Giulia Panella
Nel luglio del ‘94 faceva il suo debutto nelle sale Forrest Gump, film memorabile con cui Tom Hanks vinse l’Oscar come miglior attore protagonista per la seconda volta nella propria carriera.
L’eccezionale interpretazione dell’attore statunitense è di certo uno degli elementi che hanno contribuito a rendere Forrest Gump uno dei personaggi più amati del cinema, insieme a quel suo modo di attraversare la vita con spontaneità, ingenuità e dolcezza. Si tratta di un’attitudine che traspare ogni volta in cui Forrest, seduto a una fermata dell’autobus, racconta con estrema naturalezza il proprio trovarsi coinvolto in pressoché ogni avvenimento storico compreso tra gli anni ’60 e ’70 negli Stati Uniti. Ne viene fuori il resoconto di una vita tutt’altro che banale, dall’infanzia a Greenbow con la madre e l’apparecchio per le gambe, agli anni del Vietnam, dal peschereccio per gamberi comprato per mantenere la promessa fatta all’amico Bubba, fino alla sicurezza economica raggiunta grazie a un investimento in “una specie di società di frutta” oggi nota come Apple.
Forrest regala questi e altri racconti a chiunque capiti a condividere con lui la panchina della fermata dell’autobus, generando un’autobiografia spontanea in cui continuamente riecheggia e ricorre il nome “Jenny”. Lei, l’unica bambina che non lo deride il primo giorno di scuola, l’unica vera amica, il grande amore di tutta la vita. La storia di Forrest e quella di Jenny, per quanto si incrocino e si accompagnino fino alla fine, risultano però diametralmente opposte, già a partire dal contesto in cui i due trascorrono l’infanzia: Forrest cresce con la madre, una donna che arriva a fare sacrifici enormi pur di garantire al figlio una vita in cui non venga considerato “diverso”; Jenny, invece, perde sua madre all’età di cinque anni e cresce in una baracca fatiscente con il padre, un violento alcolizzato e -si deduce- pedofilo.
Man mano che Forrest prosegue nel racconto, le differenze tra lui e Jenny si fanno più evidenti e da circostanziali passano a essere strutturali, arrivando a imprimere sui personaggi delle impronte inconfondibili. È così che l’atto del correre diventa il tratto distintivo di Forrest: è infatti grazie alla corsa che sfugge ai bulli, si guadagna l’accesso all’università, diventa eroe di guerra e ispirazione per molti con le sue corse coast to coast attraverso gli Stati Uniti, che allo stesso tempo offrono alla regia il pretesto per delle inquadrature mozzafiato del patrimonio naturale statunitense. Ma mentre Forrest corre e con questo correre riesce a dare una direzione -se non un senso- alla propria vita, Jenny sembra perdersi in un moto irrequieto e centrifugo che piano piano la disgrega, fino ad arrivare al punto di rottura costituito da un tentativo di suicidio. A partire da quel momento l’energia frenetica del personaggio rallenta, si placa, e quando un tassista le chiede dove se ne stia andando così di fretta sarà Jenny stessa a spiegare che lei non corre proprio da nessuna parte. Forrest corre e Jenny si ferma, lui va incontro agli eventi, ne è coinvolto, lei invece sembra essere travolta dallo scorrere della vita, l’uno viene considerato un diverso, l’altra no: insomma, il personaggio di Jenny è una sorta di controparte triste di Forrest, una controfigura a cui mancano quell’ingenuità e quella leggerezza che caratterizzano il corrispondente maschile e che forse, come racconta questa storia, possono aiutare ad attraversare la vita facendosi meno male.
C’è un unico episodio in cui Jenny cambia attitudine: nel bel mezzo di una manifestazione contro la guerra in Vietnam, riconosce Forrest sul palco e inizia a correre verso di lui, attraversando con affanno la Reflecting Pool di Washington, in una scena che culmina con un intenso abbraccio tra i due che viene accolto con calore dalla folla. Anche in questo caso Forrest e Jenny restano due personaggi ben diversi, non solo perché lui è un soldato e lei una figlia dei fiori, ma forse anche per il rispettivo modo di correre: se per Forrest la corsa è un movimento naturale e positivo, per Jenny è invece uno sforzo, qualcosa che non le appartiene, e allora non a caso nell’unico momento in cui la si vede correre ha l’acqua che le arriva fino alle ginocchia e una lunga gonna che la impedisce ancora di più nei movimenti. In ogni caso, al di là di tutte queste considerazioni che arrivano solo in seconda battuta, si tratta di uno dei momenti in cui Forrest e Jenny sembrano sintonizzarsi per qualche attimo sulla stessa lunghezza d’onda, dando prova della reciprocità dell’affetto che li unisce.
A legare Jenny e Forrest c’è anche un altro elemento non trascurabile, che permette una riflessione anche sul personaggio della mamma di Forrest. Da un lato, infatti, c’è Mrs. Gump, che con le migliori intenzioni possibili si prodiga per cercare in qualche modo di “normalizzare” il figlio. A rappresentare nel modo più significativo questi tentativi di normalizzazione è il cigolante apparecchio per le gambe che viene fatto indossare al Forrest ancora bambino che, a detta del medico, deve essere “raddrizzato”. Dall’altro lato, però, compare la piccola Jenny, che sarà la prima a pronunciare quel “corri, Forrest, corri!” che dà inizio all’emblematica scena in cui Forrest, scappando per la prima volta dai bulli, scopre il potenziale delle proprie gambe e si svincola dalla costrizione dell’apparecchio correttivo: in un’esplosione di cinghie e pezzi di metallo che sembra quasi una muta, Forrest non solo si libera, ma scopre quello che diventerà un tratto fondamentale di se stesso e della sua vita, la corsa.
Il correre di Forrest, quindi, è indissolubilmente legato all’influenza di Jenny sulla sua vita, e questo vincolo prende poi forma fisica quando lei gli regala un paio di scarpe da corsa. Sono quelle stesse scarpe, ormai quasi irriconoscibili, logore e coperte di fango, che Forrest indossa alla fermata dell’autobus da cui racconta la propria incredibile vita a chi vuole ascoltarlo, poco prima di rivedere Jenny e di scoprire di essere padre di un bambino molto intelligente. Infatti, la scena forse più toccante del film è proprio quella in cui Forrest chiede balbettando se suo figlio sia come lui, un diverso, dimostrando una grande e in parte inaspettata consapevolezza di sé e allo stesso tempo una dolcissima e immediata premura nei confronti del bambino.
Forrest Gump è quindi un personaggio che sorprende, commuove e diverte, amato dal pubblico soprattutto per quel suo modo di stare al mondo come farebbe un bambino, senza sovrastrutture, con spontaneità e quella specie di infantile saggezza che gli fa ripetere che, in fin dei conti, “stupido è chi lo stupido fa”.
Foto 2 da pambianconews.com (Data di ultima consultazione: 31/08/2021)