“Sconosciuta Argilla”: immagini di infertilità nella poesia di Emily Dickinson

Elena Valli

1. Introduzione

2. Tigre e leopardo

3. Acqua e sabbia

4. Giardini fioriti e paesaggi ghiacciati

5. Conclusione

6. Bibliografia

 

1. Introduzione

Tra tutti i poeti americani, Emily Dickinson è nota specialmente per il suo legame con la natura e per la capacità di esprimere verità universali semplicemente osservando il microscopico universo di un giardino, o immaginando cosa si celi dietro a un paesaggio serale. Questi elementi del vissuto, spesso trasformati in complesse metafore che ricordano quelle dei poeti metafisici inglesi, le permettono di elaborare temi chiave della sua poetica, dal rapporto con Dio a quello con il padre e con gli affetti in generale. 

Gli studiosi della Dickinson hanno accesso a numerosi documenti che descrivono i dettagli della sua vita quotidiana e familiare, come la sua collezione epistolare, e tramite questi sono giunti a nuove interpretazioni della sua opera in chiave biografica. Gli affetti della poetessa fanno regolarmente la loro apparizione nei suoi componimenti, spesso con valore metaforico – a partire dalla cognata Sue, il cui nome ricorre spesso nelle poesie, fino a una figura  misteriosa, “the Master”, per cui la donna sembra nutrire sentimenti altrettanto passionali, e la cui identità rimane sconosciuta.

In pochi, però, si sono soffermati sul tema della maternità – un concetto che per la poetessa si lega strettamente alle possibilità di nutrire il prossimo e di dargli sostegno. Personaggi assetati e affamati ricorrono spesso nelle sue poesie, legati al tema delle relazioni affettive e spesso accompagnati da una terra desolata – non ancora quella che farà da sfondo alla società smarrita del poemetto di Eliot , quanto piuttosto un paesaggio desolato che rappresenta il proprio mondo interiore, in pieno stile Romantico.

La terra infertile diventa per Emily Dickinson il simbolo della maternità fallita e della sterilità a discapito di chi si ama. É una sterilità intesa non soltanto come l’impossibilità di concepire la vita e di conoscerne gli aspetti più concreti ma anche, e soprattutto, come ostacolo alla realizzazione della sfera erotica o affettiva. La fertilità viene vista di riflesso, quasi come un metro di paragone che la rende (ai suoi occhi) differente dalle altre donne. Tutti i risvolti di questo tema sono rappresentati nelle sue opere attraverso coppie semantiche che finiscono per creare un vero alfabeto poetico fatto di riferimenti e allusioni simboliche.

 

2. Tigre e leopardo

L’impossibilità di nutrire coincide, in alcuni scritti, con l’impossibilità di vivere l’amore carnale. In questi esempi, l’amante viene rappresentato nel tentativo fallimentare di sfamarsi, come un bambino, attraverso il corpo infertile della madre e dell’amata. Questa metafora ricorre in più poesie, attraverso l’immagine del felino lasciato a morire di fame dalla poetessa – una tigre in alcuni casi, o un gatto, ma sempre un animale che unisce in sé  una natura addomesticabile e una di predatore, amabilità e minaccia. Questi personaggi spesso appaiono in paesaggi esotici, lontani dalla realtà, soprattutto aridi e sabbiosi.

Mentre l’amante è spesso rappresentato come una tigre, la controparte femminile è il leopardo, la regina del deserto, associato alla poetessa nella poesia 201 e nella 276, nella quale come lei ha il “petto lentigginoso”. L’animale è allontanato dalla civiltà, ma non è mai rinnegato dal suo habitat naturale apparentemente ostile. L’aspetto più interessante del componimento 276 è l’attaccamento che la protagonista sente verso il deserto, al punto da rifiutare l’invito dell’amante (qui definito “Signor”, un titolo vicino a quello del “Master” a cui sono dedicate le sue misteriose lettere d’amore) a lasciarlo per terre più invitanti, dove i due potrebbero convivere. 

In particolare, questa poesia delinea un’opposizione tra leopardo, deserto e palme e il “Signor”, associato al “balsamo” della civilizzazione. Nonostante il desiderio di seguirlo, lasciare il deserto coinciderebbe con la morte della creatura: il deserto è il solo luogo adatto a coltivare una relazione amorosa, esclusivamente platonica. La poesia 201, infatti, immagina questa unione, ma soltanto “nel deserto” e “nell’arsura”. La fame e la sete del desiderio amoroso possono essere soddisfatte soltanto con la morte, dopo la quale, come nell’immaginario della poesia 296, intesa come seguito alla precedente, gli amanti sono riuniti per l’eternità: “Ci guardiamo − nutrendoci l’uno del volto dell'altro − come −/In incerto pasto […]”.

Se il leopardo è “maculato”, imperfetto, il “Signor” è incarnato nell’invincibile tigre, che nelle poesie 529 e 1064, vicina alla morte, domina il territorio e lo riempie del suo disperato bisogno di saziarsi. Nel primo caso, la poetessa è messa a confronto con una tigre che “gemeva per la sete”. Dopo aver scavato nella sabbia e aver ricavato poche gocce, si accorge che il suo sforzo è stato inutile: la tigre muore e nei suoi occhi rimane riflessa soltanto “Una Visione sulla Retina/Dell’Acqua − e di me –”, l’ombra di una possibilità. L’insistente richiesta della creatura morente spinge la protagonista a scavare metaforicamente tra le proprie risorse e, come nota Pollack, a offrire sé stessa e la propria mano (1979:46), ma i suoi sforzi non sono sufficienti. La poesia si chiude con una tormentata riflessione (“Non fu colpa mia − che troppo lenta m’affrettai −/Non fu colpa sua − che morì”) che tradisce tanto il senso di frustrazione nel non poter dare nutrimento, quanto la necessità della paralisi di fronte alle irragionevoli e incalzanti richieste dell’insaziabile predatore e al suo ricatto attraverso la morte. 

Nel secondo componimento la tigre ritorna in veste di predatore, comparata ad altri simboli di prevaricazione e conquista – un “avvoltoio”, “l’Affamato Maelstrom” del mare – che si scagliano sulle loro vittime. È interessante notare la metonimia che associa mare, terra e corpo come insiemi coerenti dai quali chi è “irritato” e “affamato” sottrae una parte vitale. Queste metafore introducono il confronto al centro della poesia tra essere umano e tigre, la cui sete, soddisfatta inizialmente da “una briciola di sangue”, cresce irrefrenabilmente dopo il primo, misurato boccone. L’immagine sembra suggerire che la vera minaccia stia nel desiderio di prosperare sui resti dell’altro, di divorare ogni parte del corpo senza accontentarsi ciò che viene offerto, il “vile nutrimento” di “datteri e cocco”. Questa voracità animale, secondo Louis (1988:355), è intimamente legata alla dimensione dell’infanzia per la Dickinson, che ne scrive nella lettera 777: “la voracità negli affetti è evidente prima di tutto nei bambini […] non c’è dentro a ciascuno di noi un dolce lupo che reclama il suo cibo?”.

 

3. Acqua e sabbia

Un altro esempio che descrive il rapporto tra la protagonista e l’amante misterioso è quello del rapporto tra l’acqua e la sabbia. La potenza vitale dell’acqua, portata a invadere sempre più il deserto con le sue onde fino a sommergerlo, sembra non trovare mai abbastanza sazietà in esso, né la sua espansione sarà arginata o assorbita dal terreno arido, incapace di accoglierne la portata. Il senso di colpa indotto da questa dinamica ritorna nella poesia 491, nella quale la morte “sa di Polvere” e nonostante la donna prometta “Mio sia l’Officio/ Quando la tua Sete verrà”, tutto ciò che riesce a racimolare sono gocce di rugiada e balsami.

Una simile soluzione del conflitto tra terra e acqua è la distruzione della terraferma durante l’assalto da parte del mare. In un gruppo di poesie, in particolare, lo slancio della tigre affamata si trasforma nello slancio delle onde del mare, pronte a sommergere definitivamente la sabbia asciutta. Patterson (1979:44) nota che un’altra poesia, la 728, descrive la scoperta dell’amore in termini simili, con un’allusione al ritorno di Dio sulla terra in Isaia 35:5-6: Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa”

Di nuovo, l’unione tra le due parti è concepibile solo dopo la morte, come anche nella poesia 631: la poetessa, sfiorata dall’acqua di un fiume, deve constatare:  “il mio Cuore è asciutto”. Pur essendo emotivamente e fisicamente intoccabile, la portata insistente dell’acqua la spinge infine a cedere alla corrente, e il sacrificio si compie con l’affermazione: Oh Amante − la Vita non poté convincere −/ Possa la Morte − consentirtelo –”, mentre il tocco dell’acqua raggiunge, in una vera appropriazione del corpo, il suo petto, le mani e la bocca, fino a chiuderle gli occhi e farle perdere i sensi. Il cedimento sotto il peso dell’amante richiama la metafora della madre e del bambino in una delle ultime lettere al Master (233): “Egli ha costruito un cuore in me – man mano è cresciuto più di me – e come la piccola madre – con il grande bambino – non sono più riuscita a sorreggerlo”

Questa relazione tra acqua e terra ritornerà successivamente nel ciclo di poesie che hanno come protagonisti il Caspio e il Sahara. Questi luoghi geografici appartengono ai regni esotici dell’Asia e dell’Africa, che fanno spesso da sfondo al tema dell’amore infertile. Lontani geograficamente e metaforicamente dalla realtà quotidiana dell’autrice, diventano simboli che si aggiungono al paradigma esplorato fino ad ora, basato su due concetti diametralmente opposti

Anche in assenza di una presenza maschile, la sabbia arida mantiene comunque un potenziale non tanto materno quanto creativo, inteso proprio come capacità di rigenerarsi e produrre oggetti artistici. Nonostante gli assalti marini, la terra dà vita a modo suo a frutti e piante – creazioni particolari, esotiche, come le palme tanto care al leopardo delle poesie appena commentate. Dickinson sembra suggerire che un poeta può nutrire creature più rare, lontane dalle comuni esperienze umane. Come osserva Pollack (1979:33), la risposta caratteristica di Emily Dickinson nell’immaginare soggetti deprivati di qualcosa è “uno sforzo verso l’autosufficienza, verso il dominio dei propri strumenti intellettivi e verso la sublimazione delle emozioni debilitanti causate da persecuzione o indifferenza”

Molti scritti esplorano il tema della creazione solitaria. Come nelle poesie su tigri e leopardi, la sabbia è associata in termini simili alla assenza di veri frutti nella poesia 447. Qui la protagonista cerca nuovamente di comprendere le necessità dell’amante morente, separato dalla società che potrebbe accorrere in suo aiuto soltanto da un “Orrido Tramezzo di Sabbia” che impedisce ogni comunicazione o contatto. Nonostante sia l’uomo ad affrontare la morte, un forte senso di angoscia traspare dalle parole dell’io narrante, che osserva come la loro unione rimanga infruttuosa. Si può notare come la distanza da “l’altro” comprenda sia il distacco dalla persona amata quanto l’incapacità di trovare punti di contatto con la società – un problema doloroso per la poetessa, che si era ribellata a quasi tutte le norme imposte dal piccolo mondo di Amherst, ripudiando il matrimonio e rifiutando la conversione religiosa, ed era esclusa e derisa dalla propria comunità. 

Se la sabbia conduce all’isolamento, pur con fatica, Emily Dickinson accetta e celebra questo luogo della propria interiorità. Nella poesia 885 parla di “un arido Piacere” provocato dal gelo e opposto alla “Gioia” che accompagna il formarsi della rugiada. Ancora una volta i concetti di aridità e fertilità sono in contrapposizione, e anche se la poetessa li definisce “affini”, lei stessa non può che notare che i fiori, qui personificati, amano uno di questi fenomeni e odiano l’altro. Questa condizione, anche se imperfetta, è per lei un “Miele”, e il suo intento è quello di far fiorire il suo deserto in modi anticonvenzionali. Questa intenzione è espressa esplicitamente nella poesia 862, che proclama: “Sullo Squallore del mio Campo/Frutti ho cercato di far crescere −”.  Fiori e frutti diventano una metafora riferita alla nascita e, come nelle poesie già analizzate, il suo è un giardino roccioso, capace però di produrre, grazie a un persistente lavoro (“coltivato con costanza”) piccoli risultati – letteralmente, dato che “Uva” e “Mais” richiamano quelle briciole e granelli offerte alla tigre e insufficienti a nutrire un essere vivente. 

 

4. Giardini fioriti e paesaggi ghiacciati

La terra desolata di Emily Dickinson è anche capace di estendersi per ampi spazi, da sud a nord. Ogni punto cardinale, secondo Patterson, è caratterizzato simbolicamente, e “su questo doppio asse la poetessa sospende letteralmente centinaia di poesie, ciascuna legata a molti altri gruppi simbolici” (181). Il polo opposto al deserto e arido è così quello del paesaggio ghiacciato, un altro esempio di sterilità, associato in altri componimenti anche alla verginità (Patterson, 1979:183). In questo contesto la palma tropicale è sostituita dalla tsuga, una conifera tipica del Canada, nella poesia 400. Questo abete è comparato proprio alla palma per il fatto che entrambi aiutano l’uomo a superare lo sgomento provato di fronte a un terreno brullo riempiendolo della loro imponente presenza, superficiale ma rassicurante. Entrambi hanno un tronco coriaceo, abituato a vivere a lungo senza acqua, tanto che “La natura dell'Abete prospera − nel freddo −”. Questa immagine suggerisce che una persona isolata, anche se soffre e non è compresa dagli altri, trova conforto nella capacità di vivere la propria indipendenza, sicura di sé, diventando un esempio per tutti. Questo è forse anche un modo, per l’autrice, di farsi forza per non tradire la propria originalità e di celebrare la resilienza che le proviene dalla creazione poetica.

Mentre il deserto si oppone al mare, simbolo dell’amante (quel “Master” a cui le lettere amorose sono apparentemente destinate) la terra gelata è messa in contrapposizione al giardino fiorito, associato questa volta alla cognata Susan, un modello materno e uno dei più grandi affetti della poetessa, anche lei segnalata dalla critica come potenziale amante di Emily.  

La poesia 596 delinea un chiaro confronto tra il destino della poetessa e quello dell’amica: entrambe si sono ritrovate “spose”, ma mentre il matrimonio felice di Sue, in giugno, è favorito dal sole, quello di Emily l’ha trascinata nelle tenebre. Alla “Piccola Casa” di Susan, caratterizzata dal calore domestico e dagli affetti, si contrappone quella dell’altra, affacciata non a caso su “Oceani” e sul “Nord”. Infine, la voce poetica non può che ammettere: “il Tuo Giardino primeggiava nella Fioritura,/ Perché il mio − nel Gelo − era stato seminato −”. In questo caso, si insiste sul rapporto tra donna e terra, e viene introdotto il motivo deserto/giardino (che ritornerà, ad esempio, in Eliot) qui associato al potenziale di moglie e madre. Se la poetessa trova il modo di celebrare l’autenticità e il potere creativo del suo mondo di ghiaccio, le sue certezze si sciolgono quando arriva giugno, la stagione della “vera madre” Sue: nella poesia 230, ad esempio, scrive che “Nessun Arido Mezzogiorno −/ Nessuna paura del gelo che verrà” disturberà la “perenne fioritura” della sua mente, “Salvo un Indiscutibile Giugno!”

L’immagine della gravidanza è descritta come una lenta crescita sotterranea. I mesi primaverili di maggio e di giugno (il mese di Sue) richiamano specificamente un tempo di “Attesa”, come nella poesia 1422, e le colline, diventate dame, celebrano la nascita di “Frutteti, e Ranuncoli, e Uccelli –” (poesia 74). Persino i fiori sono spesso rappresentati come neonati – nella poesia 85, ad esempio, dormono in “lettini” e in “culle”, sono “piccoli” e spinti al sonno dalla “curiosa ninnananna” della valle su cui crescono. 

La primavera è dunque il mondo nel quale si muove Susan; nel freddo mondo di Emily, virginale e letargico a causa del gelo, la rosa(un fiore primaverile), viene sostituito dalla Genziana (poesia 520). In questo caso, la poetessa si presenta come “una piccola Genziana −/Che tentò − d’essere una Rosa −/E fallì –” . Questo fiore resiste a bassissime temperature, ma messo al confronto con la bellezza dell’altro, finisce per domandarsi: “Creatore − io − fiorirò?”

Persino nel componimento 1458, scritto quindici anni dopo il precedente, di nuovo una Dickinson ormai matura descrive la genziana sottolineandone la “Corolla avvizzita” e la superficie inaridita. Le regole della natura sono chiare: come ricorda anche il testo 1771, uno dei suoi ultimi, non ci può essere più “maturazione” dopo l’estate. Bisogna quindi rifugiarsi nel freddo inverno e “Con l’inverno convivere”: una sorte opposta a quella della “Sposa Tropicale”, un titolo significativo alla luce di quanto è stato detto finora. 

 

5. Conclusione

Da tutti questi esempi è evidente come nella sua produzione poetica lunga tutta una vita Emily Dickinson conservi ed espanda man mano un paradigma di simboli, esplorando ogni campo semantico attraverso quello contrario, e offrendo immagini speculari – il giardino e il deserto, il mare e la terra, estate e inverno, rosa e genziana, Caspio e Sahara – immediatamente comprensibili per il lettore, e che cercano di descrivere in termini materiali circostanze e valori astratti. Anche se in queste scene ricorrono vari elementi naturali e concreti, come rocce, sabbia e balsami, le immagini nella loro interezza sono sempre lontane dalla realtà ed esprimono soprattutto un messaggio trascendentale. Questo messaggio riguarda in parte il conflitto tra il desiderio di sacrificarsi per il prossimo e quello di preservare la propria unicità con freddezza e isolamento. È un atteggiamento difficile da mantenere, ma che sembra necessario per difendersi da una società che, nel mondo della Dickinson ha ancora molte opinioni e aspettative sui doveri e sulle caratteristiche ideali di una donna, tra le quali spicca proprio la maternità.

 

6. Bibliografia

Dickinson, Emily. The Complete Poems. Traduzione e note di Giuseppe Ierolli. Indice Franklin. https://www.emilydickinson.it/f0651-0700.html

Diehl, F. Joanne, “Emerson, Dickinson and the Abyss”, in Bestler, E.; Uebbing, J. (ed.) Emily Dickinson: Modern Critical Views, 1985. New York: Chelsea House Publishers, pp. 145-160.

Louis, K. Margot. “Sacrament of Starvation”, Nineteenth-Century Literature, 43.3 (1988) : 346-360, University of California Press.

Patterson, Rebecca. “The Geography of the Unconscious” in Emily Dickinson’s Imagery, 1979. Amherst: The University of Massachusetts Press, pp. 30-73.

Patterson, Rebecca. “Emily Dickinson’s Geography” in Emily Dickinson’s Imagery, 1979. Amherst: The University of Massachusetts Press, pp. 140-179.

Patterson, Rebecca. “The Cardinal Points” in Emily Dickinson’s Imagery, 1979. Amherst: The University of Massachusetts Press, pp. 180-204.

Pollak, R. Vivian. “Thirst and Starvation in Emily Dickinson's Poetry”, American Literature, 51.1 (1979) : 33-49, Duke University Press.

Waterman, W. Bernardette. “Abortion and Emily Dickinson: Sex, Religion and Romanticism in the Marriage Group Poems”, Life and Learning, XVII, (2008) : 529-544.

Wheatcroft, J.S. “Emily Dickinson's White Robes”, Criticism, 5.2 (1963) : 135-147, Wayne State University Press.

 

Foto 1 da style.corriere.it (ultima consultazione 25/08/2021)

Foto 2 da giardinaggio.it (ultima consultazione 25/08/2021)

Foto 3 da livability.com (ultima consultazione 25/08/2021)