(Sapienza Università di Roma, 2004-2014)
Nel 2004 ha avuto inizio una nuova fase di indagini archeologiche presso la Villa del Casale di Piazza Armerina, in una zona a Sud della villa, espropriata pochi anni prima, fino ad allora inesplorata.
Il progetto, finanziato con fondi POR Sicilia 2000-2006, ed elaborato dai funzionari archeologi della Soprintendenza BB.CC.AA. di Enna, Lorenzo Guzzardi e Caterina Greco, è stato sviluppato in convenzione con l’Università La Sapienza di Roma, che ha fornito la direzione scientifica con il prof. Patrizio Pensabene.
Le ricerche, inizialmente mirate alla ricerca della pars fructuaria della villa, hanno condotto a scoprire parte di un ampio abitato medievale, da collegare alla rioccupazione dell’edificio tardo antico tra X e XII secolo, già individuata da G.V. Gentili negli anni ‘50. L’intervento di questi anni ha inteso rispettare le strutture medievali, e non ripetere la distruzione dei muri post-antichi della villa, negli anni Cinquanta, al fine di mettere in luce i mosaici.
Il progetto è stato completato con una tettoia di copertura della parte principale dell’abitato medievale, oltre che con la preparazione di pannelli esplicativi e di un percorso di visita.
L’abitato medievale, caratterizzato da ambienti quadrangolari in muri di pietrame rinzeppati da frammenti di tegole e di pietre più piccole, in taluni casi dotati di un ricovero per animali e di un portichetto antistante, si rivelò allora avere avuto due fasi: la prima, della fine del periodo islamico o dell’inizio del periodo normanno, con abitazioni organizzate attorno ad un ampio cortile, e la seconda con la ricostruzione di alcuni ambienti, probabilmente in piena età normanna (XII secolo), con una sporadica rioccupazione databile al tardo XII secolo, alla quale segue l’abbandono. Col tempo i ruderi furono ricoperti da strati alluvionali, fino a diventare terreno agricolo.
Le fonti storiche medievali ricordano che re Guglielmo I il Malo punì la rivolta dei Lombardi insediati nel più antico abitato di Piazza (Placea) con l’abbandono forzato, tra 1160 e 1161. Secondo Gino Vinicio Gentili (che scavò la villa negli anni ’50), l’abitato normanno che rioccupò la villa del Casale si identificava con la Piazza distrutta da re Guglielmo; oggi sappiamo che l’abitato medievale si estendeva ben oltre i limiti della Villa, e anche al di là dell’area attualmente indagata, come hanno confermato gli scavi e le ricognizioni della Soprintendenza di Enna, condotte tra 2010 e 2014 da Carmela Bonanno nell’area a Nord della villa, dai quali emerge una stratigrafia sostanzialmente simile a quella del villaggio scoperto nel 2004.
Cataloghi di mostre, libri e articoli hanno documentato questi scavi, che sono comunque continuati anche dopo la chiusura del progetto, a partire dal 2006, nel quadro di una nuova convenzione tra la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Enna, il Museo Archeologico Regionale (oggi Parco Archeologico) della Villa del Casale di Piazza Armerina, e l’Università La Sapienza di Roma fino al 2012, poi con il CISEM (Centro di Studi Interuniversitari per l’Edilizia Tardoantica e Medievale), sempre sotto la direzione congiunta della Soprintendenza di Enna e del prof. Patrizio Pensabene. Numerosi studenti di archeologia dell’Università La Sapienza di Roma e di altre Università, italiane e straniere (tra cui Palermo, Bologna, Siviglia, Tarragona, Barcellona e Cadice), oltre che docenti e studenti del corso di laurea in Archeologia del Mediterraneo dell’Università Kore di Enna, hanno collaborato in questi anni agli scavi.
Nei primi due anni (2006-2007) si sono svolti saggi limitati nel settore ad Ovest del villaggio medievale, scoprendo un quartiere artigianale medievale, insediatosi in un impianto termale tardo antico e coevo alla villa, per poterne riutilizzare le vasche in connessione con una fornace per ceramica, che poi si è rivelata insistere su un edificio termale tardo antico collegato alla villa stessa.
Tra 2008 e 2009, la scoperta dei vani termali ha consentito di collegare idealmente alla villa gli scavi in corso, giustificando l’allargamento dello scavo. Negli anni successivi (2010 - 2014) è emerso un edificio termale delle stesse dimensioni circa di quello già scoperto dal Gentili, costituito da un ampio frigidario pavimentato a mosaico, munito a Nord di vasca absidata rivestita da mosaico parietale bianco con fascia policroma, per i suoi tratti stilistici ben collegabile ai mosaici tardo antichi della villa, e da un settore riscaldato Sud, in origine pure pavimentato a mosaico, ma di cui si conserva solo un breve tratto, formato da due vani riscaldati mediante suspensurae e tubuli quadrati, più una vasca absidata rivestita di intonaco idraulico. Ad Est, tra 2013 e 2014 è poi emerso un quadriportico con almeno sette colonne monolitiche in marmo bigio venato, quattro delle quali rimangono crollate presso le loro basi in situ.
Rispetto alla più fastose “terme Ovest”, già trovate dal Gentili, collegate direttamente col peristilio della villa, queste “terme Sud” erano destinate ad un pubblico socialmente meno elevato: sorgevano infatti a poca distanza dal muro Sud del secondo dei due grandi depositi di derrate alimentari, di forma basilicale (“granai”), che si disponevano sul lato Ovest del muro di recinto del grande piazzale che precedeva l’arco d’ingresso alla villa del Casale. Un saggio effettuato nel 2014 nel lembo meridionale del granaio più a Sud, vicino alle terme, ha documentato uno strato annerito interpretato come resti di materiale organico bruciato per sanificare l’interno e liberarlo da parassiti.
Nel 2012 si è scavato il pavimento a mosaico del frigidario, con disegno a zig-zag formato da piccoli quadrati di colore bianco, grigio, verde, nero, rosso (“rainbow-style”), da confrontare col pavimento del portico ovoidale della villa, databile dopo la metà del IV sec. d.C. Altri due mosaici decoravano due vani minori: uno ad Ovest della vasca Nord, con motivo geometrico basato sull’intreccio di due quadrati, e uno a Sud, delimitato da un muretto, che mostrava entro una cornice di forma quadrata due calzari con infradito, tipologia di mosaico ampiamente diffusa nelle terme romane di età imperiale. Si è poi notato che circa al centro del pavimento, ma vicino alla vasca Nord, sul pavimento era stata inserita - in una fase successiva - un’iscrizione musiva in tessere bianche su campo quadrato rosso: “Treptona bibas”, da interpretare come un’acclamazione (“bibas” per “vivas”, ossia “che tu viva”) rivolta a una donna di nome Treptona.
Le terme Sud cessarono di funzionare come tali dopo la metà del V secolo, ma furono rioccupate con funzione diversa: almeno sette capitelli in marmo di II-III secolo d.C. furono reimpiegati allora in un muro addossato al lato Nord del frigidario. Come altri due capitelli ionici trascinati in strati alluvionali, probabilmente provenivano dal portico colonnato sul lato a Est, le cui colonne marmoree furono lasciate in crollo sul terreno. L’abbandono definitivo delle terme Sud probabilmente ebbe luogo dopo una serie di alluvioni tra VI e VII secolo.
Occorre sottolineare poi il rinvenimento, nel 2010, di una lastra di transenna in terracotta, traforata con una serie di croci, di età bizantina (VI-VII secolo) ma proveniente da strati alluvionali di superficie, che testimonia un piccolo edificio sacro presso l’ambiente termale absidato; e una moneta d’oro araba di piccole dimensioni (1/4 di dinar) del 6° califfo fatimida Al-Hakim bi amr illah, emessa da una zecca siciliana e datata tra 1009 e il 1019, pertinente alla fase islamica dell’insediamento medievale.
Le attività di scavo didattico, rinnovate ogni estate nell’area a Sud della villa fino al 2014, sono state accompagnate da saggi di controllo in stretta collaborazione tra archeologi dell’Università di Roma La Sapienza, e il cantiere di restauro della villa, tra 2007 e 2011, curato dal Centro di Restauro Regionale siciliano allora diretto da Guido Meli.
Le terme meridionali
"Treptona bibas"
Mosaico figurato con sandali