Eco-speranze: futuro sostenibile tra politica e letteratura

Ilaria Sala

Nel 2009 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite destinò il 22 aprile alla Giornata Mondiale della Terra nel tentativo di “aumentare la consapevolezza ambientale” nelle 192 nazioni che vi partecipano.

Lo scopo è indubbiamente quello di spingere la comunità mondiale verso un futuro più verde, tramite attività che sensibilizzano i cittadini sull’impatto che le proprie scelte hanno sull’ambiente e promuovendo l’adozione di politiche a suo favore.

 

1. Origini ed evoluzione dello sviluppo sostenibile

Le politiche ambientaliste a favore di Madre Terra (da notare il nome inglese International Mother Earth Day) sono nate dalla necessità di creare un legame più profondo con il nostro pianeta. 

È così che nel 1972, quando l’ecologia non era ancora elemento preponderante delle agende politiche di molti Stati, si tenne la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, a Stoccolma. L’obiettivo era tracciare i possibili percorsi da seguire per trovare un equilibrio tra ambiente e sviluppo.

Le raccomandazioni di una parte sempre maggiore della comunità scientifica mettevano in guardia, infatti, sugli esiti nefasti che avrebbe provocato la disattenzione alle problematiche ambientali. All’epoca tutto questo venne probabilmente visto dai più come speculazione scientifica di carattere quantomeno distopico. Con il passare del tempo, però, lo stato delle cose cambiò: le conseguenze tangibili di una diminuzione di biodiversità portarono i vertici delle varie potenze mondiali a tentare di invertire questo trend negativo. 

Nel 1968 venne pubblicato The Population Bomb di Ehrlich. Questo studio insinuò non poche preoccupazioni sulla gestione delle risorse del pianeta a fronte dell'aumento della popolazione mondiale che, in meno di un secolo (dal 1930 al 1975) era passata da 2 a 4 miliardi. Il fenomeno porta il nome di esplosione demografica. Anche sulla scia di questa pubblicazione, nel 1972 il Club di Roma (associazione senza scopo di lucro che riunisce anche scienziati, dirigenti pubblici e capi di Stato) commissionò al MIT un rapporto sulla sulla sostenibilità del mondo con particolare attenzione al problema dell’esaurimento delle risorse del pianeta. 

Il 1972 si presenta a tutti gli effetti come l’anno di svolta per la politica internazionale che, da questo momento, troverà la sua caratterizzazione nello sviluppo sostenibile di stampo talvolta ecocentrico talvolta tecnocentrico

Alla fine degli anni ’80, il buco dell'ozono (la seconda delle cause maggiormente responsabili della riduzione della biodiversità, dopo il riscaldamento globale, ndr) era al suo massimo a causa del percorso di industrializzazione dei Paesi “in via di sviluppo”. Anche lo scioglimento dei ghiacciai era già stato ampiamente documentato. Sulla scia di questa realtà, il rapporto Brundtland definì il concetto di “sostenibilità” suggerendo, in breve, la necessità di arrestare i processi di sviluppo in quanto considerati nocivi per ambiente e società. 

Nel 1992, con la Conferenza delle Nazioni Unite per l’ambiente e lo sviluppo, di Rio de Janeiro, questo concetto venne riformulato senza dare però concrete risposte a un problema che richiedeva azioni immediate e radicali: come non compromettere i bisogni delle generazioni future se la maggior parte delle risorse non è rinnovabile

La chiave stava nella diminuzione dei consumi, mal vista però dai Paesi di vecchia industrializzazione che, dopo anni di crescita, non potevano intraprendere serenamente questa strada. Anche i Paesi cosiddetti “in via di sviluppo” non vollero adeguarsi a queste richieste, lamentando il fatto che i Paesi già sviluppati crescevano senza limitazioni. A complicare ancor di più la situazione c’era l’ombra di una disoccupazione di massa e l’impossibilità nell’imporre un’equa ridistribuzione delle risorse in quanto questa tende a concentrarsi in zone in cui ve n’è già presenza diffusa. Il risultato è una mancata ridistribuzione.

Con il Protocollo di Kyoto del 1997 e i più recenti summit, c’è stato il tentativo di arginare un fiume già straripato. Varie dinamiche politiche ed economiche, però, portano molti Stati a non abbracciare completamente queste normative e a non investire nella ricerca e sviluppo di nuove energie rinnovabili. 

 

2. La situazione attuale

I dati attuali sulla salvaguardia dell’ambiente e la ricerca di risorse rinnovabili alternative mostrano come le misure a cui si è ricorsi finora non siano state sufficienti, sottolineando l’urgenza di azioni drastiche e definitive. 

 

2.1 Buco dell'ozono

La problematica del buco dell'ozono è stata affrontata con l’entrata in vigore del Protocollo di Montreal negli ormai lontani anni ‘80. L’ozono, benché presente nell’atmosfera in natura in piccole quantità, diminuì notevolmente a seguito del boom economico con l’entrata in commercio di frigoriferi, condizionatori e apparecchiature che utilizzano clorofluorocarburi. Rimanendo nella stratosfera per decenni, la situazione si è aggravata portando lo strato di ozono a diradarsi tanto che il cosiddetto “buco”, in determinate annate, risultava più grande dell’intero continente antartico.

Fungendo da filtro naturale per i raggi UV, la mancanza di ozono risulta pericolosa sia per l’essere umano (portando a una maggiore incidenza di cancro della pelle, problemi alla cataratta e disordini da immunodeficienza), sia per l’ambiente.

Fortunatamente gli ultimi dati disponibili mostrano segni di miglioramento. L’utilizzo di tipologie diverse di gas, in particolare i gas fluorurati, a livello industriale hanno permesso di ovviare a questo problema andando però ad aumentare la quantità di gas serra presenti nell’atmosfera.

 

2.2 Il riscaldamento globale

Il riscaldamento globale, derivante dall’eccessiva concentrazione di gas serra nell’atmosfera che portano all’aumento della temperatura del nostro pianeta, rimane la tipologia di inquinamento che contribuisce maggiormente alla riduzione di biodiversità.

Tra i vari fenomeni a esso legati c’è l’aumento del numero di incendi. Sebbene il numero di incendi causati da fulmini rimanga alto, la causa principale è da ricercarsi nell’uomo. Si tratta infatti di un fenomeno presente in natura che attività umane come il disboscamento, l’uso intensivo del suolo e la coltivazione di piante esotiche unite all’aumento delle temperature hanno esacerbato. La stagione degli incendi è al momento attuale, negli Stati Uniti orientali, più lunga di 105 giorni rispetto a due decenni fa. In California dura 12 mesi.

Gli incendi stanno contribuendo alla desertificazione di vari territori. Questo denota l'abilità di un territorio di accettare, trattenere e riutilizzare acqua, nutrienti ed energia. Non si tratta della creazione immediata del classico deserto come quello del Sahara ma dell’erosione del suolo che porta alla riduzione di biodiversità e la perdita di capacità produttiva. Benché si pensi che sia legata a periodi aridi, la desertificazione è figlia di abusi del suolo, dell’agricoltura intensiva, del disboscamento e della diffusione degli incendi. Gli Stati Uniti erano già stati colpiti da fenomeni del genere negli anni ‘20 e ‘30. La Dust Bowl di cui parla Steinbeck ne è un perfetto esempio. 

Da analisi dell’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) risulta che il 75% delle terre emerse è in stato di significativo degrado e che questa percentuale aumenterà fino a raggiungere il 95% entro il 2050. Allo stato attuale delle cose, questo 75% di terra è diventata deserto, è inquinata o è stata disboscata e convertita in aree a uso agricolo o urbano. 

Altro fenomeno frutto dello sconvolgimento climatico è lo scioglimento dei ghiacciai, che comporta inoltre l’impossibilità per diversi animali di procacciarsi cibo e quindi sopravvivere, come nel caso dell’orso polare, che deve fronteggiare anche i cambiamenti delle correnti marine. Queste sono essenziali per il mantenimento della vita così come la conosciamo: la presenza degli alisei (venti costanti propri della fascia intertropicale), il clima che permise all'Inghilterra di compiere la rivoluzione agricola nel 1700, l’incidenza di tifoni e uragani sulle coste atlantiche dell’America del Nord - dipendono tutti dalle correnti marine. 

Questo fenomeno sta procedendo a ritmi così sostenuti che si ipotizza che entro il 2040 la zona artica sarà totalmente priva di ghiacci nella stagione estiva.

L’innalzamento del livello del mare, inoltre, mette a rischio la sopravvivenza di realtà costiere come i Paesi Bassi, dove un terzo delle terre si trova sotto il livello del mare. Le isole del Pacifico hanno già stretto accordi con Australia e Nuova Zelanda per ricollocare i propri abitanti quando le isole scompariranno sott’acqua.

 

2.3 I migranti ambientali

Questo fenomeno di migrazione dovuto a problematiche ambientali mette a rischio la stabilità delle relazioni internazionali e della politica interna dei singoli Stati. La definizione di questo gruppo porta con sé un importante aumento del numero di migranti a livello mondiale, prezzo che molti Paesi non sono disposti a pagare. La situazione in Europa ne è la dimostrazione: dalla chiusura dei confini fino agli accordi con Turchia e Libia, infatti, gli Stati europei cercano di limitare i flussi in entrata in ogni modo.

I migranti ambientali, secondo alcune stime, raggiungeranno i 200/250 milioni entro il 2050. Il fenomeno non è estraneo alla popolazione italiana tanto che, a seguito di disastri che colpirono il nostro Paese come terremoti, molti italiani si trovarono a dover emigrare e vennero accettati in altre realtà usando il pretesto della migrazione per motivi di lavoro.

 

2.4 La pandemia da Covid-19

Il mondo si è fermato: ecco cosa è successo con questa pandemia. Si tratta di un’espressione eufemistica per certi versi ma alcuni dati mostrano come il nostro pianeta abbia beneficiato della nostra assenza relativa. 

Lo testimonia in primis la riduzione dell’inquinamento atmosferico e dei gas serra. La città di New York ne ha visto una riduzione di circa il 50% rispetto ai livelli registrati nel 2019. Allo stesso modo nel 2020 in Cina, a causa del fermo delle industrie pesanti, i livelli di NO2 (diossido di azoto) e CO (monossido di carbonio), inquinanti generati dai processi di combustione, erano il 50% in meno rispetto all’anno precedente. Il ridotto numero di veicoli sulle strade e il fermo del traffico aereo, collegati al calo della domanda di petrolio, hanno sicuramente contribuito in tal senso. 

Secondo il sito britannico Carbon Brief, la presenza del virus ha indirettamente contribuito alla riduzione di 1600 tonnellate di anidride carbonica, equivalente al 4% del totale globale nel 2019. 

Anche l’inquinamento delle acque è diminuito, oltre che per l’inattività di molte industrie e il blocco dell’import-export, anche grazie alla mancanza di turismo e attività acquatiche in grado di sconvolgere più o meno approfonditamente l’ecosistema marino. A Venezia, i canali erano tornati limpidi ed erano ricomparse specie per molto tempo assenti come i delfini.

Allo stesso modo i livelli di inquinamento acustico sono migliorati. 

Ci sono state e perdurano tuttora, però, conseguenze negative per l’ambiente. L’aumento nell’uso di plastica monouso legati all’asporto o all’ambito medico come i dispositivi di protezione personale non smaltiti e abbandonati per strada. Rimane irrisolta la questione di come eliminare in sicurezza il materiale contaminato.

Il fatto che siano state trovate tracce del virus nelle feci di persone affette, desta preoccupazioni per il processo di purificazioni delle acque nere. Un processo di purificazione così profonda risulta particolarmente difficile per i Paesi non ancora dotati di sistemi all’avanguardia che rilasciano direttamente le acque nei bacini idrici della nazione. 

Infine, se si guarda a realtà che stanno portando avanti un programma di ritorno alla normalità pre-covid come la Cina, si nota che i miglioramenti a cui le chiusure hanno portato erano temporanei. In certi casi si può persino affermare che le condizioni post-covid di riapertura abbiano portato a un peggioramento: diverse realtà, desiderose di incrementare la crescita economica e recuperare il tempo perduto, concedono permessi per costruzioni senza l’accortezza che prima le contraddistingueva. Alcune amministrazioni hanno anche sospeso l’applicazione dei regolamenti relativi all’inquinamento di acqua e aria. 

 

3. Gli Stati Uniti e il rapporto con l’ambiente

Una componente costante nell’approccio alla terra dei colonizzatori d’oltreoceano è lo sfruttamento del territorio per fini economici. Un esempio piuttosto illuminante è la cosiddetta corsa all’oro: essa determinò la nascita e poi la decadenza di molte comunità a seconda della scoperta o esaurimento del minerale, l’inquinamento e la modifica di molti bacini idrografici, il disboscamento incontrollato che può portare a desertificazione e frane e quindi più in generale alterazioni paesaggistiche. 

Allo stesso tempo, però, la realtà statunitense è attraversata da un altalenante interesse per le tematiche ambientali, la ricerca di una relazione organica con il mondo naturale che originariamente i nativi avevano. Ricomparve in seguito con Thoreau nella prima metà dell’800, con la Beat Generation negli anni ’60 del 1900 e con i movimenti ecologisti del giorno d’oggi che assumono un carattere più transnazionale.  

 

4. Il caso Trump

L’amministrazione Trump decise per un netto cambio di rotta rispetto al predecessore democratico Barack Obama in tema di politica ambientale, sottolineato dalla stampa statunitense tramite l’utilizzo dell’espressione “roll back”. Tra le innumerevoli decisioni a scapito dell’ambiente troviamo, in primis, la decisione di ritirarsi dall’Accordo di Parigi volto a contrastare l’aumento della temperatura tramite la riduzione delle emissioni di gas serra. Di notevole impatto anche l’autorizzazione al disboscamento e alla costruzione di strade su 9.4 milioni di acri della foresta nazionale del Tongass in Alaska. Si tratta della più grande foresta degli Stati Uniti per un totale di 16.7milioni di acri di foresta intatta, un santuario climatico considerato dagli scienziati come i polmoni del Nord America. 

A seguito delle tensioni commerciali con la Cina, l’allora Presidente firmò un ordine esecutivo per autorizzare l’estrazione di terre rare sul suolo americano da cui dipende per l’80% da importazione cinese. La Cina è infatti la prima esportatrice mondiale, detenendo il monopolio di questi minerali fondamentali nella componentistica high-tech. Le conseguenze relative all’estrazione sono ben visibili: inquinamento estensivo delle acque e del suolo. 

Il governo Trump, inoltre, portò avanti una campagna mediatica intensa, anche tramite l’uso di social media, in cui screditò dati scientifici senza nessun tipo di prova o addirittura li zittì definendo il cambiamento climatico come “hoax” (truffa, imbroglio, ndt.). 

In una realtà dove, però, gli effetti concreti di una disattenzione alla voce di madre natura iniziavano a farsi sentire anche all’interno delle comunità che avevano sostenuto l’elezione di Trump, con le nuove presidenziali del 2020, il Presidente apportò alcuni cambiamenti alle sue posizioni iniziali in tema ambientale. Un esempio è rappresentato dall’annuncio nel 2019 della proroga del bando alla trivellazione al largo di Florida, Georgia e Sud Carolina, questione vitale per assicurarsi i voti di questi Stati. Questa decisione va contro il piano di espansione della ricerca di petrolio nel Pacifico, nel Golfo del Messico, in Artide e Antartide.                                                        

Secondo un sondaggio dell’Università di Yale, infatti, 73% dell’elettorato registrato (di cui 95% dei Democratici e 66% dei Repubblicani moderati) ritiene che il riscaldamento globale esista. 

 

5. Biden e il Green New Deal

Nel suo primo giorno d’ufficio, il quarantaseiesimo Presidente degli Stati Uniti ha firmato 17 ordini esecutivi, molti dei quali volti ad affrontare la tematica ambientale. 

Un importantissimo primo segno della svolta ambientalista dell’attuale amministrazione è costituito dalla decisione di rientrare nell’Accordo di Parigi, in 30 giorni di tempo. Dal 19 febbraio, di fatto, gli Stati Uniti sono nuovamente vincolati a lavorare per ridurre le proprie emissioni di gas serra in modo da mantenere l’aumento delle temperature idealmente al di sotto della soglia di 1.5°C rispetto al periodo pre-industriale. Gli scienziati hanno calcolato come, nonostante un miglioramento, se entro il 2040 tutte le emissioni di gas serra non saranno azzerate, questa soglia non sarà rispettata. Il neo-Presidente ha, infatti, 40 leader mondiali al summit virtuale sul clima che si terrà tra oggi e domani (22 e 23 aprile 2021).

Altro elemento di netto distacco dalla precedente amministrazione è la firma di un memorandum sull’integrità scientifica, nel tentativo di ripristinare la fiducia nel governo. 

Viene ripristinato il Council of Advisors on Science and Technology oltre che alla presentazione di un piano da 2 triliardi di dollari per combattere il cambiamento climatico. Eliminazione dell’inquinamento da carburanti fossili entro il 2030, rinnovo delle infrastrutture e dare rilievo all’ingiustizia ambientale tramite la salvaguardia delle comunità più colpite (queste comunità sono solitamente composte da latino e afro-americani per il relativo basso costo del suolo in zone più a rischio) sono i punti focali di questo nuovo percorso. 

Un particolare interessante sta nel fatto che il Presidente Biden abbia promesso, in campagna elettorale, di non opporsi alla pratica del fracking nei siti già operativi su terreno federale e in nuovi siti su terreni privati. Si tratta di una pratica assai controversa che prevede l’uso di getti di acqua, prodotti chimici e sabbia nel terreno per estrarre petrolio e gas. Dal terreno così dissestato fuoriescono gas e quindi si verifica un aumento delle emissioni di metano nell’atmosfera con conseguente innalzamento delle temperature.

Molte scelte compiute dall’amministrazione Trump non sono ancora state riviste e questo significa che i danni all’ambiente continuano. Il Presidente, tuttavia, per ora ha compiuto scelte che si pongono in netto contrasto con quelle repubblicane del predecessore.

 

6. Libri per salvare il pianeta

L’espressione artistica in senso lato è considerata dai più come mera forma di intrattenimento. Studi recenti hanno però cercato di dimostrare come diversi generi letterari, tra cui la climate fiction, possano avere scopi ulteriori.

Il termine Cli-fi venne coniato nel 2007 dal blogger Dan Bloom e acquistò popolarità grazie ad un re-tweet dell’autrice Margaret Atwood del 2012. La lista di science fiction in cui compare “climate” come parola chiave è diventata, infatti, sempre più lunga con il passare del tempo: su Amazon.com, nel 2008 se ne contavano solamente 22, per poi passare a 147 nel 2013 e ben 382 nel 2018. 

Secondo gli studiosi Axel Goodboy e Adeline Johns-Putra, si tratta di un genere caratterizzato da una mescolanza fra ricerca fattuale e immaginazione speculativa, che cerca dunque di dare risposte a livello culturale ai dibattiti di stampo politico-scientifico. Benché la maggior parte di questi scritti sia di origine anglofona, si tratta comunque di un fenomeno transculturale. La pellicola coreana Snowpiercer (2013) ne è un esempio.

Dai dati raccolti da indagini sull’impatto della climate fiction sui lettori, molti hanno evidenziato come li abbia portati a comprendere come non solo l’ambiente in cui vivremo cambierà, ma anche come la sfera più intima della vita umana sia destinata a repentini cambiamenti: affrontare morti, senso di smarrimento e depressione in primis. 

Il setting temporale della maggior parte di queste opere è il futuro. Ciononostante, questi libri non sono da leggersi come profezie ma come un modo per colmare quel distacco temporale che porta l’essere umano a non sentire la pressione delle conseguenze a cui si sta andando incontro. 

Tra le voci più interessanti c’è sicuramente quella di Nora K. Jemisin, scrittrice di origine afroamericana che si è imposta in un panorama a sfondo maschile e bianco. Vincitrice del prestigioso Hugo Awards, nella sua trilogia La terra spezzata (2015, 2016, 2017) affronta la tematica ambientale. 

Jemisin dipinge un mondo estremamente inospitale e imprevedibile, soggetto a continui movimenti della placca tettonica causati in ultima analisi da hybris tecnologica e razziale. L’autrice sottolinea come il percorso verso la sostenibilità sia indissolubilmente legato a questioni sociali: un primo passo necessario verso il riconoscimento di diritti della Terra è quello di riconoscere i diritti delle popolazioni emarginate a causa di ragioni etniche. Nelle parole di Matt Huber,climate change is class struggle, ed è per questo che è importante che la tematica sia trattata da più voci appartenenti a diversi gruppi. Inoltre, una moltitudine di voci aiuta a delineare alcuni dei futuri possibili, rendendo quasi tangibili i problemi ambientali. 

 

A quanti devono combattere per ottenere quel rispetto che agli altri è garantito (N.K. Jemisin, La Quinta Stagione)


Anche sul grande schermo, produzioni come Avatar puntano l’attenzione sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse della Terra che, in quel possibile futuro, porta alla necessità di trovare altre realtà dove poter sfruttare risorse naturali ormai inesistenti sul pianeta madre. I nativi del pianeta che gli umani vorranno sfruttare possono essere visti come dei moderni attivisti, una minoranza in lotta per la salvaguardia di un essere senziente quale la natura. Se nella produzione di Cameron le due popolazioni arrivano a farsi guerra per difendere le proprie posizioni, nella nostra realtà la maggior parte delle manifestazioni ecologiste sono di stampo pacifico.

Si tratta di un fenomeno che coinvolge individui e gruppi da ogni parte del globo. Il fenomeno Greta Thunberg ha avuto particolare risonanza fra i continenti portando studenti a manifestare nelle piazze italiane così come a suscitare rancori tra le più alte cariche statunitensi. L’ex Presidente Donald Trump utilizzò Twitter in più occasioni per minare la credibilità di Greta Thunberg appellandosi alla sua giovane età, proprio ciò che rende il suo messaggio ancor più penetrante. 

Anche in Giappone recentemente si sono svolte manifestazioni a opera di pescatori e ambientalisti contro l’intenzione del governo di rilasciare l’acqua radioattiva della centrale di Fukushima Daiichi nell’oceano. Si tratta di una scelta che andrebbe a peggiorare notevolmente il già precario equilibrio degli oceani e, di conseguenza, delle terre. Anche in questo caso alcune istituzioni si sono espresse contrarie all’opinione dei manifestati: l’Agenzia internazionale per l’energia nucleare ha affermato che l’operazione potrebbe non essere nociva. 

Ciò che colpisce maggiormente è la volatilità con cui tali notizie vengono trattate dai media o, nel caso della Thunberg, come il focus non sia posto sull’appello alla salvaguardia ambientale ma sulla sua età e la necessità di scolarizzazione della stessa. 

 

7. Conclusioni

In un mondo colpito dal Covid-19, guardando a produzioni come Survivors di Terry Nation, serie televisiva in onda sulla BBC dal 1975 al 1977, o Seaspiracy (2021) prodotta da Netflix, non si può far altro che porsi domande sulla possibile ridefinizione del ruolo della letteratura, in particolare della cli-fi. Forse questa potrà aiutare anche i più scettici ad avvicinarsi alla causa ecologista.

Molti cambiamenti sconvolgeranno (e già stanno sconvolgendo) le nostre vite. Abbiamo ancora la possibilità di scegliere se si tratterà di cambiamenti controllati da noi, dal genere umano o se dovremo piegarci al volere della natura.

 

8. Bibliografia 

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Foto 1 da Amazon.it (data di ultima consultazione 17/11/2021)

Foto 2 da Meteodrome.it (data di ultima consultazione 17/11/2021)

Foto 3 da 21secolo.news (data di ultima consultazione 17/11/2021)

Foto 4 da auroradagostino.it (data di ultima consultazione 17/11/2021)

Foto 5 da fridaysforfutureitalia.it (data di ultima consultazione 17/11/2021)

Foto 6 da ilgiornale.it (data di ultima consultazione 17/11/2021)