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Le mie vite daccapo è una frase che Suzana, coautrice di questo libro, pronuncia durante il racconto della sua storiaall’antropologa che registra per trascriverla. Le due autrici si rivedono in Francia dopo ventidue anni di assenza di contatti: le caratteristiche del loro incontro e l’abilità narrativa di Suzana creano le condizioni per l’emergere di una storia densa e avvincente. Nata in una famiglia rom khorakhané del Kosovo nei primi anni Sessanta, Suzana racconta la sua infanzia dolce e disagiata; la durezza della vita da giovane sposa in un contesto virilocale; le vicissitudini di immigrata in Croazia, dove inizia a praticare l’attività di guaritrice ereditata dalla madre; la fuga dalla guerra assieme a marito e figli verso un campo rom di Bologna; le azioni di solidarietà data e ricevuta; l’esperienza lavorativa di addetta alle pulizie e, infine, le circostanze della sua dolorosa decisione di lasciare l’amata Italia per trasferirsi in Francia come richiedente asilo politico. Ogni vita daccapo è segnata dal raggiungimento di un punto di saturazione in cui un evento fa da catalizzatore alla necessità di partire e ogni daccapo comporta anche una diversa autorappresentazione all’esterno. Con toni a volte mitici, tragici oppure ironici Suzana parla di eventi e visioni del mondo che indicano strategie di resilienza, personali e delle sue genti, in opposizione a discriminazioni incrociate. Il racconto è stato sostenuto e integrato dai parenti di Suzana, i quali hanno offerto spontaneamente alla ricercatrice esperienze concrete relative a quanto via via veniva evocato.