Percorso 7. L’emittenza locale e la sfida della sostenibilità economica
Non di soli programmi vive la tv. Il motore dell’emittenza locale è la pubblicità, da cui dipende la sussistenza economica della maggioranza dei canali che offrono un’offerta alternativa al servizio pubblico. Potente moltiplicatore per le vendite, la pubblicità cambia radicalmente la fisionomia del piccolo schermo, rivoluzionandone codici e linguaggi, in un progressivo avvicinamento agli stili di comunicazione dei grandi network statunitensi. Prive di sovvenzioni statali, le reti televisive private si sostengono principalmente attraverso la cessione di spazi commerciali a imprese terze; sono infatti i capitali degli inserzionisti, che acquistano visibilità all’interno dei palinsesti, a garantire la fruizione gratuita delle trasmissioni. Questo meccanismo finisce molto in fretta per trasformare le emittenti “libere” delle origini in vere e proprie aziende orientate al profitto, con strutture (e prassi operative) ormai compiutamente industriali.
Così, già alla fine degli anni Settanta, prende forma un nuovo scenario commerciale: in un tripudio di marchi e loghi che – almeno nelle promesse – diventano e alla portata di tutti, la pubblicità si fa causa ed effetto dell’accelerazione dei consumi, con ricadute su ampie fasce del sistema produttivo del Paese. D’altronde, in un contesto sempre più concorrenziale, “fare la televisione” è molto costoso, e richiede infrastrutture adeguate, alte professionalità e investimenti ingenti: macinare ascolti, inseguendo obiettivi di audience, diventa dunque una priorità irrinunciabile.
“Vi ho spiegato tante volte che nelle emittenti private ci vogliono gli sponsor. Quindi questa sera, di tanto in tanto, faremo qualche menzione pubblicitaria”: annuncia Mike Bongiorno nel 1980 su Telemilano58, pochi mesi prima dell’avvio di Canale 5, in un anno il gettito pubblicitario sfiora in Italia gli 800 miliardi di lire (di cui trenta direttamente derivanti dalle tv private). È un modo di intendere il mezzo che in quegli anni investe anche numerose emittenti “minori”, che adottano le logiche ferree (e i ritmi vorticosi) del mercato pubblicitario. Per gli inserzionisti – che dai broadcaster acquistano “teste”, ovvero segmenti di pubblico – l’emergere di un nuovo e ampio spazio promozionale rappresenta una svolta decisiva: vengono meno i vincoli e la strozzatura all’accesso degli slot commerciali imposti dal monopolio della Rai, e le emittenti locali diventano un punto di riferimento per tutte quelle aziende che erano fino ad allora rimaste escluse dalla scena televisiva.
Anche il discorso giornalistico che quotidiani e testate periodiche costruiscono attorno alla pubblicità in tv si fa sempre più vivace, con contributi che spesso sottolineano la competizione – destinata presto a trasformarsi in alleanza – tra piccolo schermo e carta stampata, come testimoniano due articoli pubblicati nel 1986 su “l’Unità”.
Il dibattito sulla stampa relativamente alla pubblicità in tv (da “l’Unità”, 26 luglio e 12 ottobre 1986)
È lo spot, specialmente nelle versioni da 15 e 30 secondi, a costituire la cellula fondamentale della pubblicità televisiva. Le emittenti private sono infatti solite saturare i propri palinsesti con break commerciali che, talvolta in modo invasivo, interrompono ripetutamente i programmi, ormai strutturati in blocchi autonomi proprio per agevolare la messa in onda di questi intermezzi, che diventano il vero perno dei palinsesti. L’esposizione continuativa agli stessi annunci garantisce una maggiore memorabilità, spingendo gli investitori ad acquistare sempre più spesso pacchetti di spot. La pubblicità contribuisce a diffondere desideri emergenti e si fa specchio di sogni e paure profonde, riflettendo manie, nevrosi e piccole ossessioni del suo tempo, come dimostra questa raccolta di spot trasmessa nel 1986 da Sardegna Uno.
La melodia trionfale del bumper, arricchita dagli allora immancabili effetti elettro-acustici, introduce la campagna del negozio di abiti da sposa Bouganvillea, passando per l’agenzia immobiliare La voce sarda, lo showroom di imbarcazioni Motomar, fino al centro di pulizie industriali Tecman, tra dissolvenze, degradé, tonalità seppia e successi musicali senza tempo. Anche una seconda sequenza di réclame presenta curiosi abbinamenti: le terme di Santa Maria di Sardara (per combattere “vita sedentaria, cibi poco genuini, fumo, stress e chili superflui”), l’ippodromo di Chilivani (abbinato alle note di Samarcanda di Vecchioni), una finanziaria del capoluogo, fino agli allevamenti domestici di cincillà, da destinare alle pelliccerie della zona.
Gianni Zanata, storico giornalista e collaboratore di Sardegna Uno, ricorda quanto sia stata fondamentale la presenza capillare dell’emittente sul territorio per garantire una raccolta pubblicitaria efficace: l’“esigenza era di acchiappare quanti più sponsor possibile, […] piccole-medie imprese concentrate principalmente nel cagliaritano”.
Insomma, è la pubblicità lo strumento che più di ogni altro permette di stabilire collegamenti e dare voce all’imprenditoria dei territori in cui operano i canali commerciali. Sono proprio gli investitori a solleticare i gusti e i capricci del pubblico, in coerenza con la promessa di libertà e autoindulgenza di cui queste emittenti si fanno veicolo. D’altronde, si tratta spesso di esperienze avviate per iniziativa di imprenditori del luogo, che affiancano l’attività televisiva a quella di altri settori, come nel caso di Domenico Berti, fondatore e patron di TeleSanterno, orgogliosamente radicato nella “sua” Romagna.
L’emittente imolese affida la gestione della pubblicità a un’agenzia esterna, il gruppo STP, con l’obiettivo di raggiungere sia i nuovi consumatori sia i tantissimi inserzionisti esclusi dai circuiti tradizionali della Sipra, la concessionaria della Rai. In questa strategia, un ruolo centrale è svolto dall’impaginazione degli spot: TeleSanterno si distingue per l’integrazione armoniosa dei break all’interno dei programmi, con un’evocazione costante dei sogni di libertà e buon vivere. Si assiste così a un graduale superamento dell’etica della rinunci tipica del “piccolo mondo antico”: i messaggi pubblicitari educano ai nuovi stili di vita e legittimano i piaceri moderni, dando voce a un’Italia provinciale che rivendica il diritto al benessere e il rifiuto delle logiche di austerità, in nome di un’esistenza più leggera e spensierata.
In questo scenario, il caso di TeleRoma56 rappresenta almeno in parte un’eccezione rispetto alle dinamiche finora delineate: la natura dispersiva della Capitale, estesa per centinaia di chilometri quadrati, e le notevoli differenze nell'area urbana non sembrano infatti favorire la stipula di un volume sufficiente di contratti pubblicitari con le imprese locali. Pur mantenendo un forte legame con il territorio, l’emittente fatica a instaurare rapporti con sponsor non direttamente riconducibili al mondo calcistico romano, che continua a costituire la sua principale fonte di sostegno economico, come conferma Alberto Giangichiodo, tecnico della rete.
Non sorprende, quindi, che TeleRoma56 esplori anche forme alternative di finanziamento, a partire dalle televendite, segnando un’ibridazione sempre più marcata tra contenuti editoriali e interessi commerciali. In diretta televisiva, però, non si promuovono morbidi materassi, tappeti orientali, cucine componibili o mobili brianzoli: per sostenere le attività del Partito Radicale, l’emittente organizza invece delle vere e proprie aste di beni seconda mano, con la promessa che parte dei proventi verrà reinvestita anche nei canali radiofonici e televisivi legati al movimento. Si tratta, di fatto, di una forma di auto-sussistenza: cittadine e cittadini sono invitati a contribuire direttamente alla sopravvivenza di uno spazio mediale pensato per garantire la libera espressione di tutte le voci e sensibilità, secondo una retorica partecipativa dal basso tipica del partito. In questo estratto del 1983, è l’allora ventinovenne deputato radicale Francesco Rutelli a raccogliere le telefonate del pubblico, affiancato da Emma Bonino, che – sfinita dopo una giornata di lavori parlamentari – decide di abbandonare lo studio.
Cronache torinesi è il titolo di un fortunato format di Videogruppo che, con il pretesto di raccontare la vivacità del tessuto imprenditoriale sabaudo, consente all’emittente di instaurare legami con aziende e realtà industriali locali, particolarmente preziosi in ottica pubblicitaria. In una delle puntate, la giornalista Laura Cerro varca le porte dello storico stabilimento delle celebri Pastiglie Leone, di proprietà della famiglia Monero: la troupe documenta la produzione dei confetti alla menta (“rigorosamente piemontese, […] con il miglior olio essenziale del mondo”), osservando da vicino l’automazione dei processi e il rinnovato ruolo della logistica e del packaging.
È il 1979, e colpisce la compresenza, messa deliberatamente in risalto, di tracce del passato – come l’uso di materie prime locali e di macchinari d’epoca, a garanzia della massima artigianalità – con la corsa al progresso che sembra ormai invadere ogni settore dell’industria tricolore. Le telecamere entrano “dentro la fabbrica di un mito” e al pubblico sono svelati gli aspetti nascosti dell’“eccellenza dolciaria” con un linguaggio che sembra anticipare le clip di genere How it’s made oggi largamente diffusi sulle piattaforme digitali. Pur non potendo verificare l’esistenza di un accordo economico tra l’azienda e l’emittente, è plausibile ipotizzare che servizi giornalistici di questo tipo rappresentino per Videogruppo una strategia indiretta per avvicinare potenziali investitori e ampliare il bacino degli inserzionisti.
Si tratta di un piano d’azione che sembra aver prodotto risultati significativi, almeno stando a una scheda riepilogativa dei fatturati pubblicitari tra il 1978 e il 1990. Si noti, nel 1987, la cessazione dei rapporti con la concessionaria esterna Fono Vi. P., con il passaggio a una gestione interna delle vendite.
Come scrive Luca Barra, nei canali commerciali “si può passare senza soluzione di continuità dal programma alla pubblicità, […] con distinzioni e confini appena accennati. […] Ogni occasione è buona, infatti, per claim, video promozionali o apparizioni in onda più o meno fugaci, […] con jingle e slogan che diventano patrimonio comune e attraversano intere generazioni”. A questa logica sembra rispondere anche un’altra rubrica di Videogruppo, Un gioco alla settimana. In studio, l’esperto di gaming Giancarlo Rizzo imbastisce un approfondimento sulle ultime novità del mercato, citando esplicitamente Septor – Caccia al sottomarino, un videogioco “in vendita presso il negozio I giochi dei grandi di Torino. Il lancio, a favore di telecamera, di questa “battaglia navale elettronica” si trasforma così in un vero e proprio segmento di product placement, anticipando modalità e tecniche della comunicazione pubblicitaria contemporanea.
Lontani sono i tempi in cui le emittenti vengono compensate dalle aziende sponsor con semplici accordi di cambio merce (il cosiddetto barter): celebre è l’esempio di TeleBiella che – si racconta – era solita conservare nei propri locali decine di sacchi di riso ricevuti da un’azienda cerealicola a fronte della messa in onda dei suoi spot. In pochi anni cambia tutto, e formule come “copertura”, “passaggi”, “penetrazione del messaggio”, “contatti”, “Average Minute Rating”, “target” diventano un vocabolario condiviso. In ambito pubblicitario, il caso più emblematico tra quelli analizzati nel progetto è quello di Antenna 3, che fin dagli esordi intrattiene un rapporto diretto con gli inserzionisti, coinvolgendoli in iniziative di marketing all’avanguardia, a partire dal lancio della campagna di azionariato popolare realizzata con le ditte di utensili da cucina Pastamatic e Italinox per finanziare l’avvio delle trasmissioni. Il canale lombardo si fa largo grazie alla scelta lungimirante di affidare la raccolta pubblicitaria a una concessionaria interna, la Sipa – Società italiana pubblicità e affini, capace di parlare sia ai grandi clienti nazionali, sia ai più modesti inserzionisti locali, in un territorio in forte sviluppo. “La nostra concessionaria dedicata – la ‘Sipra senza la erre’ – era nei fatti una costola di Antenna 3, attiva esclusivamente nel settore televisivo, senza altre divisioni editoriali”, racconta Angelo Costanza, responsabile commerciale dell’emittente.
Complice il progressivo affinamento della rete commerciale – che arriva a instaurare rapporti stabili anche con grandi multinazionali, in particolare nel settore alimentare – e il miglioramento delle tecniche di produzione degli spot, Antenna 3 riesce così ad aprirsi a nuove fasce di mercato. Numerose sono le sperimentazioni pure sul fronte dei listini pubblicitari, che includono un ampio ventaglio di opzioni di sponsorizzazione (dalla diapositiva muta di otto secondi al filmato di un minuto, con prezzi variati a seconda della fascia oraria), oltre a meccanismi di compensazione e minimi garantiti in caso di ritorni economici inferiori alle attese.
Estratto dal listino della concessionaria Sipa (1979)
Contratto per la cessione di spazi pubblicitari tra Antenna 3 (rappresentata dalla Sipa) e una concessionaria automobilistica di Legnano (1977)
In una fase in cui la comunicazione di massa ridefinisce completamente il rapporto tra consumatore e impresa, sono ormai merci e insegne commerciali le protagoniste di trasmissioni, sketch e giochi a premi, che diventano degli strumenti in mano agli inserzionisti a caccia di visibilità per i propri prodotti e servizi. Ad Antenna 3, non sono solo Bingooo o La bustarella a incarnare questo modus operandi: tra serio e faceto, per esempio, anche il duo comico Ric e Gian diventa nel 1982 testimonial di una marca di tonno in scatola, con un numero appositamente concepito in nome dello sponsor.
Tanti sono i casi di creatività messa al servizio degli investitori, come dimostra anche il monologo di apertura di Walter Chiari in una puntata del varietà Ciao, come stai (1980), diretto da Beppe Recchia.
Dopo lo stacco coreografico che accompagna la sigla, con il corpo di ballo rigorosamente abbigliato in tute d’elastan fluorescente, Chiari costruisce un momento comico attorno a uno dei marchi partner della trasmissione, il tour operator Francorosso. In una puntata del 1978 del Piramidone è invece Enzo Tortora a gestire una sequenza infinita di richiami commerciali, con le grafiche degli sponsor del tutto incorporate come elementi scenico-decorativi nei fondali del programma.
Il conduttore si presenta come un sorridente amico di famiglia, la cui empatia rafforza il senso di affinità tra il pubblico e i brand, secondo una strategia adottata anche da Gerry Bruno durante i giochi telefonici di Non lo sapessi ma lo so (1983).
Ancora una volta, l’inserto ludico è funzionale alla vetrinizzazione degli investitori, ripetutamente elencati dal cast, in un’ideale convergenza tra sdoganamento dei consumi e liberazione dei costumi. Sono spesso vallette, indossatrici e “ragazze-immagine”, infatti, a promuovere i beni e l’atto di consumo, con un femminile ornamentale strumentalizzato a uso e consumo dei prodotti reclamizzati. Spazio verde è invece un inserto della trasmissione Mah, condotta nel 1986 da Enrico Montresor. Il pretesto narrativo è la cura delle piante da balcone: gli esperti invitati in studio rispondo ai dubbi del pubblico, in contatto telefonico con la redazione. Tra un quesito sulle felci e una richiesta d’aiuto per le begonie in vaso, la regia indugia insistentemente sulle soluzioni offerte dallo sponsor, l’azienda di fertilizzanti e concimi liquidi Gesal, che può così consolidare un legame fiduciario con la propria audience.
Alla metà degli anni Ottanta, la televisione privata è ormai una vetrina imprescindibile per le aziende che scelgono di investire in pubblicità, in un contorno dominato da ottimismo, fiducia nel futuro e spinta alla modernizzazione. Sempre più spesso, oltre ai singoli prodotti, gli investitori tendono ad associare alle proprie campagne le istanze valoriali di cui si dichiarano portavoce, contribuendo così a ridefinire i codici della comunicazione commerciale. Eppure, nonostante un periodo di benessere diffuso (seppur effimero), i margini dell’industria televisiva locale iniziano a ridursi sotto la pressione della concorrenza serrata delle reti Fininvest, che finiscono per attrarre la fetta più consistente degli investimenti pubblicitari nazionali e per consolidare un predominio quasi incontrastato nel panorama mediale. La strada delle affiliazioni con altre emittenti, attraverso i circuiti di syndication, non sortisce sempre gli effetti sperati: sono le prime crepe di un sistema che, entro la fine del decennio, permette solo a pochi soggetti televisivi di proseguire in attivo le proprie attività. Per chi riesce a resistere, diventa ormai evidente che, per garantire la sostenibilità economica, in televisione le emozioni debbano essere interrotte, a qualunque costo.
Percorso a cura di Emiliano Rossi (Università di Bologna)