Conosciamo Giulia Bosi, laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna e vincitrice del bando della Farnesina per rappresentare l’Italia al G7 Youth Summit.
Com’è nata questa passione per la politica globale e i diritti umani? Sei sempre stata interessata a queste tematiche?
Ho sempre avuto uno sguardo aperto e internazionale, ma quando ho cominciato a frequentare la facoltà di Giurisprudenza non sapevo nemmeno esistesse una branca del diritto specificatamente dedicata ai diritti umani. È stato quando ho iniziato a spulciare il sito del King’s College, per valutare se fare domanda per il percorso con doppio titolo dell’Università di Bologna, che ti permette di conseguire un Master of Laws presso tale Università, che sono rimasta affascinata da tutti i corsi relativi a quella tematica. Più leggevo i nomi e i contenuti dei corsi, più mi si muoveva qualcosa nello stomaco: era come se finalmente avessi trovato il vestito giusto per me! Penso sia stato in quel momento che per la prima volta si sia accesa dentro di me la passione per i diritti umani. Quando poi mi sono ritrovata a studiare a Londra, questa piccola fiamma è diventata un fuoco e da allora non si è più spenta. Col tempo poi mi sono sempre più interessata in particolare al diritto alla salute, sia a livello internazionale che europeo.
Al Summit sei stata relatrice per il tema della salute e del benessere, quali pensi che siano i temi fondamentali a cui l’Italia dovrebbe dare maggior rilievo in ambito salute?
Per rispondere in maniera esaustiva potrei citarvi i risultati del questionario che, come delegazione italiana al G7 Youth Summit, abbiamo fatto circolare lo scorso marzo e a cui hanno partecipato oltre 2700 giovani. Alla domanda su quali siano i temi a cui l’Italia dovrebbe dare priorità in ambito salute, quello che è stato maggiormente selezionato è stato il tema della “salute mentale e del benessere psicologico”. Questo dato è estremamente significativo e in linea con alcune ricerche, pubblicate in questi mesi, che dimostrano che sono i giovani coloro che hanno riportato il maggior calo di benessere psicologico da inizio pandemia, come ad esempio lo studio pubblicato a maggio da Eurofound, l’agenzia dell’UE per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Quindi se dovessi scegliere soltanto un tema a cui l’Italia dovrebbe dar maggior rilievo in ambito salute direi proprio salute mentale e il benessere psicologico, facendomi portavoce di tutti i giovani che hanno risposto al nostro questionario.
Che cosa ricorderai maggiormente dell’esperienza vissuta al G7 Youth Summit?
Sicuramente le persone. Il G7 Youth Summit mi ha permesso di incontrare persone incredibili e piene di voglia di migliorare il mondo in cui viviamo. In primo luogo, ci tengo a ricordare gli altri tre delegati italiani, con cui ho lavorato con grande sintonia e che ora non sono più solo colleghi, ma amici. In secondo luogo, i delegati per la Salute degli altri paesi del G7, che con le loro conoscenze ed esperienze diverse dalle mie mi hanno aperto gli occhi su tante realtà che non conoscevo bene, come il razzismo medico negli Stati Uniti, le cattive condizioni di salute delle popolazioni indigene in Canada o lo stigma associato alla salute mentale in Giappone. In terzo luogo, tutte le persone che ho avuto modo di intervistare nei mesi pre-Summit, come il personale del Ministero della Salute, di Unicef, del Programma Alimentare Mondiale, e i membri di associazioni giovanili come il Segretariato Italiano degli Studenti in Medicina, che mi hanno trasmesso davvero tanta speranza e voglia di fare.
Perché, quando hai scelto l’Università a cui iscriverti la tua scelta è ricaduta su Bologna?
Io abitavo in provincia di Bologna, quindi il fatto che la scelta sia ricaduta su Bologna all’inizio è stata ovvia: è un’ottima Università e potevo arrivarci senza aver costi di trasferimento. È stato solo successivamente, soprattutto negli ultimi anni in cui ho vissuto all’estero, che mi sono davvero resa conto di quanto solida sia stata la formazione che ho ricevuto all’Alma Mater, e di quanto quest’ultima sia considerata a livello internazionale. Ogni volta che dicevo di aver studiato alla “University of Bologna”, alle persone si illuminavano gli occhi e mi facevano domande su come fosse stato studiare lì. E sono convinta che tutto ciò che ho fatto finora, l’ho fatto perché l’Università di Bologna mi ha dato le basi e le opportunità per farlo. L’unico aspetto su cui, a parer mio, l’Università può raggiungere livelli ancora maggiori di crescita è il tema della metodologia di insegnamento, meno nozionistico e più improntato a suscitare il ragionamento da parte degli studenti.
Che consigli daresti agli altri Alumni della Community, soprattutto a chi ha concluso l’Università da poco?
Consiglierei di imparare bene l’inglese, di migliorare sia a livello teorico che pratico le soft skills e di fare un’esperienza, magari anche corta, di stage/lavoro o volontariato all’estero. L’inglese è infatti un plus che viene particolarmente apprezzato in un mondo sempre più globalizzato e dove le aziende hanno sedi in più Paesi. Le soft skills, come problem solving, teamwork e leadership, sono fondamentali perché oggi molti processi di selezione si basano proprio sulla valutazione di quest’ultime più che sulle conoscenze teoriche del candidato. E infine aver fatto almeno un’esperienza all’estero è spesso ben visto perché di fatto significa che hai la capacità di confrontarti con un contesto culturale diverso e che sei una persona che sa mettersi in gioco. Ma al di là di tutti questi suggerimenti pratici, il mio consiglio principale è di capire quali siano le proprie passioni e di non aver paura di cambiare strada se si capisce che non è quella giusta.
Credi che la Community Alumni sia importante come punto di riferimento per studenti e ex studenti?
Penso che avere una Community Alumni sia molto importante e che possa portare a numerosi vantaggi. Innanzitutto, consente di creare nuovi contatti e fare networking, che è qualcosa di estremamente utile soprattutto per chi si affaccia per la prima volta sul mondo del lavoro. Inoltre, una Community Alumni può essere un’occasione per conoscere nuove opportunità di lavoro mirate o entrare in contatto con professionisti provenienti da più settori. Infine, è un modo efficace per comprendere le esperienze altrui. Prima di dare il consenso per questa intervista, e ancor prima di sapere che sarei stata intervistata, avevo letto con piacere le altre Alumni stories, e non nego che sono state una fonte di ispirazione per nuove idee legate al mio futuro professionale. In poche parole, l’unione fa davvero la forza. Se infatti c’è una cosa che ho imparato in questi primi anni post-laurea è che la condivisione porta molti più frutti della competizione.
Intervista effettuata il 21/6/2021 - Associazione Almae Matris Alumni