La scuola dei dittatori di Ignazio Silone

Daniela Bruno

La scuola dei dittatori (1938) non è l’opera più famosa di Ignazio Silone. È spesso posta in secondo piano rispetto ai libri più celebri dell’autore. Il testo ha un andamento ironico che alleggerisce, senza sminuire, la materia delle folte pagine: le dittature, la democrazia, la guerra, il proletariato e la borghesia. 

Per riuscire a cogliere l’acume del testo è importante conoscere alcuni aspetti biografici di Silone, che si intrecciano, si sovrappongono e alcune volte sovrastano l’opera stessa.

Ignazio Silone è lo pseudonimo di Secondino Tranquilli, nato il 1 maggio del 1900, a Pescina, un piccolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila. Secondino perde il padre a soli 11 anni e il terremoto di Avezzano uccide la madre nel 1915. Appena quindicenne si ritrova dunque orfano e senza una casa. Viene affidato prima alle cure della nonna e poi, grazie a uno strano prete, frequenta il collegio di San Romolo a Sanremo.

 Questo evento traumatico lo porta a conoscere in fretta alcuni degli aspetti più bestiali dell’umanità: lo sciacallaggio, la violenza e i soprusi dei padroni - aspetti intorno ai quali Silone si interrogherà sempre, ponendosi senza sosta dalla parte dei più poveri.

Già nel novembre del 1917 pubblica alcuni articoli sull'Avanti! in cui denuncia i soprusi e la malagestione dei fondi destinati al terremoto da parte dei padroni di Avezzano. Gli articoli non avranno l’effetto sperato, ma rappresentano il primo passo di un lungo cammino politico accanto agli ultimi: i cafoni di cui parlerà in Fontamara (1933)

Dopo alcune posizioni politiche ricoperte nel territorio abruzzese, nel 1921 partecipa alla fondazione del Partito comunista italiano, compie missioni all’estero e dirige alcuni giornali. Tuttavia, a causa delle persecuzioni fasciste, è obbligato a vivere in clandestinità. Il passare del tempo lo porta poi a staccarsi dal partito comunista russo, reputato incapace di discutere con gli avversari politici e di saper soltanto eliminare fisicamente i suoi contestatori. Da questo momento Silone comincia a reputarsi un socialista cristiano e non più un marxista. 

Un altro evento che cambia la vita di Silone è l’arresto, nel 1928, del fratello più giovane, accusato di sostenere il Partito Comunista illegale, scontando 4 anni di torture e persecuzioni nel penitenziario di Procida. In questi anni Silone ha già scelto la via dell’esilio in Svizzera, dove prosegue la sua attività intellettuale e scrive il più famoso tra i suoi romanzi: Fontamara

Dopo una lunga serie di malattie, muore in una clinica di Ginevra nel 1978. Nel suo breve testamento chiede di essere seppellito nell’amata Pescina, in una tomba senza epigrafe costruita con le rocce delle montagne vicine.

Questo rende più facile capire perché Silone decida di addentrarsi in una materia oscura e complessa come quella che riguarda le dittature e i totalitarismi. L’autore aveva vissuto sulla sua pelle la nascita, la vita e la morte di un sistema dittatoriale tutto italiano come il fascismo. Non dovrebbe sorprendere, infatti, che il libro abbia cominciato a circolare prima in Svizzera e già nel 1938 negli Stati Uniti. Il giorno di Natale il New York Times recensisce il testo e seppur con qualche reticenza, ne rileva un’assoluta importanza storica e sociale. La scuola dei dittatori (1938) arriverà nelle librerie italiane soltanto nel 1962. 

La vicenda narrata è molto semplice: Mr Doppio Vu, un milionario americano, arriva in Svizzera mentre compie un viaggio alla ricerca della tecnica della dittatura. Ha già incontrato scrittori, politici, giornalisti e altri uomini che si sono occupati in qualche modo di assolutismi, ma sente di non aver ricevuto indicazioni valide per raggiungere il suo scopo. È proprio a Zurigo che incontra un esiliato politico italiano, Tommaso il Cinico (alter-ego di Ignazio Silone) che, attraverso una stoica resistenza antifascista, gli fornisce le risposte che cerca. Ad accompagnare Mr. Doppio Vu c’è anche il professor Pickup, inventore della pantautologia, che vuole imporre come dottrina di stato.

Tommaso il Cinico tenta di spiegare come nascono le dittature (e non il perché) e utilizza nel dibattito con l’aspirante dittatore le sue vaste conoscenze storiche, filosofiche e politiche. Tra le altre, vengono prese ad esempio le dittature europee più vicine nel tempo allo stesso Silone: fascismo e nazismo. Questo perché, in tutto il lungo dialogo tra i tre personaggi, l’Europa è vista come un fortunato continente, che ha potuto basare la sua ricchezza su un sistema dittatoriale ben radicato fin dalla sua nascita.

Nonostante quello a stelle e strisce sia un giovane paese che non vanta antiche organizzazioni dittatoriali, le tecniche e i metodi che il Cinico gli illustra possono essere utilizzate anche oltreoceano. Mr. Doppio Vu vuole essere il primo grande dittatore americano e Tommaso lo rincuora dicendogli che ha molto tempo a disposizione davanti a sè, perchè il mondo intero soffre di una paralisi democratica dalle cui crepe nascono dittatori e dittature. 

Per essere un buon dittatore occorre gettare discredito sui partiti tradizionali e sulle loro imprese politiche, anche a costo di rinnegare se stessi. Ignazio Silone strizza l’occhio al passato socialista di Benito Mussolini, a sottolineare quanto le ideologie totalitarie spesso siano prive di una coerenza. Il buon dittatore è innanzitutto un uomo (nel testo si parlerà soltanto di uomini, ndr.) che conosce le masse, anche quando ne è posto al margine. La conoscenza delle masse lavoratrici è necessaria per emergere continuando a essere "uno del popolo". Un valido dittatore deve saper approfittare del malcontento cittadino, al fine di aizzare le stesse masse contro gli avversari politici, riuscendo sempre a frenarsi prima di una letale insurrezione. Per sedersi sul trono del tiranno, Mr. Doppio Vu deve regalare alle masse un passato illustre, agitando in loro il patriottismo e il sentimento di appartenenza che si è perduto: gli italiani del mondo capitalistico non hanno nulla da spartire con l’impero romano, eppure il culto dell’età classica è stato un elemento cruciale per la nascita e l’espansione del partito fascista. Le masse (concetto a lungo dibattuto nel libro) sono perfettamente educate all’obbedienza, perché la predisposizione al rispetto delle regole nasce anche nei sistemi democratici: la scuola, il servizio militare e la religione sono apparati che educano a essere un buon cittadino, rispettoso delle norme sociali. Un cittadino scontento non opporrà dunque resistenza e seguirà con fierezza il dittatore, perchè è abituato alle regole e alle imposizioni.

Mr. Doppio Vu deve costruire intorno alla sua figura una divinità terrestre, circondandosi di simboli e feticci che possano essere idolatrati. A lungo andare, il leader ha bisogno di confondersi con l’oggetto idolatrato, diventando un mutaforma. Ovvero deve essere in grado di rispecchiare l’oggetto del desiderio popolare, assecondandone i bisogni e le necessità. L’uomo tiranno non ha bisogno di un’istruzione di alto livello; deve però essere spinto da impulsi tirannici: la tirannia deve essere il suo unico obiettivo. Credere ciecamente nell’abolizione della democrazia è il primo passo che il dittatore deve fare per risultare convincente e riuscire a imporsi come capo delle istituzioni democratiche: forze armate, istruzione e mass-media. Solo il controllo di tutti gli aspetti tipici di una società democratica garantirà lunga vita al dittatore e al suo popolo.

Questi sono solo alcuni dei temi che Silone sceglie per i suoi singolari personaggi, i tre uomini che contribuiscono in forme diverse al dibattito lungo le 191 pagine. Il libro risulta denso e necessita di una lettura scrupolosa, stemperata soltanto in certi momenti ironici e buffi. Non è difficile comprendere perché il libro sia arrivato nelle case degli italiani così tardi: nel 1962 gli italiani cominciavano a dimenticare gli orrori della grande guerra e il boom economico anestetizzava il ricordo della dittatura, ma Silone compariva nelle librerie con i suoi attacchi feroci che rivelavano una ferita aperta, personale e collettiva. La scuola dei dittatori (1938) somiglia a un trattato dissacrante sulla dittatura e su ciò che noi ci ostiniamo a chiamare democrazia, pone il lettore in posizioni scomode e costringe inevitabilmente a porsi delle domande. È un testo che appare necessario anche nei nostri giorni, per resistere alle tentazioni autocratiche che continuano a esistere e a resistere nella nostra parte di mondo.

 

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