Perdita e riconquista del corpo femminile: Wide Sargasso Sea

Ginevra Bianchini

Rimasta misconosciuta come scrittrice per gran parte della sua vita, Jean Rhys ottenne il successo solo in tarda età grazie alla pubblicazione di Wide Sargasso Sea nel 1966, più volte definito come un prequel alla storia in Jane Eyre di Charlotte Brontë. Nonostante il termine prequel sia notevolmente riduttivo nei confronti di questo romanzo, gli eventi narrati si pongono a tutti gli effetti come tematicamente antecedenti a quelli in Jane Eyre, anche se temporalmente sfalsati. Lo scopo principale di Rhys infatti è stato, come anche più volte da lei dichiarato, di portare avanti un lavoro di repurposing, ovvero di dare un nuovo scopo al personaggio di Bertha Mason, la moglie folle di Rochester rinchiusa nell’attico di Thornfield Hall nel romanzo della Brontë.

Jean Rhys ammise di essere stata quasi perseguitata sin da giovane da questa storia, rimanendo sempre con il desiderio di dare una sorta di origin story a Bertha, piuttosto che lasciarla come un personaggio sullo sfondo, quasi un fantasma, come è in Jane Eyre. Gayatri Spivak, comparando i due romanzi, fa notare nel suo saggio Three Women's Texts and a Critique of Imperialism, come nel romanzo della Brontë il ruolo di Bertha sia puramente funzionale alla trama e subalterno agli altri personaggi; il suo scopo è sia di creare parte dell’atmosfera gotica e misteriosa che circonda Thornfield Hall e Rochester, ma soprattutto per portare avanti la storia d’amore tra i protagonisti, la quale si potrà compiere definitivamente con la successiva morte di Bertha, facendo sì che i due si possano sposare. La pazzia di Bertha non viene mai particolarmente investigata, ma è presentata più come una sorta di sua caratteristica intrinseca in quanto ‘straniera’, donna originaria delle Indie occidentali, creola trapiantata in Inghilterra da adulta e dedita al vizio dell’alcool.

Questo, difatti, è stato il motivo principale per cui Jean Rhys ha voluto raccontare la storia di Bertha, essendo lei stessa creola proveniente dalla Dominica e potendo quindi raccontare la storia dal punto di vista culturale vero e proprio dell’oppresso. Inserendosi dunque nella scia tematica della letteratura postcoloniale, ha ripreso un romanzo famoso e alle fondamenta della cultura inglese, per smantellarlo e ricostruirlo con il determinato scopo di portare in primo piano la voce di quella parte della società fino a quel momento silenziata perché in minoranza o con meno potere culturale della dominante. Attraverso la storia di Wide Sargasso Sea, la sua protagonista diventa l’emblema dell’oppressione ed eliminazione culturale operata per anni nelle colonie, dimostrando a quali livelli estremi le condizioni psicofisiche, anche dei più ‘privilegiati’, erano portate. Chi è dunque Bertha Mason? La risposta a questa domanda potrebbe essere più complessa del previsto.

La donna che narra infatti i tre quarti di Wide Sargasso Sea è Antoinette Cosway, la quale successivamente diventerà Bertha Mason, ma non per suo volere. Antoinette infatti viene trasformata in qualcun altro, in Bertha -originariamente il nome di sua madre-, dal marito. Nonostante attraverso la trama e i nomi di alcuni personaggi sia chiaro che gli eventi narrati sono antecedenti a Jane Eyre, il personaggio di Rochester non viene mai chiamato per nome, ma sempre con altri appellativi, in particolare ‘figlio’ e ‘marito’, che lo denotano come un’esistenza sempre in relazione ad altri personaggi, spingendo il lettore a pensare che non sia un tale individuo da poter esistere se non legato ad un ruolo o ad altri al di fuori di se stesso.

Questa condizione di dipendenza da altri in cui lui costantemente si trova, lo rende schivo, egoista ed aggressivo, sino a polarizzare tutte le sue frustrazioni su Antoinette, cercando di possederla e controllarla da tutti i punti di vista possibili per poter riaffermare il potere e la virilità maschili di cui si sente costantemente privato, anche da lei stessa. La discesa verso la pazzia di Antoinette non è solamente influenzata dal marito, ma il rapporto con lui in particolare sarà l’elemento scatenante che condurrà alla sua condizione mentale nel finale. 

Sin da bambina infatti Antoinette vive in una condizione di costante rifiuto, da parte di tutte le persone che incontra sul suo cammino: la madre, l’amica Tia, la comunità attorno che disprezza particolarmente la sua famiglia creola perché precedentemente commercianti di schiavi, ma soprattutto per questa loro condizione di in-between, né neri né bianchi. Più volte infatti verranno chiamati ‘white niggers’ durante la narrazione, in segno di spregio e a dimostrazione che non appartengono a nessuna delle due categorie e sono ancora una volta considerati come l’altro, l’estraneo, il quale, se non categorizzato, è visto come una minaccia costante e di conseguenza ostracizzato dalla società. Antoinette dunque giunge in età adulta già con un forte senso di alienazione e di rifiuto da parte del mondo esterno, che lei da subito proietta sul promesso sposo e poi marito, vivendo in un costante stato di paranoia e timore. Le paure di Antoinette, pur essendo notevolmente fomentate dalle sue esperienze traumatiche di vita, non sono però fuori contesto, dato che Rochester dimostra presto il lato prettamente negativo della sua personalità.

L’uomo infatti, dopo averla raggiunta in Dominica, a Granbois, la residenza dove dovranno passare la luna di miele, comincia da subito ad avere un senso di forte spaesamento e confusione, trovandosi in un mondo sia dal punto di vista naturalistico ma soprattutto culturale, molto diverso dall’Inghilterra. Rochester non riesce a comprendere Antoinette, la sua diversità, e diviene sempre più intimorito da lei, dal luogo e da questa atmosfera misteriosa ed esoterica che sente circondarlo. L’impossibilità di afferrare ciò che di misterioso c’è per Rochester, lo rende progressivamente più prevaricante con Antoinette, facendogli sviluppare un desiderio di dominarla per renderla comprensibile ai suoi occhi.

Inizia quindi ad operare una sottile e subdola manipolazione della donna -nella quale ha incanalato metaforicamente tutta la sua paura dell’estraneo- cercando di razionalizzarla e trascinarla sempre più dentro la sua sfera culturale di matrice inglese. In particolare, Rochester inizia a chiamarla costantemente Bertha, ovvero il nome della madre di Antoinette, con la scusa che sia un nome più piacevole del suo originario, come se volesse trasformarla in qualcos’altro, in ciò che lui vuole e che gli appaia meno ‘esotico’ ma più familiare. Tuttavia, la madre di Antoinette, oltre ad essere una figura complessa nei ricordi della figlia, aveva anche perso la ragione dopo la morte del figlio, fratello di Antoinette, e la perdita della loro casa, andata bruciata da una folla inferocita.

Antoinette vive quindi nel terrore e nell’ossessione di avere ereditato la follia della madre, come diviene tormentata dall’idea che Rochester non la ami. Questo bisogno di affetto da parte di una figura maschile, in questo caso però completamente inaffidabile, aggiunge timori alle sue preesistenti paranoie, le quali a loro volta sono fomentate da Rochester stesso che vuole instillare nella donna il pensiero che anche lei sia folle come sua madre, fino a renderla tale. Rochester ritiene che chiunque viva o venga dalle colonie debba avere anche solo un briciolo di pazzia nascosto dentro la sua mente, solo per il fatto di essere originario di quei posti. Non casualmente, tutti i personaggi che il lettore incontra nella seconda parte, narrata in prima persona da Rochester, sono sempre descritti con un tocco di sinistro e dipinti come squilibrati o con qualche stranezza o bizzarria dal punto di vista dell’uomo. Rochester, dunque, oltre ad essere caratterizzato da una notevole misoginia e disprezzo per le donne, è anche cripticamente razzista -cosa che il lettore può carpire attraverso i suoi pensieri. Tutte queste influenze interne ed esterne ad Antoinette la porteranno infine ad uno sdoppiamento nella personalità, fino a diventare effettivamente anche Bertha Mason, la moglie pazza rinchiusa nell’attico di Jane Eyre. Alla fine del romanzo c’è un salto temporale e spaziale, in cui incontriamo Antoinette in Inghilterra, quando già la sua condizione mentale è completamente degradata. La coscienza di Antoinette è sempre presente, ma in modo più sporadico; quando si guarda allo specchio non riconosce nemmeno il suo viso e crede di aver visto il fantasma di una donna folle che vive nell’attico della villa, senza rendersi conto di essere lei stessa quella persona.

Antoinette simboleggia quindi attraverso la sua follia e la doppia personalità, lo sdoppiamento culturale che le persone dalle colonie erano costrette a subire, dovendo completamente rinnegare la propria cultura di provenienza per sottomettersi a quella dominante. Inoltre nel suo caso, l’oppressione a cui è sottoposta è data anche dalla sua condizione di donna, vista come inferiore rispetto al marito. Rinchiusa nell’attico, spogliata della sua casa, della sua cultura e anche della sua stessa personalità per Antoinette rimangono ben poche vie d’uscita. Ed è nel momento in cui, nel finale del romanzo, decide di dare fuoco a Thornfield Hall -ricongiungendosi così anche tematicamente a Jane Eyre- che Antoinette riprende il controllo di se stessa, della sua mente e del suo corpo per un ultimo gesto di liberazione. Paradossalmente, in questa azione che verrebbe comunemente giudicata folle, la protagonista è lucida e consapevole di sé.

Attraverso il fuoco e la morte riconquista se stessa ed impedisce così che anche in futuro nessun altro possa più possederla o renderla qualcosa che non è. Il fuoco quindi oltre che un elemento di distruzione della villa, tipico simbolo di cultura aristocratica inglese, diventa anche purificatore dalla sua esistenza divisa in due dall’oppressione culturale. Il gesto finale di Antoinette, per quanto disperato, era l’unica possibilità che le rimaneva per potersi liberare dallo schema di misoginia e di oppressione in cui era stata incatenata per la sua diversità da Rochester. 'I was outside holding my candle. Now at last I know why I was brought here and what I have to do.' (Rhys, 124)

 

Bibliografia 

Rhys, Jean, Wide Sargasso Sea, Penguin Books, London, 2000 

Spivak, Gayatri, 'Three Women's Texts and a Critique of Imperialism', in Critical Inquiry, Vol. 12, No. 1, "Race," Writing, and Difference (Autumn, 1985), pp. 243-261

 

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