The Vanishing American Hobo: oltre la superficie

Giulia Panella

Alcuni paesi nordeuropei includono nel proprio sistema giuridico il cosiddetto diritto al vagabondaggio, conosciuto anche come libertà di girovagare: si tratta di un diritto che garantisce a chiunque la possibilità di spostarsi liberamente in quelle aree del Paese dove la natura è incontaminata, facendone per un po’ la propria casa e riscoprendo così quel vincolo ancestrale che un tempo univa l’uomo e la terra. Jack Kerouac, che vede nell’hobo l’ultimo baluardo contemporaneo di questa connessione e allo stesso tempo la controfigura di se stesso, ne fa il protagonista del proprio racconto.

 

1. Dalla parte dell’hobo

2. Rivisitazioni della tradizione cristiana

3. La divinità per Kerouac

4. La metafora dell’hobo

5. Tra On The Road e Lonesome Traveller: intertestualità e temi comuni

6. Bibliografia

 

1. Dalla parte dell’hobo

Paradossalmente, il Paese dei Great Outdoors, l’America dei panorami mozzafiato, si esprime diversamente rispetto al tipo di relazione che dovrebbe esserci, al giorno d’oggi, tra l’uomo e la natura.

Sembra non comprendere la ragione per cui qualcuno, di propria spontanea volontà, dovrebbe passare una notte all’aperto quando con pochi dollari potrebbe permettersi una stanza d’albergo, così come sembra non capire il significato che può avere una passeggiata in campagna, in solitudine, se non ne vede un profitto concreto.

Una delle conseguenze di questa incapacità di comprensione è lo stigma che viene associato a comportamenti di questo genere, una specie di persecuzione tanto sociale quanto legale che ha portato alla quasi completa estinzione della figura - in un certo senso leggendaria - dell’hobo, il vagabondo.

Invece, a schierarsi dalla parte di quest’ultimo è Kerouac, attraverso il suo Lonesome Traveller (1960). L’opera è considerata un’autobiografia che racconta delle esperienze dello stesso Kerouac come viaggiatore squattrinato attraverso Stati Uniti, Messico, Marocco, Regno Unito e Francia, e comprende otto capitoli che ruotano attorno al concetto di hobo. Il racconto contenuto nell’ultimo capitolo, intitolato The Vanishing American Hobo, è quello che più si presenta come un’aperta critica alle ottuse restrizioni di una società che rifiuta il vagabondo perché non ne capisce l’essenza.

 

2. Rivisitazioni della tradizione cristiana 

Tuttavia questa critica, pur restando uno dei messaggi fondamentali in The Vanishing American Hobo, non è che il punto di partenza da cui Kerouac inizia ad affrontare uno spettro di temi ben più ampio. Il racconto è costellato di riferimenti che potrebbero essere sviluppati nelle direzioni più disparate, arrivando a toccare temi che non ci si aspetterebbe da uno scrittore Beat.

Un esempio è quello della tradizione cristiana. Infatti, Kerouac non si limita a mettere La Regola di San Benedetto (534 d.C.) nelle mani di un hobo: arriva a scrivere che questa società, che vuole convincerci che c’è un criminale dietro ogni discreto vagabondo dalle suole consumate, è “an adult world, it’s not a child’s world” (Kerouac 1988), ovvero un mondo adulto, un po’ cinico e consumato, di certo non più bambino.

Si tratta di un parallelo – quello tra gli stadi della storia del mondo e le tappe della vita di una persona – che si può ritrovare, sorprendentemente, nelle opere di Sant’Agostino d’Ippona, iniziatore della filosofia della Storia nonché, ovviamente, membro della comunità cristiana. Questo non vuol dire necessariamente che Kerouac tragga ispirazione in maniera diretta dal mondo cristiano canonico, soprattutto se si considera quanto sia personale e tutt’altro che tradizionale la sua idea di religione, nonostante l’educazione cristiana ricevuta dalla madre. D’altro canto, però, si tratta della conferma del fatto che la cristianità gioca un ruolo importante tanto nella vita quanto nelle opere di Kerouac.

 

3. La divinità per Kerouac

In realtà, tutti gli scrittori Beat hanno dovuto affrontare, presto o tardi, la questione di Dio: nella maggior parte dei casi, il risultato di questo confronto è sfociato in una sorta di rabbiosa attrazione, oppure in un tentato rifiuto del dio, secondo l’esempio del padre dei Beat, John Fante: “Scendi giù dal tuo paradiso, Dio, scendi giù che ti spacco la faccia, maledetto buffone ” (Fante 1939).

Al contrario, l’approccio di Kerouac alla divinità ha un che di diverso, è carico di qualcosa di simile all’affetto, forse come retaggio dell’infanzia dello scrittore nella cittadina di Lowell, profondamente cattolica. In un’intervista, Kerouac afferma che in realtà ognuno dei suoi scritti parla, in qualche modo, di Gesù, e The Vanishing American Hobo sembra confermarlo in due modi, uno ben evidente e un altro più sottile. Infatti, vale la pena di notare la mirata scelta lessicale che Kerouac fa quando accusa la società non solo di perseguitare il povero hobo, ma più precisamente di crocifiggerlo; l’allusione religiosa diventa poi del tutto esplicita nei seguenti versi, estremamente provocatori: “Gesù era un hobo strano che camminava sull’acqua. Anche Buddha era un hobo che non prestava attenzione all’altro hobo.” (Kerouac 1960).

Quella che può sembrare un’irriverente giustapposizione tra Gesù e Buddha è invece un’ulteriore dimostrazione della multiforme spiritualità di Kerouac che permea le sue opere anticonvenzionali e contribuisce a creare quel fascino trascendente che le caratterizza.

 

4. La metafora dell’hobo

Kerouac perfora costantemente il livello superficiale della narrazione, che se da un lato rappresenta una delle storie che l’autore vuole raccontare, dall’altro costituisce soprattutto lo spunto per altre riflessioni.

Per esempio, il racconto di Kerouac non è semplicemente la storia di quei barboni che accalcandosi di fronte a una crostata appena sfornata ne chiedono una fetta, costretti a mettere da parte l’orgoglio; The Vanishing American Hobo diventa piuttosto un racconto che riguarda tutti gli uomini che per avidità arrivano a rinunciare persino all’ultimo briciolo di dignità rimasto loro.

Allo stesso modo, la dicotomiaHobo Ego (Kerouac 1960) è tutt’altro che arbitraria, benché a una lettura superficiale potrebbe dare l’impressione di esserlo. Infatti, in sole due parole Kerouac riassume quella che è per lui l’essenza umana, inscindibile dal concetto di eterno viaggio in cui è l’anima, tanto quanto il corpo, a girovagare in cerca di verità probabilmente inaccessibili. Come in questo caso, Kerouac è spesso in grado di far breccia nella mente del lettore grazie ad appena due o tre parole, fornendo gli spunti per riflessioni che vanno ben oltre la semplice parola scritta. Straordinario, originale e controverso come sempre, Kerouac cosparge il racconto di indizi che, piuttosto che aggredire il lettore, aspettano che sia lui stesso a identificarli e interpretarli.

 

5. Tra On The Road e Lonesome Traveller: intertestualità e temi comuni

Un esempio interessante di questo gioco di allusioni si trova nelle parole pronunciate da quel vagabondo che, quando intervistato, risponde in maniera all’apparenza delirante: lampo di luce, illuminazione, “Lightin flash” (Kerouac 1960). Queste due parole, che a prima vista sembrano del tutto casuali, potrebbero invece suonare familiari ai lettori abituali di Kerouac: si tratta forse di una specie di riferimento a coloro che “bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli” (Kerouac 1957), uniche persone d’interesse per Sal in On The Road? Forse Kerouac sta dimostrando ancora una volta la sua attrazione verso questo tipo di persone, vitali e perdute, mentre il malinconico vagabondo che parla di loro è, allo stesso tempo, uno di loro?

Se da un lato l’ammirata curiosità che Kerouac nutre verso lo stile di vita del vagabondo dipende da quella che Jill Lynn Talbot definisce un’indiscutibile connessione con la cultura dell’emarginazione (Lynn Talbot 1999), dall’altro si potrebbe anche vedere in un’ottica più trascendente. Questo perché l’hobo di Kerouac non è semplicemente un povero vagabondo, quanto piuttosto una delle poche creature ancora in grado di fare esperienza di una vera connessione con l’universo, negata ai più dalle costrizioni e dai falsi miti con cui la società ci anestetizza. In altre parole: “L’hobo ha due orologi che non si possono comprare da Tiffany, a un polso il sole, all’altro polso la luna, entrambi i cinturini fatti di cielo.” (Kerouac 1960).

Leggendo The Vanishing American Hobo appare chiaro, quindi, che per Kerouac l’hobo è molto più che un semplice vagabondo: è lo spirito libero, il viaggiatore, il pensatore fuori dagli schemi. In ogni caso, una figura che piano piano sta svanendo, cancellata da una società che troppo spesso preferisce le masse agli individui.

 

6. Bibliografia

Fante John, Chiedi alla polvere, trad. it. Maria Giulia Castagnone, Milano, Mondolibri, 2004 (ed. orig. Ask the Dust, Harrisburg, Stackpole Sons, 1939).

Kerouac Jack, Sulla strada, trad. it. Marisa Caramella, Milano, Mondadori, 2010 (ed. orig. On the Road, New York, Viking Press, 1957).

Kerouac Jack, Il tramonto dell’hobo americano”, L’ultimo vagabondo americano, ed. it. Marta Baldocchi, Cettina Savà-Cerny, Milano, Mondadori, 2002 (ed. orig. “The Vanishing American Hobo”, Lonesome Traveller, New York, McGraw Hill, 1960).

Lynn Talbot Jill, This is Not an Exit: The Road Narrative in Contemporary American Literature and Film, Lubbock, Texas Tech University, 1999. 

 

Foto 1 da spotlimeapp.com (Data di ultima consultazione: 1/09/2021)