I nottambuli di "Nightwood": identità frammentate sulla Rive Gauche

Rebecca Milanesi

La narrativa di Djuna Barnes è ricca di echi autobiografici, influenzata dalle esperienze che l’autrice vive in prima persona, sia come protagonista che come spettatrice. Uno dei suoi obiettivi principali, come si evince leggendo la sua vasta produzione letteraria e giornalistica, è quello di ritrarre personalità spesso emarginate, insolite, distanti dai riflettori della letteratura classica. Questa prerogativa è particolarmente visibile nel romanzo Nightwood (1936), in cui l’autrice racconta la disperata ricerca di identità dei protagonisti della vita bohemienne parigina del primo dopoguerra.

 

“Pensate a tutte quelle storie che alla fine non contano nulla! A quelle cioè che vengono dimenticate a dispetto di tutto ciò che l’uomo ricorda semplicemente perché sono capitate a chi non ha distinzione di carica o titolo... è quel che chiamiamo leggenda, il meglio che un poveretto possa ottenere dal suo destino.” (Nightwood, D. Barnes, 1936:34)

 

1. Gli anni parigini e la genesi di Nightwood

2. Robin: ritratto della somnambule

3. Jenny e le identità rubate

4 L'eco di Tiresia nella figura di Matthew O'Connor

5. La frammentazione modernista in Nightwood

6. Bibliografia

 

 

1. Gli anni parigini e la genesi di Nightwood

Nel 1921 Djuna Barnes visita Parigi per intervistare i suoi compatrioti emigrati nella Ville Lumière per conto di alcune riviste. Da quel momento comincia a frequentare i salotti e i circoli più esclusivi, dove si contraddistingue per il suo stile e per il suo spirito arguto e brillante. Decide quindi di trasferirsi da New York, “città da un milione di quadrati” (Fumo, D. Barnes, 1914-16:24) all’altro polo culturale degli Années Folles, in cui si ritrovano in quegli anni i maggiori esponenti dell’arte e della letteratura, in particolare quella modernista.

Nello spensierato e sempre vivace clima bohemienne della città conosce personalità influenti come Natalie Clifford Barney: il suo salone in Rue Jacob 20 è frequentato da donne che ispireranno l’autrice a scrivere Ladies Almanack (1928), libro-ritratto di alcune delle cosiddette “donne della Rive Gauche” (Benstock, 1976), che in quegli anni contribuiscono a rendere Parigi la capitale della cultura e della libertà di espressione.

Gli anni parigini sono contraddistinti anche dalla drammatica relazione amorosa iniziata nel 1921 tra Djuna Barnes e Thelma Wood, artista americana approdata a Parigi per specializzarsi in scultura e arti figurative. La loro storia termina dopo otto anni ed è caratterizzata da infedeltà e gelosia, ma segna profondamente le due donne, al punto che entrambe considereranno l’altra il proprio grande amore.

Alcuni anni dopo Djuna si ispira alla storia d’amore ormai finita nella scrittura di Nightwood, romanzo che come un De Profundis modernista racconta il dolore della perdita e il dramma dell’esistenza. La figura di Thelma Wood diventa infatti il calco da cui l’autrice crea l’enigmatica Robin Vote, uno dei personaggi principali dell’opera.

 

2. Robin: ritratto della somnambule

Seguendo le passeggiate e le bevute notturne del Barone Felix e dell’eccentrico Dottor Matthew O’Connor, il lettore si ritrova in una stanza dellHotel Récamier che somiglia a una giungla e incontra per la prima volta Robin Vote, la somnambule. Il profilo della donna risulta sfocato e poco preciso, la descrizione fisica in principio quasi inesistente e la connessione tra lei e gli altri personaggi superficiale (si ricorda del dottore solo dopo che lui accenna al bar in cui si sono incontrati precedentemente). Superficiale, seppur mascherato di una profondità forzata, è anche l’amore che Felix prova a prima vista per lei. In Robin vede la madre di suo figlio, l’oggetto con cui può raggiungere il suo obiettivo principale di lasciare al mondo una progenie che porti avanti il suo titolo di barone e il suo amore nostalgico per il passato. Robin è titubante e incerta, ma l’uomo riesce a raggirare la sua volontà e a ottenere quello vuole: rinchiudere la giovane nella gabbia di una relazione tradizionale, di una famiglia e di un focolare che non le appartengono e contro cui lei impreca fin dall’inizio della gravidanza.

Robin però riesce a evadere dalla prigione della vita coniugale rifugiandosi nell’alcol e nelle sue sparizioni notturne, che diventano via via più frequenti fino ad arrivare al punto di abbandonare la propria famiglia perché non più in grado di tollerare la maschera menzognera di moglie e madre. Robin è un personaggio notturno, un’entità informe ed eterea che prende vita soltanto al calare del sole, momento in cui comincia ad acquisire tratti più definiti e una propria personalità, in antitesi con quella che tutti conoscono alla luce del giorno. La ragazza é descritta infatti come l’unione di due metà convergenti di un destino spezzato. Questo aspetto si palesa a Felix quando la sorprende addormentata su una poltrona con una mano sotto la guancia e sul pavimento le memorie del marchese de Sade. Questa scena mette in risalto il contrasto tra la calma del sonno e del focolare domestico e la tormenta presente nella mente della ragazza, che poco dopo la nascita del figlio decide di andarsene da Parigi.

La fuga da Parigi la porta per puro caso a conoscere Nora Flood. Con lei si trasferisce in un appartamento di Rue du Cherche-Midi e si lascia alle spalle la sua vita precedente fatta di finzione e sofferenza. Anche durante la loro storia d’amore, però, Robin è alla continua e disperata ricerca di un’identità propria e vive nella paura perenne di “perdersi ancora” (Nightwood, D. Barnes, 1936:72).

Nonostante con Nora riesca ad avere pochi e rari momenti di sincerità e di lucidità, “in Robin c’era questo tragico anelito a essere trattenuta, perché si sapeva smarrita” (ivi, 74). Mentre la sua amante è caratterizzata da un io più delineato e comprensibile, esplicito e luminoso, lei è incerta. Robin cerca se stessa nelle vite degli altri, canta canzoni straniere e ogni notte spera di potersi plasmare nell’anonimato (e quindi nell’assenza di un’identità pubblica) e lasciarsi ancora una volta andare al suo destino fatto di buio e impulsività incontrollata. Robin è un personaggio-ombra, un falco notturno onnipresente all’ombra dei lampioni dei chiaroscuri parigini raccontati dalla Barnes, intento a seguire figure e identità altre.

La notte, che nel romanzo è sinonimo di irrazionalità, viene vissuta da Robin e sofferta da Nora, in quella casa che come un museo raccoglie i cimeli della loro storia d’amore ormai agli sgoccioli. 

 

 

3. Jenny e le identità rubate

Dalla finestra della stessa casa Nora vede Robin in compagnia della donna con cui andrà a vivere poco dopo. 

Interrotta la sua storia con Nora  (una donna solida generosa e acculturata, la cui rete di conoscenze ricorda l’ambiente dei salotti parigini degli Anni Venti), Robin si affida infatti a Jenny. La sua nuova amante è ben diversa da Nora: utilizza parole “prese in prestito; se fosse stata obbligata a inventare un vocabolario suo, sarebbe stato un vocabolario di due parole, “ah” e “oh”.” (ivi, 83)

Della nuova amante di Robin, quindi, non viene data una descrizione positiva, ma piuttosto una lista di ossimori in contrasto tra loro e viene detto di lei che nella sua frenesia di essere una persona, profana il significato stesso di personalità.

I personaggi del romanzo sono alla continua ricerca dei cocci della loro identità frammentata sparsi in ogni pagina, in ogni angolo della città, in ogni persona. Non si può però dire lo stesso quando si analizza il profilo psicologico di Jenny. Nel suo caso, infatti, più che di ricerca sarebbe opportuno parlare di furto perché, come afferma anche il Dottore, il suo presente è sempre il passato di qualcun altro:

 

Le sue pareti, i suoi armadi, i suoi scrittoi brulicavano di traffici di seconda mano con la vita. [...] Sul suo dito c’era la fede di un’altra persona, sul suo tavolo la fotografia di Robin fatta per Nora. I libri della sua biblioteca erano scelte altrui. Viveva tra le sue cose come il visitatore di una stanza conservata “esattamente com’era quando...(ivi, 82)

 

La casa di questa donna di mezza età con gli atteggiamenti da bambina è un’esposizione di oggetti rubati alle vite delle altre persone e dimostra l’inconsistenza sostanziale della sua personalità e la mancanza di un’identità propria.

In Jenny convivono tesi e antitesi, es e super-io, che, senza la moderazione dell’io e della razionalità, prendono il sopravvento sul suo temperamento, già di per sé oscillante e volubile. Tra tutti i personaggi dell’opera è inoltre quello più disonesto: regala libri mai letti per sembrare una donna colta (pur non avendone letti che una decina in tutta la vita) e la sua ostentazione della nobiltà e della ricchezza nascondono poca grazia nei movimenti e nelle parole pronunciate, che spesso non vanno oltre a semplici versi o frasi fatte.

 

4. L’eco di Tiresia nella figura di Matthew O'Connor

Tra le curve della Senna e le piazze della Rive Gauche, le vite di tutti, prima o poi, si incrociano con quella del Dr. Matthew O’Connor. Altro personaggio prettamente notturno onnipresente (e onnisciente) nel romanzo, fa da anello di congiunzione tra tutte le anime smarrite che vagano per la Parigi notturna. È il più vecchio tra i protagonisti e, nonostante si impossessi quasi con la forza di ogni conversazione, poco o nulla lascia trasparire della sua storia e della sua vera identità. Le sue lunghe divagazioni riguardano le storie o le leggende degli altri, siano essi suoi avi o persone che conosce solo per sentito dire. La sua attenzione si posa nella maggior parte dei casi sugli emarginati, tutti coloro che non riescono a trovare un posto nel mondo e con cui lui, invece, riesce a simpatizzare.

La prima impressione che si ha del dottore è che si lasci trasportare da fiumi incontrollati di parole senza senso, che gli sfuggono di mano a tal punto da farlo apparire incoerente. A uno sguardo più attento, però, si nota che è l’unico tra tutti a essere veramente in grado di ascoltare, consolare, aiutare.

Citando la prefazione di Eliot a Nightwood del 1937: “Dapprima sentiamo il dottore che parla e basta, non capiamo perché parli. A poco a poco ci accorgiamo che al suo egotismo e alle sue fanfaronate si accompagnano anche un disperato disinteresse e una profonda umiltà”.

Quando Nora si presenta alla sua porta disperata e sofferente per amore, lui riesce a consolarla (seppur momentaneamente) ed è il primo a coinvolgerla nel mondo della notte, che le appare tanto sconosciuto e oscuro. La donna gli chiede,infatti, come rivela il titolo del capitolo, “Guardiano, com’è la notte?” (ivi, 93). Nonostante il suo discorso sia comunque ricco di digressioni, il dottore le parla sinceramente e le racconta tutto ciò che lei non sa (o ha ignorato) riguardo Jenny, Robin e l’oscurità. Dopo la loro conversazione, Nora vede la realtà dei fatti, capisce di aver subito una trasformazione: a causa della contaminazione reciproca delle loro identità, la sua anima luminosa sarà per sempre legata a quella buia della sua amata.

 

Il Dottore non fatica a crederle. Il capitolo si chiude infatti con una sua considerazione: “pensavo: un giorno Nora lascerà quella ragazza, ma anche se saranno sepolte ai capi opposti della terra, un solo cane le troverà entrambe. (ivi, 118)

 

Questa frase può rappresentare la continua contaminazione psicologica tra Nora e Robin, il cui amore è puro e al contempo distrutto. Se letta in chiave metaforica, però, la considerazione del Dottor O'Connor è anche l’essenza del romanzo stesso. Tutti i protagonisti hanno infatti identità varie che convivono in un solo corpo, poli opposti e complementari, come il giorno e la notte.

Il Dottor O’Connor è infatti la personificazione della metamorfosi e della dualità. Dal tono narrativo e dalle sembianze che fin dall’inizio ricordano la rappresentazione eliotiana di Tiresia, proprio come il personaggio del mito classico vive una doppia vita: quella di uomo e quella di donna. Nel primo incontro tra lui e Robin, dopo aver rianimato la ragazza, viene sorpreso da Felix intento a fare movimenti da illusionista per poter utilizzare i suoi trucchi:

 

Felix vide che tutto ciò veniva fatto allo scopo di carpire qualche goccia da una boccetta di profumo tolta dal comodino, di passarsi il piumino della cipria sul mento scuro e ispido e di tracciare sulla bocca una striscia di rossetto, il labbro superiore compresso sull’inferiore così che il loro fiorire improvviso paresse una benedizione della natura. (ivi, 53)

 

Il Dottore può essere visto quindi non solo come un guardiano della notte, ma anche come un vero e proprio esempio letterario di riaffermazione della propria identità di genere. I suoi movimenti sono schivi non per vergogna, ma per volontà di far sembrare la sua metamorfosi un miracolo, una benedizione divina e completamente naturale.

 

5. La frammentazione modernista in Nightwood

Nightwood è uno dei testi che meglio esprimono la narrativa modernista, portando il tipico tema della frammentazione alla sua massima espressione. Pur concedendosi aspetti già visti come la varietà linguistica e geografica e la non coincidenza del tempo della narrazione con quello cronologico, l’autrice si spinge oltre e sviscera ulteriormente la frammentazione modernista, rendendola tratto predominante (se non unico) dei suoi personaggi.

Le identità di tutti sono frammentate, non delineate, sparse in ogni angolo della città e difficili da ricostruire perché nessuno è veramente ciò che dice di essere. Leggendo questo libro ci si ritrova a effettuare involontariamente un continuo e frenetico tentativo di ricostruire queste identità distrutte, che nella storia appaiono come dei quadri espressionisti catapultati in ambientazioni alla Nighthawks di Hopper.

La loro identità di genere, sessuale, morale e fisica si amalgama con l’ambiente circostante e scorre come l’acqua della Senna in un flusso continuo e infinito, tanto quanto il dolore che provano.

Il libro però, come afferma Eliot nella sua prefazione, non è e non deve essere considerato uno studio di psicopatologia:

 

Le miserie di cui gli uomini soffrono a causa delle particolari anomalie del loro carattere sono visibili in superficie: il disegno più profondo è quello dell’infelicità e del selvaggio dell’uomo, che sono universali. [...] A me sembra che tutti noi, finché ci attacchiamo alle cose create e assoggettiamo la nostra volontà a fini temporali, siamo rosi dallo stesso tarlo.

 

La frammentazione raccontata da Djuna Barnes in questo romanzo è quindi anche la rappresentazione pura e schietta di un’intera generazione, che si sarebbe trovata di lì a poco a provare di nuovo il dolore dell’annientamento dell’io e della distruzione delle certezze appena parzialmente ritrovate. 

Ed è forse anche questo uno dei tanti motivi che hanno reso la più celebre sconosciuta al mondo una tra i più grandi esponenti del modernismo letterario.

 

6. Bibliografia e sitografia

Barnes, Djuna (1936). La foresta della notte, Adelphi, Milano (1983)

Barnes, Djuna (1914-16). Fumo, Adelphi, Milano (1994)

Benstock, Shari (1976). Women of the Left Bank, Paris 1900-1940, University of Texas Pr, Austin (1986)

Ciccotti, Claudio, Djuna Barnes: la più celebre sconosciuta al mondo, da canadausa.it (data di ultima consultazione: 12 settembre 2021)

Eliot, Thomas Stearns. Prefazione a Nightwood (1936)

Winterson, Jeanette. Prefazione a Nightwood (2006)

 

Immagini

Foto 1 da pangea.news (data di ultima consultazione: 12 settembre 2021)

Foto 2 da sentieristerrati.org (data di ultima consultazione: 12 settembre 2021)

Foto 3 da hkfamily5.com (data di ultima consultazione: 12 settembre 2021)

Foto 4 da wikipedia.org (data di ultima consultazione: 12 settembre 2021)