Della stessa materia dell'oppressione: "The Tempest" e il colonialismo

Rebecca Milanesi

Il primo novembre 1611 viene messa in scena per la prima volta, al Whitehall Palace, The Tempest di William Shakespeare. L’occasione per tale evento sono i lunghi festeggiamenti per il matrimonio della principessa Elisabetta con il Conte Palatino e la conseguente unione politica anglo-tedesca. Ricordando la compianta Regina Elisabetta I Tudor, il palazzo viene pervaso da un clima di festa, poesia e musica, tra masque di Ben Jonson e Inigo Jones e numerosi spettacoli di William Shakespeare, ormai quasi giunto alla fine della sua carriera e della sua vita.

1. Genesi di un enigma letterario
2. Prospero: magus conquistador?
3. Shakespeare, De Montaigne e i cannibali
4. 
Scurvy Monster: Caliban l'oppresso
5. Conclusioni

 

1. Genesi di un enigma letterario 

The Tempest, ultima opera scritta interamente da Shakespeare, viene spesso associata alla maturità del poeta, al raggiungimento della piena consapevolezza del proprio vissuto e del senso dell’esistenza che egli decise di dedicare interamente alla scrittura e al teatro. 

Scritta tra il 1610 e il 1611 e considerata da Peter Brook un enigma letterario, è uno dei testi di più difficile interpretazione del corpus shakespeariano e ha portato a divari non indifferenti nel mondo degli studi dedicati al poeta proprio perché impossibile da identificare in un unico genere, in un unico significato o in un’unica interpretazione.

La presenza di più chiavi di lettura la rendono estremamente complessa, densa e polivalente. Le varie sfumature che la caratterizzano sono un chiaro segno di una personalità artistica, quella di Shakespeare, molto più matura e consapevole rispetto alle prime opere scritte.

Con il passare dei secoli, infatti, moltissimi critici hanno trovato nuovi approcci all’opera, dimostrando la poliedricità della stessa: dall’eco-criticismo agli studi di genere, la play non ha mai dato cenni di cedimento di fronte al vaglio dei critici che spesso trovano delle problematiche dal punto di vista etico nella maggior parte dei testi anche di più recente scrittura.

La struttura e la trama sono apparentemente molto semplici, il copione rispetta quasi completamente le leggi aristoteliche dal punto di vista del tempo e dell’ambientazione, il sistema dei personaggi appare piuttosto scarno e non particolarmente complesso. La narrazione si sviluppa nell’arco di una giornata su un’isola disabitata in mezzo all’oceano e risulta divisa in più livelli narrativi. Ciascuno ha come protagonisti vari personaggi che solo all’inizio e alla fine si ritrovano tutti insieme nello stesso luogo.

La grandiosità letteraria dell’opera sta nel suo essere scolpita tra le pagine con tale maestria che permette al lettore più attento di osservarla da più angolazioni, senza riuscire a individuare in essa una vera distinzione tra eroi e antagonisti della vicenda. I confini tra il bene e il male sono estremamente sottili, proprio come quelli tra oppresso e oppressore, i personaggi riflettono quindi la struttura dell’opera, basata sull’alternanza tra perdita e riconquista dell’equilibrio del mondo e un incessante ribaltamento di ruoli.

La giusta chiave di lettura è sconosciuta: non esistono scritti del drammaturgo che permettano di interpretare il testo come era stato esplicitamente inteso da lui. Le varie letture dello stesso sono quindi frutto di congetture e speculazioni postume che non rappresentano però una verità assoluta.

 

2. Prospero: magus o conquistador?

Il personaggio più difficile da decifrare e da inserire in una casella definita è sicuramente Prospero, da sempre grande dilemma letterario. 

Prospero viene presentato al lettore/spettatore come vittima di una congiura, colto nell’azione di raccontare alla figlia la sua storia e il torto subito dal fratello. Il grande magus era infatti il duca di Milano che, a causa della sete di potere del fratello, venne cacciato dal proprio regno ed esiliato su un’isola sperduta e impossibile da trovare. Proprio a causa di questo torto subito, ripaga il fratello con una vendetta che lo obbligherà a redimere i propri peccati affrontando un terrificante naufragio, seguito da un lungo e faticoso percorso sull’isola. Lo spettatore è quindi indotto a provare empatia nei confronti del protagonista e a provare pena per il povero duca (esiliato insieme a sua figlia con poco più di qualche libro come unico bagaglio).

L’uomo è un migrante, un uomo costretto a cominciare una nuova vita in una terra sconosciuta, a crescere una figlia da solo, a lottare per la sopravvivenza e per non farsi sottomettere dalla perfida Sycorax, precedente padrona dell’isola. Cosa accade però se si pazienta per qualche scena e si cerca di valutare Prospero in base alle sue azioni e non in base al suo passato? In tal caso, ci si troverà di fronte a un personaggio non malvagio ma tutt’altro che innocente, a un uomo che grazie alla conoscenza della magia bianca sconfigge sì una terribile strega, ma che utilizza la stessa in modo totalmente illecito per sottomettere e comandare ogni spirito dell’isola, ogni suo abitante, le stelle e persino il mare.

In questo modo The Tempest può essere letta come perfetta metafora dello spietato colonialismo europeo che, a partire dalle prime spedizioni di Cristoforo Colombo, ha causato genocidi, pulizie etniche, la distruzione di intere culture e popolazioni native, e la deturpazione del vergine territorio americano.

È possibile rintracciare nell’opera riferimenti al territorio americano, o meglio, alle spedizioni nel Pacifico caratteristiche dell’epoca, tempo in cui tutta l’Europa e, in particolar modo, l’Inghilterra, cercavano di conquistare il maggior numero possibile di colonie per accrescere il proprio potere economico. Il primo accenno si può trovare già della seconda scena del primo atto in cui Ariel dice a Prospero: “fetch dew / from the still-vex’d Bermooths”.

Le isole Bermuda erano infatti  già conosciute in Inghilterra e, secondo molti studiosi, Shakespeare ebbe modo di scoprire (tramite resoconti di viaggio) anche della loro già temuta letalità per i viaggiatori, che spesso si ritrovavano in quei territori di fronte a spaventose tempeste e rischiavano la vita. Di seguito, un estratto di una lettera di William Strachey, che racconta di un naufragio avvenuto nel 1609 in questo arcipelago:

 

The dangerous and dreaded… Ilands of the Bermuda… they be so terrible to all that ever touched on them, and such tempests, thunders, and other fearfull objects are seene and heard about them, that they be called commonly The Devils Ilands, and are feared and avoyded of all sea travellers alike, above any other places in the world.

 

Il sostrato narrativo coloniale emerge dal testo lentamente e da questo primo accenno è possibile riconoscere un nesso molto forte alla bramosia di territori tipicamente inglese.

 

3. Shakespeare, De Montaigne e i cannibali

Col passare delle scene il lettore si trova finalmente di fronte a Caliban, mostruoso e ricurvo essere, figlio di Sycorax e abitante nativo dell’isola.

Il nome del personaggio sembrerebbe un anagramma della parola “cannibal, tesi rivelatasi veritiera dopo numerosi studi riguardo le fonti di Shakespeare per la scrittura di The Tempest. L’autore si è infatti ispirato, per la rappresentazione degli abitanti dell’isola, a uno scritto di Michel de Montaigne intitolato, appunto, Dei Cannibali.

Per capire meglio il rapporto tra il famoso trattato del filosofo e l’opera teatrale del poeta, sarebbe opportuno esporre il contenuto del primo e la caratterizzazione del personaggio shakespeariano. Caliban infatti appare come un vero antagonista nella vicenda, è presentato come un selvaggio, come una persona che, nonostante i tentativi di Prospero di renderlo più umano, “civilizzarlo”, non cambia la propria indole e rappresenta, dunque, la perfetta personificazione del concetto di “selvaggio”.

Rileggendo però Dei Cannibali, viene indirettamente suggerita da Montaigne un’altra lettura del personaggio, un nuovo punto di vista sulla vicenda: quello di Caliban. Grazie a questo nuovo sguardo è possibile empatizzare, invece che con Prospero, con il “selvaggio”, che scopriremo essere in realtà il vero oppresso in questa vicenda.

Montaigne infatti nel suo saggio giustifica il cannibalismo che si presenta in alcuni popoli nativi, affermando che molte pratiche effettuate in Europa sono decisamente più selvagge e immorali rispetto alla pratica di cibarsi dei corpi morti dei nemici.

 

“È molto più barbaro mangiare un uomo vivo che uno morto. E lo è molto di più torturare e martoriare un uomo ancora sensibile, farlo arrostire a fuoco lento, farlo mordere e dilaniare da cani e porci che arrostirlo e cibarsene dopo morto.”

(Michel de Montaigne, Dei Cannibali)

 

Grazie a queste riflessioni il lettore di fronte al saggio di De Montaigne e a The Tempest comincia a guardare da una posizione più distaccata i personaggi e in particolar modo quelli europei, per i quali tende a simpatizzare. Entrando in empatia con Caliban vediamo Prospero come un invasore, qualcuno che si impossessa della casa di Caliban, che lo usa come schiavo, come un oggetto. Lo stesso destino spetta ad Ariel, spirito dell’aria precedentemente imprigionato in un albero di pino: Prospero lo libera dalla schiavitù da parte di Sycorax, ma gli riserva la stessa sorte, facendolo suo servitore, eternamente in debito con lui. Ecco in questo caso un’eco  alla già conosciuta tratta degli schiavi, che diede inizio all’oppressione da parte dei colonizzatori occidentali di tutto quello che fosse estraneo a loro, lontano geograficamente e culturalmente dalla loro normalità. Inoltre, i popoli nativi delle colonie inglesi che in Nord America sono risparmiati dalla furia imperialista e tenuti in vita dai barbari coloni proprio come Ariel e Caliban, vivono in una costante situazione di debito nei confronti dei loro oppressori.

Questo ribaltamento di ruoli in cui l’eroe diviene il vero antagonista della play, viene messo in scena anche in teatro, arte che permette da sempre nuovi adattamenti e riletture di opere come questa. In molte rappresentazioni teatrali Caliban è interpretato da una donna afroamericana, emblema degli oppressi, rappresentante di più gruppi schiacciati dall’uomo bianco colonialista.

 

4. Scurvy monster: Caliban l'oppresso

Prospero esercita il suo potere incontrollato su tutto nell’isola e appena sconfigge Sycorax insegna a Caliban la sua lingua. Caliban impara a parlare come Prospero e Miranda e smette di usare la sua lingua, che muore nell’oblio causato troppo spesso dalla pulizia culturale esercitata dagli oppressori. Leggere di questa vicenda ricorda al lettore della pulizia etnica e culturale effettuata in Nord America durante la conquista delle prime colonie e, successivamente, dei territori più a ovest. The Tempest avverte lo spettatore riguardo i pericolosi confini tra l’etica e la sete di conquista e di scoperta.

Shakespeare ha inoltre deciso di far parlare uno dei suoi personaggi più mostruosi con l’utilizzo del blank verse, quasi a spingere il lettore ad andare oltre l’aspetto e l’atteggiamento selvaggio e trovare in lui un poeta incapace di arrecare dolore ai “civilizzati” invasori, che passano invece il loro tempo a vendicarsi, farsi dispetti e odiarsi l’un l’altro.

Proprio come i nativi americani con i coloni inglesi, Caliban mostra prima a Prospero e poi, nel corso dell’opera, a Stefano e Trinculo, i luoghi più prosperi dell’isola, illustra loro come vivere dei frutti della terra, insegna loro a sopravvivere in un ambiente così estraneo.

 

“I’ll show thee the best springs; I’ll pluck thee berries;
I’ll fish for thee, and get the wood enough.
(…) I prithee let me bring thee where crabs grow,
And I with my long nails will dig thee pig-nuts,
Show thee a jay’s nest, and instruct thee how
To snare the nimble marmoset. I’ll bring thee
To clust’ring filberts, and sometimes I’ll get thee
Young scamels from the rock. Will thou go with me?”

(Caliban, act 2, scene 2, The Tempest)

 

In cambio viene trattato come un mostro indegno di gentilezza, viene reso schiavo, considerato un buono a nulla e un ingenuo, e viene insultato più volte dagli invasori europei (viene addirittura definito “mooncalf”, aborto di luna).

 

“By this good light, this is a very shallow monster; I afeard of him? A very weak monster! (…) I shall laugh myself to death at this puppy-headed monster. A most scurvy monster! I could find my heart to beat him.”

(Trinculo, act 2, scene 2; The Tempest)

 

Disperato e volenteroso di liberarsi dal suo oppressore però tollera le vessazioni dei due estranei e, annebbiato dall’alcol, canta a squarciagola un canto di libertà, reso famoso nel corso del XX secolo dalle molte rivisitazioni musicali da parte di cantautori afroamericani.

Prospero incarna quindi, secondo le riletture post-coloniali dell’opera, l’archetipo dell’invasore colonialista, che con presunzione e grazie all’utilizzo delle sue conoscenze tecnologiche più avanzate, deturpa il territorio un tempo incontaminato e rende schiavi i suoi abitanti.

 

5. Conclusioni

Agostino Lombardo, celebre traduttore di numerose play di Shakespeare, afferma nella sua prefazione a The Tempest che solo un drammaturgo al culmine dei suoi poteri avrebbe potuto far sì che un materiale così fervido e vario potesse comporsi nell’ordine della forma. L’opera infatti dimostra la genialità, la lungimiranza, l’incredibile capacità di osservare e raccontare di un poeta che fu in grado, quattro secoli fa, di rappresentare la realtà in modo caleidoscopico pur presentando una trama così semplice. Grazie al potere della parola e del teatro, Shakespeare ci presenta delle dinamiche talmente versatili che possono stimolare l’inventiva dei registi, degli attori, dei musicisti, ma anche dei critici letterari.

Le analogie con la storia coloniale che vide la “grande conquista” di territori immensi come l’America o l’India ci dimostrano quanto questo testo riesca a parlare, a presentare con quattrocento anni di anticipo un disastro preannunciato: quello del colonialismo occidentale aggressivo e distruttivo.

La vera differenza tra la finzione e la realtà, però, è che la tempesta termina con un ristabilimento dell’equilibrio cosmico, l’harmonia mundi è ripristinata e tutti riescono a raggiungere una sorta di lieto fine. Prospero, con il suo celeberrimo monologo, rinuncia finalmente alle arti magiche, che ha utilizzato numerose volte per indispettire e tenere schiavi Ariel e Caliban. Osservando il mondo reale, giù dal palcoscenico e al di là del sipario, la situazione dei nativi, degli immigrati e dei loro figli in Nord-America rimane tragica, intrisa di razzismo strutturale, vittima di una continua e violenta oppressione economica e sociale che prosegue da secoli e non mostra cenni di progresso.

 

6. Bibliografia

De Montaigne, Michel; Dei Cannibali. Alle origini del relativismo moderato (2019); Mimesis, Sesto San Giovanni

Lombardo, Agostino; Prefazione a La Tempesta (2014); Feltrinelli, Milano

Shakespeare, William; The Tempest; (2008); Oxford University Press, Oxford

Strachey, William; A True Repertory of the Wracke (1625); British Library, London