Daniela Bruno
Ennio Flaiano, pescarese di nascita e romano di adozione, fu un letterato poliedrico, compose racconti e aforismi, lavorò per il cinema e per il teatro, dedicò la sua intera esistenza alla scrittura. Parlò con riluttanza di sé e lo fece con poca indulgenza, si descrisse sempre come un uomo pigro e come un cattivo scrittore, a dispetto delle riprove letterarie giunte fino a noi.
È certo che fu riservato e solitario. Probabilmente anche per questa sua inclinazione all’introspezione, non godè in vita del successo che avrebbe meritato, infatti è stato spesso posto ai margini della vita poetica del dopoguerra. Le sue opere sono tutte nate dal singolare spirito d’osservazione che contraddistingue l’abruzzese e il suo sguardo disincantato e ironico sul mondo si è riflesso negli scritti densi di dettagli, insignificanti soltanto all’apparenza.
Divenne noto al grande pubblico nel 1947, con la vittoria del primo Premio Strega, col suo romanzo Tempo di uccidere che non lo rese mai soddisfatto, anzi ne provò sempre un certo senso di vergogna:
La mortificazione del successo – e la certezza di non esservi tagliato – le provai durante la pubblica premiazione, in un albergo romano, del mio primo e ultimo romanzo: «Tempo di uccidere». Ricevevo un premio ambito per un romanzo che ora trovavo tutto da riscrivere. […] (Flaiano, 1947 Tempo di uccidere, pp.10)
Flaiano tra le altre cose fu un instancabile viaggiatore. Roma però rappresentò, più dell’Abruzzo natale, una casa e un porto sicuro per l’autore.
Di un viaggio insolito racconta Un marziano a Roma, testo dedicato a Mario Pannunzio, pubblicato dal Il Mondo nel 1954, il racconto verrà trasposto nel 1960 in farsa teatrale, con alcuni adattamenti. La commedia fu fortemente voluta da Vittorio Gassman che si prodigò affinché tutto fosse ben organizzato per la prima, ma non fu apprezzata e forse neanche compresa dal pubblico in sala. L’insuccesso del Marziano a teatro ferì Flaiano che, come raccontò lo stesso Gassman, cercò di attutire il colpo con la sua solita stravagante ironia: “non sono più lo stesso, l’insuccesso mi ha dato alla testa”.
La capitale fu per Flaiano libertà e condanna, rappresentò non solo la città delle opportunità, ma anche quella delle crisi interiori: conobbe una città in piena ripresa economica; Via Veneto nei primi anni ‘50 pullulava di artisti e poeti che si riunivano nei caffè per notti intere, tra cui Vincenzo Caldarelli, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. Celebre e celebrato è il rapporto dell’autore con il cinema e soprattutto con Federico Fellini, amico e collega nel mondo del cinema, da questa coppia stravagante sono nati film cult italiani come La dolce vita o 8½.
Via Veneto e gli “amici della notte” che la popolarono, rappresentarono per Flaiano un periodo felice, o almeno di momentanea tranquillità. Fu però un’età breve perché alla fine degli anni ‘50 l’Italia intera cambiò volto con l’avvento delle prime autostrade e del rock'n'roll, mentre a livello internazionale il lancio dello Sputnik segnò l’avvio della conquista dello spazio nella sfida tra superpotenze mondiali: Ennio Flaiano stava a guardare i cambiamenti del Paese e del mondo intero con una certa tristezza.
Flaiano non proferì mai parole positive a proposito della televisione italiana, ad esempio: il mondo televisivo fa parte, nell’ottica dell’autore, dei cambiamenti che si porta dietro l’universo nuovo di Via Veneto; la usa per addormentarsi più che per trarne qualche insegnamento; profetizzava infatti, con velenosa ironia, che l’Italia sarebbe stata plasmata dalla televisione e non dai governi.
L’unico progetto televisivo al quale Flaiano collabora non ha lo stile dei programmi televisivi degli anni ’70: non rientra in nessuno stilema classico, non è propriamente un documentario e neanche un reportage giornalistico; è piuttosto un taccuino di viaggio, incarna cioè dati reali e le osservazioni antropologiche filtrate dagli occhi degli autori.
Il nostro sarà dunque un taccuino di viaggio, casuale e nemmeno ordinato. Tutto sarà alla giornata. Quello che ci interessa maggiormente è il rapporto uomo-natura, in un paese grande 34 volte l’Italia e con poco più di un terzo dei suoi abitanti, 21 milioni. Un paese dove, fuori dalle grandi città, la solitudine può essere la condizione normale, la chiave dell’esistenza. (Oceano Canada, puntata 1)
Nel 1971 il regista Andrea Andermann, cosciente dell’interesse che Flaiano nutre per il Canada gli propose di realizzare insieme un taccuino di viaggio filmato, destinato al piccolo schermo, che sarebbe stato trasmesso per la prima volta sul canale Nazionale a gennaio del 1973, a due mesi dalla morte dell’autore.
Il viaggio attraverso il Canada, scandito in cinque puntate, in corso d’opera diviene soprattutto un viaggio attraverso le diversità. Si vede Flaiano passeggiare tra le strade del moderno Quebec e nei villaggi esquimesi, cercando di cogliere in ogni luogo quelle vivaci contraddizioni che possono dare allo spettatore un’idea complessiva dell’ambiente di cui si parla.
La prima puntata del viaggio si apre con una scena rappresentativa del Canada e dell’ironia di Flaiano che regala allo spettatore accurate informazioni sugli indici di inquinamento e sul clima mite della giornata. Per dare al pubblico una prima idea generale su questo paese e sui suoi abitanti, Flaiano fa un sondaggio tra i passanti: su cento persone 46 sono protestanti, 44 cattolici, 3 ortodossi, 3 ebrei, 1 feticista, 1 buddista e 2 agnostici.
Il primo dei personaggi che Flaiano incontra è Rufus, un uomo che ha vissuto per trent’anni tra gli uomini bianchi ma, in preda a un rifiuto di quella stessa civiltà ritenuta troppo materialista, è tornato a vivere nella sua riserva.
Andermann e Flaiano dopo aver salutato Rufus si spostano a Vancouver, una città caotica e all’avanguardia. Le troupe televisive americane vi girano volentieri i propri film dato il costo inferiore della città canadese. Per la stessa ragione, la città è meta di diverse culture: ad esempio, c’è un quartiere intero abitato da sole famiglie cinesi che adottano il sistema di vita occidentale senza troppe resistenze ed un altro ancora colonizzato dagli hippies.
La prima puntata termina in un museo per bambini. L’autore appare estasiato dalle misure interattive che i canadesi adottano per l’istruzione infantile. Nell’Ontario Science Centre c’è di tutto: i macchinari che spiegano i princìpi dell’accelerazione; le macchine per misurare il consumo delle scarpe; locomotive e capsule spaziali. Il principio di base del sistema museale è che il visitatore deve toccare, interagire con le macchine al fine di accenderne la curiosità che serve per imparare. Si tratta di un sistema atto a stimolare lo sviluppo cognitivo dei bambini ben diverso dal rigore scolastico italiano.
Il secondo episodio del viaggio in Canada rende ancora più evidente la caratteristica multiculturale che Flaiano tenta di raccontare. Da Dawson City, dopo sei ore di volo, con un Dakota noleggiato, la troupe arriva a Tuktoyaktuk, alla foce del fiume Mackenzie, sull’Oceano Artico, a 70 gradi di latitudine nord. È il 15 agosto, un ferragosto tra gli esquimesi. Il mondo dall’Oceano Artico è visto da una prospettiva diversa (dall’alto, dicono gli esquimesi). Il villaggio ha 520 abitanti contati che vivono in case di legno, ma il numero esatto degli esquimesi rimasti non è dimostrabile, perché in molti partono per la caccia e ritornano anni dopo, magari in un altro villaggio. Vivono prettamente di caccia e di pesca, hanno scoperto da poco i lussi del vicino Canada: l’assistenza sociale; case confortevoli e l’alcool. A Tuktoyaktuk sono arrivati anche i primi turisti e le donne lavorano le pelli dei caribù per vendergliele, il nome stesso del piccolo villaggio vuol dire letteralmente “due caribù”.
Nel piccolo villaggio Flaiano e i suoi colleghi conoscono un signore anziano, Wilkie, che incarna il progressismo inaspettato degli esquimesi. Ha otto figli di cui due maschi sono cacciatori, un altro è apprendista meccanico e vive lontano dal villaggio, il quarto maschio e la sorella poco più piccola vanno in una scuola fuori dal villaggio, la settima figlia invece è in ospedale:
-“è malata?” chiede Flaiano
-“no, aspetta un bambino”
-“il marito è esquimese?”
-“mia figlia non ha marito”
-“chi è il padre?”
-“non so chi sia il padre, io lascio la massima libertà ai miei figli.”
(puntata 2, Oceano Canada)
Mentre in Italia le donne erano costrette a lottare per autodeterminarsi, a Tuktoyaktuk, un minuscolo villaggio di cacciatori, una donna esquimese metteva alla luce un figlio, senza essere costretta a sposarne il padre, senza la necessità di fornire spiegazioni alla sua comunità.
La terza puntata racconta della folta comunità italiana che vive a Montréal, una città in cui gli spazi sono dilatati. Flaiano che non è abituato ai grattacieli e ai panorami industriali si guarda intorno stupito. La prima tappa tra gli italiani in Canada, una piccola chiesa che si chiama Notre Dame de la Défense, parrebbe una chiesa normale ma è probabilmente l’unica chiesa al mondo che abbia la volta dell’abside affrescata con temi e personaggi moderni, tra i quali spiccano : Guglielmo Marconi e Benito Mussolini (l’unico a cavallo).
Tra i duecentomila italiani che vivono a Montreal, Flaiano fa visita alla redazione del Corriere Italiano e ha un breve colloquio con il dottor Sgherri, il direttore. Sgherri racconta di come gli italiani, tra le molte minoranze presenti, a parer suo, soffrano una velata discriminazione causata dalla stampa canadese che ne diffida, soprattutto perché il Canada è visto come un trampolino di lancio per arrivare negli Stati Uniti e non un paese stabile in cui vivere a lungo. Raggiungere gli Stati Uniti non è difficile perché gli emigranti viaggiano nei bagagliai delle auto e non riscontrano mai troppi problemi. Il viaggio all’interno della comunità italiana a Montreal prosegue. La folta presenza italiana è ben rappresentata dalla scena in cui un gruppo di emigrati abruzzesi canta in francese l’inno nazionale canadese, in occasione del pranzo annuale dell’associazione.
L’ultima puntata di Oceano-Canada è ambientata a due ore di volo da Montreal, nella regione di Abitibi, Flaiano incontrerà vecchi amici e ne conoscerà di nuovi. Tra i personaggi che spiccano in tutto il viaggio c’è Gaston Miron, un poeta dissidente a capo della protesta québécoise. Il risveglio quebecois è cominciato negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Il punto di massima violenza è stato toccato nel 1970, con il rapimento e l’uccisione del ministro Laporte, omicidio che aveva lo scopo di invogliare gli abitanti del Quebec francese alla rivoluzione. Miron si scaglia con forza contro i suoi concittadini che hanno perso l’identità francofona e inveisce senza mezze misure contro quei franco-canadesi che hanno dimenticato chi sono e hanno smarrito la loro reale identità.
Il viaggio di Flaiano si conclude alla Petit Bastille, una vecchia prigione di stato data in gestione a dei giovani che ne hanno fatto un ostello gratuito e un centro culturale giovanile. Flaiano e i suoi lasciano il Canada la sera del 26 settembre. Dalla terrazza dello Chateau Frontenac, la voce di Flaiano congeda lo spettatore:
Una volta il poeta Ungaretti dopo una gita in campagna, disse: «Che abbiamo visto? Un cavallo, una formica, una nuvola». Che cosa possiamo aggiungere noi? Che abbiamo visto? Qualche vecchio amico, Wallace, Johnny, i Gourd, Gaston Miron, qualche nuovo amico, un indiano alla ricerca della sua patria, degli italiani che hanno trovato qui una nuova patria, abbiamo visto molte nuvole, un paesaggio inestinguibile, una città, una piccola esquimese…
Di Oceano Canada si è parlato poco, il documentario è stato rimesso in onda dalla Rai nel 2010, su RaiRewind, e successivamente su RaiStoria, due reti di nicchia, dunque riservate a un pubblico ridotto. L’ultima volta che è stato costruito un dibattito attorno al taccuino di viaggio di Andermann e Flaiano è stato nel 2007, a Milano, durante la Rassegna Documentare la città, in una giornata di studi su Montreal.
Nonostante la poca risonanza che l’opera ha avuto tra il pubblico televisivo e la critica, Oceano Canada rappresenta un unicum nel suo genere ed è proprio per questa ragione che sarebbe necessario riportarne in auge la valenza artistica, nonostante Flaiano probabilmente non sarebbe d’accordo.
Carteggio fra Ennio Flaiano e Federico Fellini da academia.edu (data di ultima consultazione 11/11/2022)
Flaiano Ennio, Andermann A., Oceano Canada da raiplay.it (data di ultima consultazione 11/11/2022)
Flaiano Ennio, La solitudine del satiro, 1996
Natalini Fabrizio, Flaiano Ennio, Viaggiatore scontento, 2018
Ruozzi Gino, Flaiano Ennio, Una verità personale, 2012