Colombia con una ONG che tenta di tutelare gli spazi politici di cui si servono prevalentemente le popolazioni contadine ed indigene del paese per ottenere giustizia rispetto alle violazioni dei loro diritti commesse dall’esercito e dai gruppi paramilitari. Mi piacerebbe anche continuare a fare ricerca sui meccanismi di autodifesa sviluppati dai popoli indigeni per tutelare le loro terre ancestrali dagli abusi commessi da agroindustrie, imprese petrolchimiche ed economie illegali, dando quindi seguito al libro che ho pubblicato l’anno scorso "Las guardias indígenas amazónicas. Experimentos de autoprotección en el camino hacia la autonomía de los pueblos originarios en la Amazonía peruanamore".

 

 Intervista del 6/06/2024