Intervista a Francesca Bordoni

Conosciamo Francesca Bordoni laureata in medicine and surgery presso l'Università di Bologna e attualmente impegnata come medica volontaria in Perù

Chi è Francesca Bordoni?

Ho 25 anni, sono nata e cresciuta a Rimini. Fin dai primi anni delle superiori ho avuto desiderio di viaggiare e scoprire il mondo. Ho studiato al Liceo Classico Giulio Cesare e poi ho scelto la facoltà di Medicine and Surgery di Bologna che nell’anno accademico 2017-2018 apriva il corso per la prima volta. Io e i miei compagni ci siamo sentiti un po' dei pionieri in questa avventura. Ho studiato per tutto il quinto anno a Bruxelles, e rientrata in Italia ho conseguito la laurea con una tesi in Chirurgia Generale, con votazione 110 e Lode e con Menzione d’Onore - fa strano solo a dirlo!  A novembre ho iniziato la specializzazione in Chirurgia Generale, a febbraio ho deciso di licenziarmi per partire come medica volontario presso l'ospedale Mama Asha in Perù per conto dell’Operazione Mato Grosso (ONG).

Hai ricevuto il premio Sandra Sabattini, cosa rappresenta per te?

Sono molto onorata di ricevere questo premio e sono felice di poter raccontare la mia storia per fare conoscere a quante più persone possibili la realtà che sto vivendo ora, che è fatta di gratuità e servizio anche se non ho mai pensato stessi facendo qualcosa di speciale.  Su questo aspetto ha probabilmente influito l'essere circondata da persone che da sempre dedicano il proprio tempo agli altri, a partire dai miei genitori.

Qual è stata la sfida più grande che hai affrontato durante il percorso accademico? Come l’hai superata?

Nei mesi successivi al rientro dal Belgio una serie di problemi personali e familiari si sono sovrapposti con l’ultima sessione d'esame e mi sono dovuta confrontare con la stesura di una nuova tesi in una nuova materia. In questo periodo difficile le amicizie si sono rivelate fondamentali. I miei amici, che all'epoca erano anche miei coinquilini, mi hanno sostenuta con un amore fortissimo e non mi sono mai sentita sola. Sapere che loro credevano in me, ha fatto sì che potessi crederci anche io. Ascoltavo spesso musica Raeggeton mentre ero in casa e capitava che loro si unissero a me in balletti improvvisati piuttosto che lamentarsi del volume troppo alto! Ho inoltre compreso l'importanza di dedicare del tempo a sé stessi per questo non ho mai interrotto lo sport e la palestra.

C'è qualcuno a cui ti ispiri quotidianamente o che vorresti ringraziare?

Mi sento di ringraziare sicuramente la mia famiglia, che mi ha accompagnata in tutti questi anni. Mi ha dimostrato affetto lasciandomi libera di vivere la mia vita come meglio credevo, facendomi fare i miei errori con la certezza che potevo contare sempre su di loro nel momento del bisogno. Vorrei ringraziare anche i miei amici dell’Università, che oggi posso chiamare amici di vita. Gli anni universitari sono stati così belli e pieni di gioia soprattutto grazie a loro! Vorrei inoltre aggiungere un pensiero per Michela Murgia, la sua libertà e il coraggio con cui ha vissuto fino all’ultimo tutta la sua vita sono una grandissima ispirazione per me.

Quale impatto sociale speri di avere con il tuo lavoro?

Adesso che mi trovo in un ospedale sperduto a 3400 metri di altezza sulle Ande Peruviane, posso dire che l’impatto sociale del nostro lavoro è subito visibile. I nostri pazienti sono poveri, vestono abiti tradizionali e le signore indossano quattro o addirittura sei gonne, una sull’altra, portano tutte il cappello sopra i lunghi capelli neri raccolti in una treccia. Per loro, che nella maggior parte dei casi parlano solo Quechua, questo ospedale rappresenta la speranza di essere curati senza prima passare dalla farmacia a comprare dei guanti e tutto l’occorrente per la visita come avviene negli altri ospedali del Paese. Noi qua accogliamo tutti, i prezzi per le visite e le medicine sono irrisori e se qualcuno non può permetterselo non fa differenza. A volte capita che i pazienti ci “paghino” con patate, mais, pannocchie, avocado o quello che hanno nel campo.

Pensi che fare volontariato rappresenti un valore aggiunto a livello personale e professionale?

Lavorare come medica volontaria qua, significa non avere a che fare con la burocrazia che c'è in Italia e questo si tramuta in più tempo da dedicare ad ogni paziente che lo necessita. Vuol dire anche non avere orari ma ti permette di vivere il lavoro come un servizio. Personalmente lo vivo come un modo per restituire tutti i privilegi di cui ho goduto in questi anni. Non siamo retribuiti quindi tutto il tempo dedicato al lavoro e ai pazienti è un dono ma essere libera di esercitare la mia professione mi fa sentire comunque una privilegiata e non sento mancare nulla.

Consiglieresti ai giovani della tua età questa scelta di vita o anche solo per un breve periodo? Se sì per quali ragioni?

La consiglierei a tutti quelli che hanno il desiderio di conoscere un modo diverso di fare il medico. Io ero partita per restare solo due mesi, ho poi deciso di fermarmi per sei mesi per riuscire a vivere appieno non solo il lavoro in ospedale ma tutta la comunità che c’è attorno e che permette all'ospedale di esistere.

In che modo studiare all’Università di Bologna ha influenzato il tuo percorso di vita?

Bologna ha fatto da sfondo ai mei anni universitari, e credo di averla vissuta appieno. A Bologna ho conquistato la mia indipendenza e ho potuto esplorare che persona volessi essere quando non mi conosceva nessuno. Sono davvero soddisfatta del corso di studi scelto, in cui eravamo solo 60 studenti provenienti da tutti gli angoli del mondo. L’università mi ha permesso di conoscere tante persone diverse da me e alcune di loro sono diventate davvero parte integrante della persona che sono ora. Non posso parlare di me senza parlare di Maria, Vincenzo, Cecilia, Francesca.....

Cosa significa per te essere Alumna dell’Università di Bologna?

La parola Alumna porta con sé la nostalgia degli anni dell’università, che per me sono stati davvero bellissimi. Se potessi tornare indietro prolungherei ancora un po' quel periodo.

Quali sono i tuoi piani o obiettivi futuri?

Dopo un inverno molto pesante dal punto di vista lavorativo sento di dover ricaricare le batterie e fermarmi un po'. Una volta rientrata in Italia inizierò la specializzazione nel 2025, ma mi prendo ancora del tempo per decidere.

Intervista del 06/06/2024