Melanoma Maligno

1) Epidemiologia.

Negli ultimi decenni si è assistito ad un rapido aumento d'incidenza del melanoma maligno (MM), grazie anche alla diagnosi precoce ed  alla prevenzione (in Italia: 10 casi l'anno ogni 100.000 abitanti). Può colpire anche prima dei 50 aa e soprattutto gli individui di razza caucasica con carnagione chiara ed è responsabile di quasi l'80% dei decessi associati alle neoplasie della cute. Esistono tre forme d'origine del melanoma: dalla proliferazione incontrollata dei melanociti cutanei (MM cutaneo),  e, assai più raramente, dai melanociti delle mucose (MM mucoso), o dell'uvea (MM  uveale).

 

La causa principale è un danno del DNA, provocato per lo più dai raggi UV (solari o da lampade abbronzanti), in particolare in caso di scottature  in epoca infantile. A ciò si sommano i fattori di rischio, dati dal fototipo (soprattutto chiaro), la presenza di nevi, la familiarità, le terapie immunosoppressive, l'età avanzata. Le forme di MM sono: a diffusione superficiale (60-70%), nodulare (15-30%), lentigginoso acrale (5-10%), lentigo maligna (5-15%).  Le 4 forme possono presentarsi anche come MM amelanotico. Solo nel 20% dei casi il MM  si forma da nevo pre-esistente e la regola da seguire nella  sua evoluzione è: A(asimmetria), B (bordi), C (colore), D (dimensioni), E (evoluzione). Se la diagnosi è tardiva, il MM si diffonde prima per via linfatica (linfonodi e cute), poi per via ematica, con metastasi a distanza  (polmone, fegato, osso, cervello, intestino, surrene). La diagnosi spetta al dermatologo, con l'exeresi della lesione sospetta.

2) Stadiazione.

La stadiazione viene eseguita mediante la biopsia del linfonodo sentinella (LNFS- il primo linfonodo che drena il MM), individuato mediante linfoscintigrafia preoperatoria con nanocollodi radiomarcati  e successiva biopsia escissionale intraoperatoria, mediante l'individuazione  con gamma-probe. Contestualmente alla biopsia del LNFS, si procede alla radicalizzazione della pregressa cicatrice di escissione del MM, allargandone i margini. TC-PET; TC total body; RMN cerebrale.

3) Chirurgia.

La chirurgia del MM prevede: la radicalizzazione della lesione primitiva, la biopsia del LNFS,  la dissezione dei bacini linfatici metastatici,  la stadiazione videolaparoscopica, la chirurgia resettiva delle metastasi viscerali, il prelievo biologico per immunoterapia adottiva, l'elettrochemioterapia delle metastasi in transit, la ricostruzione di perdite di sostanza cutanea con lembi ed innesti.

3.1) Svuotamento linfonodale terapeutico

La dissezione linfonodale terapeutica viene espletata dopo valutazione congiunta con l’Oncologo di riferimento, nel caso di metastasi linfonodale clinica. La dissezione linfonodale profilattica non viene più eseguita. Gli studi randomizzati finora condotti non hanno infatti dimostrato una differenza significativa in termini di sopravvivenza. Si ricorre pertanto alla dissezione terapeutica solo in caso di reali metastasi linfonodali (cliniche o radiologiche).

L’intervento chirurgico di linfadenectomia regionale è un’intervento che necessita di tempi precisi, di accuratezza da parte del chirurgo poiché potenzialmente gravato da complicanze non trascurabili. I distretti linfonodali principali che possono essere interessati dal trattamento di exeresi, in relazione alla sede del tumore primitivo sono:latero-cervicale; ascellare; inguino-iliaco-otturatorio (l’inguinale superficiale e profondo non è ritenuto sufficiente come estensione).

Anche i linfonodi epitrocleari e poplitei possono rappresentare sedi di metastasi locoregionali (rispettivamente per la parte distale dell’arto superiore e per quella dell’arto inferiore). Alcune sedi del tumore primitivo possono presentare un drenaggio linfatico anomalo, che viene generalmente individuato durante l'esecuzione della linfoscintigrafia. Alcuni studi hanno dimostrato la presenza di almeno un altro linfonodo positivo per metastasi da melanoma nel 20% degli svuotamenti. Le stazioni linfatiche maggiormente coinvolte sono l’inguinale, l’ascellare e la laterocervicale; molto più raramente l’epitrocleare e la poplitea, mentre le altre stazioni linfonodali superficiali sono difficilmente interessate nella diffusione metastatica. L’adeguatezza dello svuotamento linfatico prevede dei criteri di qualità, che devono essere rispettati durante l'esecuzione di tali svuotamenti. Ecco perchè le Linee Guida Nazionali ed Internazionali raccomandano l'esecuzione di tale tipo di interventi presso centri ad alta specializzazione, al fine di rispettare tali parametri: esatta descrizione dei limiti e delle stazioni linfatiche dello svuotamento; N-Ratio (N. Linfonodi positivi/N. Linfonodi tolti); numero minimo di linfonodi considerato adeguato, in quanto direttamente correlato con la sopravvivenza (dissezione ascellare: 15-20; dissezione inguino-iliaco-otturatoria:12-18; dissezione laterocervicale: 18-25). La dissezione iliaco esterna otturatoria è obbligatoria in presenza di linfonodi crurali positivi. Per quanto riguarda la recidiva linfonodale dopo dissezione linfonodale completa, la percentuale è di circa il 20%. I fattori di rischio per la recidiva locale includono: il numero di linfonodi coinvolti; l'estensione extracapsulare; grandezza del linfonodo (80% se >6cm, 42% 3-6cm, 24%<3cm); sede, più frequente  la latero-cervicale. In pazienti con tali fattori di rischio si deve considerare la radioterapia post-linfoadenectomia, al fine di ridurre il rischio di recidiva. L'esperienza dei singoli centri dedicati hanno fatto sì che le complicanze siano ora accettabili:infezione  di ferita (9-20%); necrosi cutanea (0-15%); comparsa di linfocele e/o linforragia (6-17%); linfedema, grado lieve-moderato (19-44%), grado severo (<7%). Uno svuotamento linfonodale adeguato è associato ad una sopravvivenza superiore al 50% a 10 anni se è interessato un solo linfonodo, che scende al 30% se sono metastatici 2 o 3 linfonodi.

3.1.1) Svuotamento laterocervicale modificato

Prevede l’asportazione dei linfonodi del I, II, III, IV, V, VI livello ovvero dei linfonodi sottomentonieri e sovradigastrici, sottodigastrici (giugulo-carotidei superiori), giugulo-carotidei medi, sottoomoioidei (giugulo-carotidei inferiori), spinali (cosiddetto triangolo posteriore), prelaringei e infraparotidei. La dissezione deve essere “funzionale” risparmiando cioè, se possibile, la vena giugulare interna, il nervo accessorio ed il muscolo sternocleidomastoideo; la parotidectomia si esegue  in casi selezionati (positività dei linfonodi intraparotidei e/o melanoma del volto/cuoio capelluto). Qualora la parotide od il muscolo platisma siano interessati dalla malattia, verranno rimossi in sede di intervento. Le possibili complicanze sono legate al sacrificio dello SCM e del NAS, con esito nella "Shoulder Syndrome" (dislocamento anteriormente ed inferiormente della spalla e del muscolo trapezio; diminuzione dell'abduzione; scapola alata).

3.1.2) Svuotamento ascellare

Prevede l’exeresi dei linfonodi di I, II, III livello, con eventuale rimozione del muscolo piccolo pettorale, ma conservazione dei nn.toracico lungo e toraco-dorsale. L'incisione cutanea viene eseguita lungo il pilastro anteriore dell’ascella, al margine laterale e posteriore del muscolo grande pettorale. In alternativa può essere usata un'incisione trasversale anteriore al muscolo pettorale. Preparazione del tessuto sottocutaneo ed incisione della fascia clavipettorale; la sezione del muscolo piccolo pettorale viene eseguita di necessità. Identificazione del fascio neurovascolare mediale pettorale, che curva attorno ai muscoli pettorali, con legature di venule ed arteriole ad esso afferenti. Il nervo ed i vasi pettorali sono lasciati in sede se la dissezione si arresta al II livello linfonodale. Volendo eseguire una linfoadenectomia dei III livelli, il fascio neurovascolare del piccolo pettorale inseme al suo muscolo viene legato. Si esegue dunque la dissezione della vena ascellare, dei vasi sottoscapolari e del nervo toracico lungo estendendo l’asportazione in blocco del tessuto linfograssoso al margine del muscolo gran dorsale lateralmente, al muscolo sottoscapolare inferiormente e lungo la parete toracica sino alla IV costa medialmente. Allestimento dei lembi cutanei fino al piano fasciale, secondo i limiti dello svuotamento. Le possibili complicanze post-operatorie della linfoadenectomia ascellare sono: sieroma/linforragia; linfedema; parestesie; dolore; limitazione funzionale.

3.1.3) Svuotamento inguino-iliaco-otturatorio 

Prevede il tempo inguinale e quello iliaco-otturatorio, con l’exeresi dei linfonodi inguinali superficiali e profondi, iliaci esterni ed interni sino agli otturatori. Gli iliaci comuni vengono asportati fino al carrefour aortico qualora vi sia positività evidente degli iliaci esterni. La parte addominale viene eseguita per via extraperitoneale, con preservazione del nervo otturatorio. E' di fondamentale importanza  non portare a sofferenza vascolare i lembi cutanei, per evitare la necrosi cutanea inguinale postoperatoria. Ciò è ottenibile lasciando cute e sottocute più spessi, via via che la dissezione s'approfonda verso i margini del lembo. Si procede all'identificazione della fascia del muscolo obliquo esterno e del legamento inguinale. Tutto il tessuto linfograssoso soprastante tali strutture viene asportato in blocco. Si procede alla legatura e sezione di tutte le collaterali dei vasi femorali, fino ad isolare l’arteria, la vena ed il nervo. Asportazione dei linfonodi superficiali e profondi, inclusi il linfondo di Cloquet, situato all'estremità mediale del canale femorale a livello del legamento inguinale ed il primo linfonodo iliaco, appena craniale al legamento di Cooper vicino alla vena iliaca esterna. A questo punto procedendo con la linfoadenectomia profonda, può essere necessaria la legatura dei vasi epigastrici inferiori. Il legamento inguinale viene inciso lateralmente all’arteria femorale ed il muscolo obliquo esterno. Vengono legati i vasi epigastrici superficiali, i muscoli retratti e si accede dunque alla loggia retroperitoneale. Il contenuto peritoneale viene retratto verso l'alto e medialmente. Si procede alla linfoadenectomia attorno ai vasi iliaci sino alla biforcazione e lungo l’arteria ipogastrica sino all’arteria ed al nervo otturatori. Per la chiusura, si procede alla ricostruzione dei piani muscolari, con trasposizione del muscolo sartorio secondo Baranowsky al di sopra dei vasi femorali per proteggere arteria e vena da possibili insulti accidentali. Si procede infine alla ricostruzione della parete addominale, del legamento inguinale ed alla sutura cutanea. Le complicanze, con percentuali molto variabili in letteratura, possono essere: infezione di ferita, necrosi cutanea, sieroma/linforragia, linfedema, parestesie, dolore, limitazione funzionale.

4) Terapia della malattia metastatica

Le mts in transit e la recidiva locale sono biologicamente indistinguibili. La distinzione  clinica è convenzionale.  Si basa sulla distanza dei noduli dalla cicatrice del tumore primitivo: se entro 2 cm vanno considerati come recidiva locale, se oltre questo limite sino ai linfonodi regionali sono definiti metastasi in transit. Clinicamente si presentano  come noduli singoli o multipli, localizzati nell’epidermide, nel derma o nel grasso sottocutaneo.  L’incidenza  di recidiva locale/metastasi in transit è intorno al 3%. In caso di nodulo metastatico singolo, l'asportazione  chirurgica si impone,  in presenza di numerosi noduli sono indicate altre terapie locoregionali, quali la perfusione ipertermico antiblastica o l’elettrochemioterapia. Queste permettono un controllo locale della malattia senza però modificarne la prognosi - la sopravvivenza di questi pazienti a cinque anni è di circa il 30%. La chirurgia può essere riservata come opzione terapeutica in pazienti che hanno un singolo secondarismo  viscerale o una malattia oligometastatica in particolare a livello dei tessuti molli e/o linfonodi distanti; in questi casi è dimostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza  globale. Generalmente  la sopravvivenza a 5 anni in soggetti con secondarismi resecati a livello polmonare o tessuti molli oscilla tra il 14 e il 33%. In soggetti resi liberi da malattia dopo chirurgia può essere considerato un trattamento medico adiuvante,  come anche nel caso di non fattibilità o fallimento delle  terapie  locoregionali. Se indicati e disponibili, possono essere proposti in prima linea protocolli sperimentali terapeutici.

 

5) Elettrochemioterapia

L’Elettrochemioterapia (ECT) è una metodica utilizzata per il trattamento locale dei tumori primitivi cutanei (carcinoma baso e spinocellulare, Sarcoma di Kaposi) e delle metastasi cutanee e sottocutanee, non trattabili chirurgicamente, soprattutto da MM ma anche da altri tumori (mts cutanee da carcinoma mammario, tiroideo, tumori del distretto cervico-facciale, sarcomi dei tessuti molli). Utilizza le procedure standard per la terapia (ESOPE: European Standard Operating Procedure for Electrochemotherapy). L’ECT è il risultato della combinazione di due effetti: l’elettroporazione delle membrane cellulari (attraverso elettrodi di diverse conformazioni collegate al Cliniporator che genera la corrente necessaria) e la somministrazione di farmaci chemioterapici. L’elettroporazione  si basa sull’applicazione locale di impulsi elettrici brevi ed intensi che permeabilizzano reversibilmente le membrane cellulari. I farmaci più adatti per l’ECT sono la Bleomicina ed il Cisplatino, la cui cito-tossicità aumenta reversibilmente in combinazione con l’elettroporazione, come dimostrato da molti studi in vitro ed in vivo. In questo modo, viene potenziata l'efficacia locale del farmaco chemioterapico applicato dove le cellule sono elettro-permeabilizzate per mezzo d'impulsi elettrici, senza colpire i tessuti non esposti agli impulsi stessi . La Bleomicina risulta essere sicuramente un farmaco più maneggievole, in quanto, oltre all'utilizzo intratumorale, è possibile anche quello endovenoso, escluso per il Cisplatino.
Questa tecnica può integrare la terpia adiuvante, la perfusione d'arto e spesso permette di evitare la chirurgia, ad esempio, in aree precedentemente irradiate. Indicazioni elettive: mts cutanee e sub-cutanee  ulcerate, sanguinanti, dolorose, in transit in cui l'intervento chirurgico non è possibile o difficile; riduzione del volume delle mts cutanee per agevolare l'intervento chirurgico o la radioterapia. Il trattamento viene eseguito in sedazione  in sala operatoria, con una degenza  in regime di day-hospital.

6) Metastasi a distanza

Nel melanoma metastatico l’intervento chirurgico cito-riduttivo deve essere  considerato già di per sé una forma di immunoterapia in quanto, con la rimozione della massa neoplastica, si riduce drasticamente il numero totale di cellule neoplastiche tumorali in grado di inibire la risposta immunitaria dell’ospite, lasciando al sistema immunitario il controllo della malattia sistemica e di eventuali mts occulte. Circa il 15% di tutti i pazienti con melanoma maligno sviluppano mts dopo l’escissione del tumore primitivo. Il 50% di tali pazienti presentano mts ai linfonodi regionali, il 22% mts in transit, il 28% a distanza. Il 60% dei pazienti con recidive locali o mts linfonodali (cioè il 10% di tutti i pazienti con melanoma) sviluppano mts a distanza dopo 24-30 mesi. Il trattamento in questo stadio è dominato dall'immunoterapia, terapie  target e vaccinoterapia, all'interno di protocolli terapeutici controllati.

Di fondamentale importanza è la corretta selezione dei pazienti candidati alla chirurgia. Esistono infatti alcuni fattori prognostici favorevoli come il sesso femminile, la sede (parti molli, polmone), la resecabilità delle mts, l’intervallo libero da malattia lungo. I risultati della terapia chirurgica restano comunque superiori a qualsiasi altro trattamento attualmente disponibile. L’intervento chirurgico, nei casi di malattia diffusa a più organi, può talvolta essere indicato al fine di prelevare materiale biologico utile per strategie sperimentali come quelle di immuno-vaccino-terapia. Laddove le mts viscerali asintomatiche possono essere resecate, tenendo  in considerazione i fattori prognostici e le condizioni generali del paziente, le mts viscerali sintomatiche (in particolare le intestinali) devono essere sempre considerate  per un trattamento chirurgico. Per le metastasi ossee, dove l'opzione chirurgica non è contemplata, la radioterapia a fasci esterni trova indicazione elettiva a scopo antalgico. Per quanto riguarda il trattamento delle metastasi cerebrali (8-40%), esistono le seguenti linee guida: chirurgia(1mts), radioterapia panencefalica (>4mts), radioterapia stereotassica (<4mts), tp adiuvante (mts multiple). Il trattamento combinato chirurgia-immunoterapia ha un’azione sinergica, come è stato dimostrato con la vaccinoterapia.
Quando possibile, in caso di nuova recidiva metastatica, tali trattamenti vengono reiterati e combinati secondo nuovi e diversi protocolli terapeutici.


Il follow-up intensivo, metodiche diagnostiche (TC, RMN, TC-PET) sempre più accurate e sensibili, permettono inoltre interventi terapeutici precoci e maggiormente efficaci. Tutto ciò è comunque frutto di un atteggiamento più aggressivo e meno rinunciatario nei confronti del MM metastatico. Tale percorso permette infatti non solo di palliare i sintomi, ma può portare ad un miglioramento della sopravvivenza.

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