I versi di Maya Angelou: tra perdono, speranza e semplicità

Giulia Panella

Amanda Gorman, la vincitrice del titolo di National Youth Poet Laureate scelta da Joe Biden per recitare il poema inaugurale durante l’insediamento del presidente alla Casa Bianca, ha fatto parlare di sé soprattutto per la sua giovane età, il suo talento, e i numerosi traguardi già raggiunti. Oltre a essere giovanissima, però, Gorman è soprattutto una donna, è afroamericana ed è un’attivista femminista e antirazzista. La scelta di una persona del genere per la cerimonia inaugurale sembra sottolineare la differenza -almeno nella forma- tra Biden e il suo predecessore, ma non si tratta di una novità assoluta. Nel 1993, infatti, per la prima volta era stata una donna, una donna nera, a ricoprire il ruolo di poeta inaugurale: si trattava di Maya Angelou, artista poliedrica e persona eccezionale, di cui evidentemente Amanda Gorman raccoglie l’eredità.

 

1. Poesie a confronto

2. Rappresentazioni di un Io poliedrico

3. Bibliografia e sitografia

 

1. Poesie a confronto

The Hill We Climb (2021), la poesia della giovane poeta di Los Angeles, presenta molti richiami a On the Pulse of Morning (1993), che Angelou recitò in occasione dell’insediamento di Bill Clinton: “we are far from pristine”, siamo tutt’altro che puri, scrive Gorman, e subito vengono in mente la Roccia, il Fiume e l’Albero che nella poesia di Angelou prendono vita e parlano direttamente al genere umano. Questa sorta di trinità naturale, a metà tra cristianesimo e animismo, condanna la tracotanza, l’avidità e la violenza che hanno segnato la storia degli uomini, ma allo stesso tempo dipinge una possibilità di riscatto che può dipendere solo dalla relazione che l’uomo sceglierà di avere con il proprio passato. “Do not hide your face”, non nasconderti, dice la Roccia di Angelou, assumiti le tue responsabilità e avrai nelle tue mani il futuro con tutto il suo potenziale, in modo tale che “la Storia, nonostante il suo dolore straziante,/ benché non possa essere cancellata, non vada rivissuta, se la affrontiamo con coraggio”. Il passato non si può cambiare, ma si può fare ammenda, si può invertire la rotta, ed è questo il primo messaggio che Amanda Gorman riprende da On the Pulse of Morning, sintetizzandolo in uno dei propri versi.

Dunque entrambe queste donne professano, in qualche modo, il perdono. Gorman parla di “era della redenzione”, mentre le tre personificazioni naturali di Angelou si dicono pronte ad accogliere nuovamente e senza rancore il genere umano, nel solco di un mea culpa collettivo che apre la strada a una seconda possibilità su questa terra. In questo caso, a parlare è una Natura che si dimostra benigna, misericordiosa anche se severa, agli antipodi rispetto a quella incontrata dall’islandese leopardiano, matrigna del tutto indifferente alla sorti umane. La Natura di cui scrive Maya Angelou si esprime sì con fermezza, ma anche con grazia, facendosi portavoce non solo dell’autorevolezza dell’autrice, ma forse anche della sua stessa storia: donna nera negli Stati Uniti di metà Novecento, vittima di abusi, ragazza madre, creatura offesa dalla vita ma non per questo meno desiderosa di vivere. “Continuo a morire/ perché amo vivere”, scrive in The Lesson (1978), breve poesia meno conosciuta: continuare a morire, a soffrire, a pagare pegno, perché anche se è questo il prezzo della vita, per Maya Angelou vale la pena di pagarlo. 

Il tepore del sole appena sorto, allora, racchiude in sé tutte le nuove possibilità che il genere umano ha a disposizione per trasformare sé stesso, curare le proprie ferite, intraprendere una nuova strada. “On the pulse of morning”, al pulsare del mattino, ecco che si dischiude il futuro, ancora informe. In questo momento vivo, palpitante, bisogna guardare l’orizzonte, “sollevare il nostro sguardo non verso ciò che ci divide, ma verso ciò che abbiamo davanti”, scrive Gorman raccogliendo l’invito della sua predecessora. Se l’angelo della Storia di Walter Benjamin (1997) si trovava sospinto quasi per inerzia verso il futuro, ma con lo sguardo sempre rivolto verso un passato di ceneri e rovine, ora “è la Storia che ha gli occhi puntati su di noi, mentre i nostri occhi guardano al futuro”.

E cosa fare di questo futuro? Accoglierlo nel palmo delle nostre mani, scrive Angelou con una tenerezza materna, plasmarlo secondo i nostri bisogni più intimi, scolpirlo a formare la nostra immagine pubblica. “Generate di nuovo/ il sogno”: questo futuro allora è un sogno che gli esseri umani possono trasformare in realtà, un sogno da partorire, che verrà al mondo dopo sangue e sofferenza, come sempre fa la vita. Maya Angelou fa proprio l’American Dream, ma spogliandolo dell’individualismo che lo caratterizza e proponendolo piuttosto come un processo di rigenerazione collettiva. Così, mentre Amanda Gorman conclude la propria poesia con un tono vagamente epico, Angelou chiude con una semplicità disarmante, suggerendo quello che potrebbe essere un primo passo verso un nuovo modo di essere:

 

“[...] Qui, sul pulsare di questo nuovo giorno

Potreste avere la grazia di alzare lo sguardo e guardare negli occhi                                                                                                 

Vostra sorella, guardare in volto

Vostro fratello, il vostro paese

E dire semplicemente

Molto semplicemente

Con speranza -

Buon mattino.”

 

2. Rappresentazioni di un io poliedrico

Nelle poesie di Maya Angelou, la semplicità è una caratteristica cardine ma anche multiforme, in grado di adattarsi ai toni più disparati e di resistere a quell’oscillazione sorprendente che si percepisce negli scritti dell’autrice. Infatti, se a volte i versi di Angelou raccontano di una donna forte, fiera, quasi invincibile, che indossa e sfoggia la propria femminilità come fosse una stregoneria e allo stesso tempo un miracolo, in altri casi restituiscono invece l’immagine intima di una fragilità inaspettata, disarmante nella sua schiettezza, vulnerabile e forse per questo bella.

La donna che in When you come to me (1971)  piange al ricordo delle parole sussurrate durante un amore passato non sembra la stessa che in Phenomenal Woman (1978) celebra a testa alta ogni parte del proprio corpo e venera il proprio “mistero interiore”, eppure non c’è contraddizione tra le due: entrambe fanno parte dell’individualità dell’autrice, che con la sua penna sceglie di volta in volta di posizionare la rappresentazione di sé e della propria storia in zone diverse dello spettro caleidoscopico in cui l’io si muove. Si tratta di un esercizio che non compromette mai l’intensità dei versi di Angelou, nemmeno nel crudo realismo di poesie come Momma Welfare Roll (1978), in cui la carne grassa e cadente delle braccia della madre a caccia di sussidi racconta una storia di stenti e tenerezza, di cicatrici e forza.

L’opera poetica di Maya Angelou, benché meno nota delle sue pubblicazioni autobiografiche in prosa, riesce quindi a raccontare con delicatezza e decisione molte delle sfaccettature dell’autrice: una donna che è stata sé stessa in tutte le forme possibili, che è stata cuoca, giornalista, spogliarellista, docente universitaria, tranviera, cantante, compositrice, prostituta, portavoce femminista e dei diritti civili. Una donna che in tanti modi ha lasciato il segno, anche nei più giovani.

 

Bibliografia e sitografia

Angelou Maya, And Still I Rise, New York, Random House 1978

Angelou Maya, Just Give me a Cool Drink of Water ‘fore I Diiie, New York, Random House, 1971.

Angelou Maya, On the Pulse of Morning, New York, Random House, 1993.

Benjamin Walter, Sul concetto di storia, a cura di Gianfranco Bonola e Michele Ranchetti, Torino, Einaudi, 1997.

Poet Amanda Gorman reads ‘The Hill We Climb’, https://www.youtube.com/watch?v=Wz4YuEvJ3y4&ab_channel=ABCNews (data ultima consultazione 22/03/2021)

 

Foto 1 da swashvillage.org (ultima consultazione 25/08/2021)