Richard Wilbur: rigore formale dell’eterno movimento del mondo

Elena Valli

Pochi autori attivi nella seconda metà del Novecento possono vantare le capacità e i riconoscimenti di Richard Wilbur. Poeta, traduttore e letterato a tutto tondo, soldato durante la Seconda Guerra Mondiale, è acclamatissimo negli Stati Uniti ma poco noto a livello internazionale, in parte per le sue scelte stilistiche fuori dal comune.


1. L’inizio di una brillante carriera
2. Stile poetico: New Criticism
3. Il rifiuto della Confessional Poetry e il Pulitzer Prize
4. Il lavoro di traduttore e le opere in prosa
5. Il titolo di Poet Laureate e la vecchiaia
5. Bibliografia e sitografia

 

1. L’inizio di una brillante carriera

Nasce nel 1921 a New York, la più cosmopolita delle città, da una famiglia americana da diverse generazioni ma aperta alla cultura europea e alla produzione artistica e letteraria – padre Lawrence è ritrattista, la madre Helen giornalista. Trasferitosi da bambino nel New Jersey, spesso ricordata nelle sue poesie. Compone la prima all’età di otto anni, vendendola al John Martin’s Magazine per un dollaro, e la sua carriera progredisce nel tempo altrettanto naturalmente, senza troppi ostacoli o tentativi, grazie alla sua capacità innata e all’esercizio costante. 

La sua poesia spicca, in contrasto con le tendenze dell’epoca, per il tono contemplativo, i messaggi universali e il rigore formale, ed è talvolta stata criticata come troppo impersonale e indiretta. Nonostante ciò, Wilbur consegue nel corso della sua carriera quello che è stato definito da Bawer il curriculum perfetto per un poeta, costellato di riconoscimenti come l’incoronazione poetica, due premi Pulitzer, due Bollingen, il Wallace Stevens Award, la Frost Medal, l’Aiken Taylor Award for Modern American Poetry, il T.S. Eliot Award, l’Edna St. Vincent Millay Memorial Award, una Prix de Rome Fellowship e tanti altri. Come il Juggler di una delle sue poesie, Wilbur è capace di destreggiarsi tra descrizioni pratiche e questioni spirituali, di creare parallelismi e opposizioni dialettiche mantenendo sempre la leggerezza, la giocosità e la musicalità di un poeta che è prima di tutto affascinato dal mondo e dai suoi fenomeni.

Nel 1939 il giovane Wilbur inizia gli studi di letteratura all’Amherst College, dove viene coinvolto nei dibattiti politici  in favore del New Deal di Roosevelt e dei movimenti progressisti. Qui, continuando una tradizione di famiglia, dirige la rivista dell’università, sulla quale pubblica articoli e vignette. In questo periodo fa la conoscenza di Charlotte – Charlee – Ward, studentessa allo Smith College, con la quale condividerà il resto dei suoi anni e dalla quale avrà quattro figli. Il matrimonio avviene subito dopo la laurea nel 1942, ma sia la vita coniugale che l’attività didattica di Wilbur, come quelle di molti altri, vengono interrotte dallo scoppio della Guerra mondiale. 

Inizialmente, presta servizio come crittografo per l’esercito, che lo affascina, ma le sue simpatie a sinistra destano sospetti e portano a un’indagine nei suoi confronti. appena ventenne, serve ad Anzio, a Monte Cassino e in Germania. Nonostante l’interesse generalizzato per la letteratura e il giornalismo, è proprio durante la vita di trincea che l’attività poetica di Wilbur, prima sporadica, diventa costante. Costretto a un’esistenza sotterranea e ad assistere alla morte di amici e commilitoni, scrive per cercare di articolare la propria esperienza e per avere una voce con cui dialogare in mezzo al caos. Senza mai pensarsi poeta, invia i suoi componimenti ai propri cari, soprattutto a Charlee. È la moglie a mostrarli per la prima volta a un amico redattore del Saturday Evening Post, che si dichiara immediatamente disposto a pubblicarli. 

Un nuovo inizio è reso possibile nel 1945 dalla G.I. Bill, che permette a Wilbur di ottenere una laurea specialistica ad Harvard. Wilbur rimane presso l’università come Junior Fellow dopo gli studi, e membro ufficiale dal 1950. Qui entra in contatto con le figure più eminenti del panorama poetico americano dell’epoca, primo fra tutti Robert Frost. Spinto da un debito nei confronti di Charlee, il cui nonno aveva pubblicato il primo volume delle sue poesie, ma soprattutto impressionato dalle sue capacità, Frost instaura con il giovane poeta un rapporto di amicizia; l’influenza dei suoi ideali poetici è evidente in Wilbur. 

Appena affacciatosi al mondo letterario, il talento di Wilbur risulta evidente. Il suo destino viene sancito quando mostra a un amico – André du Bouchet, poeta e editore della rivista Foreground – alcune poesie scritte sul fronte. La scena è stata raccontata da Wilbur stesso in una intervista su The Paris Review“he wrapped his arms around me, kissed me on both cheeks and declared me a poet”.

Ha 26 anni quando la Reynal and Hitchcock pubblica la sua prima raccolta, dal titolo Poems che riceve il plauso unanime della critica e dei lettori. 

 

2. Stile poetico: New Criticism 

The Beautiful Changes è il risultato di un’esperienza traumatica che ha ispirato in Wilbur per la prima volta una vera urgenza poetica e una delle prime riflessioni sul proprio lavoro. Nota che:

 

“one does not use poetry for its major purposes, as a means to organize oneself and the world, until one’s somehow gets out of hand” (Twentieth Century Authors, First Supp. ed. Stanley Kunitz, 1955, p.1080, in Southworth, 27).

 

L’impulso a comporre nasce da una necessità di organizzare se stessi e il mondo entro uno schema interpretativo – una necessità soddisfatta attraverso un grande rigore formale, l’utilizzo di uno stile positivamente artificiale, impreziosito da strutture metriche sofisticate e variate, e una costante attenzione per la musicalità delle parole.

Le poesie che lo presentano al mondo mostrano una tendenza, comune a diversi poeti-soldati, esorcizzare i propri fantasmi o a frapporre lo schermo dell’ironia tra sé e l’esperienza vissuta. Altri componimenti insistono invece nel celebrare la bellezza del mondo, mettendo in ombra gli aspetti negativi e a lui attuali. Il componimento che dà il titolo alla raccolta insiste proprio sulla contemplazione estetica della natura e sul tema del mutamento. Sfruttando la capacità camaleontica delle parole di adattarsi a diversi contesti, Wilbur compara i cambiamenti di una foresta nel corso delle stagioni a quelli di una mente, mostrando la meraviglia insita nella trasformazione nel continuo divenire del mondo.

Questa tendenza volta anche all’ottimismo e all’equilibrio è stata interpretata da critici come Dickey come un rifiuto di affrontare un tema poetico in maniera diretta. Jarrell, allo stesso modo, ha notato in Wilbur una “felicità studiata” di stampo oraziano, che tende a creare universi di bellezza a sé stanti poiché rifiuta il dolore. Citando le sue parole, 

 

“Wilbur never goes too far, but he never goes far enough” (Poetry Foundation). 

 

L’accusa di non sbilanciarsi mai, di non esprimersi apertamente su temi quali la guerra o la politica, di mascherare i propri sentimenti dietro l’abilità tecnica o addirittura di preferire lo studio di oggetti inanimati a quello degli esseri umani accompagneranno Wilbur per tutta la sua carriera. Questo dimostra in parte come, sebbene l’esperienza bellica favorisca questo tipo di reazione, il tono impersonale e oggettivo trascenda questo episodio e si confermi un aspetto fondamentale del suo stile

Lo stile di Wilbur si stabilizza infatti nel corso della sua carriera su un gusto per la speculazione filosofica e per l’osservazione del mondo. Le sue riflessioni sono compiute attraverso associazioni di idee che ricordano il conceit della poesia metafisica, e sono sempre ordinate all’interno di uno schema formale impeccabile. Questo lo qualifica come uno dei New Critics, un gruppo di poeti formalisti formatosi negli anni Cinquanta e influenzato dalla critica di I.A. Richards e John Crowe Ransom.

Wilbur utilizza metro e rima, giochi di parole elaborati e paradossi, e inserisce molte riflessioni sul linguaggio nelle proprie poesie, facendo di esse dei veri e propri esercizi di stile. La sua produzione dal 1943 al 1956 conta 66 diversi tipi di stanza. Come ha dichiarato in un’intervista parlando di ciò che ispira una poesia:

 

"It seems to me that there has to be a sudden, confident sense that there is an exploitable and interesting relationship between something perceived out there and something in the way of incipient meaning within you" (The Paris Review, The Art of Poetry No.22). 

 

In un’altra intervista per The Southwest, Wilbur ha ripetuto:

 

“The use of strict poetic forms, traditional or invented, is like the use of framing and composition in painting [...] a pattern imposed upon the world or found in it, a partial and provisional attempt to establish relations between things”. (1973:246)

 

Gli accenni al mondo rinascimentale, alla mitologia e alla letteratura europea, oltre una certa reticenza nell’esprimere la propria soggettività, lo accomunano ai grandi poeti modernisti come T.S. Eliot. In Poetry’s Debt to Poetry (1973) Wilbur scrive: “art is prompted, in the first place […] by borrowing, theft, adaptation, translation, impersonation, parody”. Come ricorda Dana Gioia, non bisogna inoltre ignorare l’aspetto religioso insito nella poesia di Wilbur, evidente anche nella sua visione spirituale e spesso positiva del mondo, un altro elemento comune sia ad alcuni modernisti che ai poeti settecenteschi. Wilbur rimane di fede episcopale per tutta la vita, e le immagini religiose, così come le citazioni bibliche, sono presenti in maniera estensiva nel suo lavoro, in forma più diretta come in A Christmas Hymn (1982) o con un valore più universale o, filosofico in in Castles and Distances (1950).

Le allusioni religiose  si uniscono all’osservazione minuziosa del paesaggio in A Baroque Wall-Fountain in The Villa Sciarra (1955), forse la più famosa delle poesie di Wilbur. La descrizione di una fontana barocca dà vita ai suoi dei pagani, si sofferma sulla natura circostante e soprattutto sul movimento costante della scena, dalle onde di luce proiettate sulla sua superficie fino allo scivolare dell’acqua sulle pietre, e trascende poi il mondo concreto per lasciare spazio a una riflessione sulla condizione umana.

Questo componimento mostra efficacemente la capacità di Wilbur di coniugare elementi astratti e concreti. Il paesaggio naturale, la forza fisica e cinetica, ma soprattutto gli oggetti di tutti i giorni e gli animali compaiono in buona parte della sua produzione. Questi offrono l’opportunità di mettere alla prova le sue capacità tecniche e fungono al contempo da metafore per concetti più profondi. Il dialogo frostiano con la natura è evidente in poesie come A Chronic Condition (1952) mentre ad altri autori contemporanei – Marianne Moore, Elizabeth Bishop, William C. Williams -  sono ispirate poesie più descrittive: The Death of a Toad (1950), ad esempio, è una riflessione sulla morte come interruzione del continuo movimento insito nel corpo umano ispirata dalla morte di un rospo; Potato (1947) ricorda come i frutti più umili della terra siano salvezza e conforto in tempo di guerra o di miseria, permettendo all’uomo di meravigliarsi anche nella disperazione. Love Calls Us To The Things of This World (1956), infine, immagina dei panni appesi ad asciugare come angeli in volo e ammira la loro grazia in contrapposizione al peso delle preoccupazioni mortali. Queste poesie si contraddistinguono spesso per una leggerezza giocosa dei versi e per la finezza musicale, che lo associano a Wallace Stevens e a Tennyson. Hecht, un poeta degli stessi anni, ne loda l'orecchio come il più fine tra quelli dei poeti in lingua Inglese del suo tempo.

 

3. Il rifiuto della Confessional Poetry e il Pulitzer Prize

La sua capacità consiste nel bilanciare toni allegri e temi gravi, grazie alla sua arguzia, o wit. Wilbur è un poeta intellettuale quanto creativo, filosofico quanto religioso, e questi tratti si armonizzano nella sua poesia. L'autore ha affermato:

 

I feel that the universe is full of glorious Energy, that that Energy tends to take pattern and shape, and that the ultimate character of things is comely and good. (The Paris Review, The Art of Poetry No.22)

 

Una visione tanto positiva del mondo non deve però ingannare; il poeta non si astiene dal confronto con il tragico o con la contemporaneità, ma al contrario lo affronta con un umorismo sommesso e una leggerezza capaci di farne risaltare l’entità. La sua poesia, più riflessiva che diretta, evita ogni pretenziosità e punta invece a mostrare i concetti nel modo più efficace possibile.

Queste caratteristiche sono diametralmente opposte alle tendenze poetiche degli anni Cinquanta e Sessanta. Gli Stati Uniti assistono in questo ventennio allo sviluppo della Confessional poetry, un genere poetico che predilige il soggetto come protagonista unico della propria opera e che insiste sull’espressione diretta della propria personalità, di vicende spesso private o di turbamenti psicologici per mezzo di uno stile informale. Di ispirazione simile e sorto a pochi anni di distanza si afferma anche lo stile della Beat Generation, dai toni più marcatamente politici e mistici e legato alla musica jazz, ma ugualmente distante dal formalismo e dall’oggettività.

Un cambiamento tanto netto nei gusti viene in parte causato dai conflitti mondiali: la trasformazione è evidente ad esempio nella poesia di Robert Lowell, corrispondente fisso di Elizabeth Bishop, concentratosi negli ultimi anni della sua produzione, con Skunk Hour (1958), sui propri disturbi psicologici. Protagonisti di questo filone sono autori come Sylvia Plath, Anne Sexton, John Berryman e Allen Ginsberg, che nella loro poetica si interrogano sulla distruzione della propria generazione (come nel caso di Howl di Ginsberg del 1956) o sul suicidio e l’inferno delle malattie mentali (come nel caso di Lady Lazarus di Sylvia Plath, del 1965).

In questo contesto, il tono ottimista e più complesso di Wilbur passa in secondo piano. Confrontandosi con la poesia confessionale, si dichiara contrario a esprimersi su temi personali, preferendo investigare la natura umana nei suoi aspetti universali, e lasciandosi sfuggire dettagli più personali solo negli ultimi anni di attività. Wilbur accetta l’artificiosità dell’arte: poiché nessun oggetto può essere espresso perfettamente nella sua natura, scrive:

 

The relationship between the artist and reality is an oblique one, and indeed there is no good art which is not consciously oblique. ( “The Image and the Object”, The Southwest Review 1973:249)

 

Come ha notato Hall: "It wasn’t Wilbur’s fault, though I expect he will be asked to suffer for it” (Modern American Poetry). Pur rimanendo noto principalmente come traduttore, le tendenze prevalenti della sua epoca gli impediscono di raggiungere la fama a livello internazionale.

Il suo successo in ogni caso viene coronato nel 1956 dal primo premio Pulitzer della sua carriera, un prestigioso traguardo conseguito in giovane età, e da un National Book Award. I riconoscimenti vengono conferiti per una nuova raccolta di poesie, Ceremony and Other Poems, pubblicata nel 1950. Odell nota in questa raccolta il suo solito distacco e la mancanza di autocelebrazione, e un lavoro sempre consistente sul piano formale che, dopo gli anni della poesia soggettiva, riconquista l’attenzione del pubblico.

La poesia che apre la raccolta, Ceremony, è infatti una riflessione metaletteraria sulla pratica del conceit (una metafora o parallelismo esteso tra due oggetti, spesso dal valore filosofico),  con riferimenti naturali e artistici. Allo stesso modo, A Simile for Her Smile descrive il sorriso di una donna e riflette al contempo sull’abitudine di trovare similitudini. In questo periodo Wilbur inizia la propria carriera di insegnante, lasciando Harvard per la Wesleyan University, nel Connecticut, dove rimarrà per i vent’anni successivi.

 

4. Il lavoro di traduttore e le opere in prosa

La grande cultura di Wilbur, in parte la chiave della grandezza delle sue poesie, attinge continuamente da nuove risorse in un rapporto di scambio e arricchimento con la tradizione. Oltre alla pratica poetica e all’attività didattica, contribuisce allo sviluppo della nota sezione di poesia della Wesleyan University Press, pubblica su varie riviste letterarie e cura alcune edizioni critiche, tra le altre delle opere di Shakespeare ed Edgar Allan Poe.

È nel campo della traduzione poetica che ottiene il maggior successo, a partire dal 1952: in seguito alla vincita di una Guggenheim Fellowship trascorre un anno nel New Mexico in cerca di ispirazione, con l’intenzione di dedicarsi al dramma poetico, tornato in voga da poco. La ricerca di modelli validi e di caratteristiche linguistiche che possano arricchire la lingua inglese lo porta a interessarsi al teatro francese.

 Il primo tentativo, la traduzione del Misanthrope di Molière, gli vale il Drama Desk Special Award (1983) e il Pen  Translation Prize (1994). Wilbur poi prosegue con altre opere dello stesso autore (The Learned Ladies, The School of Husbands), di Racine (Andromache, Phaedre, The Suitors) e di Corneille (The Theatre of Illusion, Le Cid, The Liar). Diviene così uno dei più autorevoli traduttori dal francese, tanto che la sua versione di Tartuffe diventa il testo ufficiale negli Stati Uniti e viene adattata in più riprese per il piccolo schermo, ottenendo il Bollingen Prize nel 1971.

La sua abilità consiste nel trasporre il contenuto, le parole e gli effetti sonori attenendosi al testo originale per quanto possibile ma senza sacrificare il buon senso e uno stile semplice, così da rendere accessibile un’opera complessa.

Da questo lavoro durato per oltre vent’anni e integrato nella sua poesia – le sue raccolte contengono riscritture di testi dall’italiano, dallo spagnolo, dal portoghese, dal latino e dall’ungherese – nasce anche la collaborazione con Leonard Bernstein per il suo musical Candide, ispirato all’omonima opera di Voltaire e messo in scena nel 1956 a cui contribuisce scrivendo due canzoni, “Glitter and Be Gay” e “Make our Garden Grow”.

Il suo orecchio musicale e l’amore per i giochi di parole lo portano anche a scrivere alcuni libri per bambini: Opposites (1973), More Opposites (1991), e The Disappearing Alphabet (1998) esplorano la plasticità e il potere del linguaggio. La semplicità e l’umorismo delle sue riflessioni poetiche si riscontrano anche in due opere di prosa, Responses: Prose Pieces del 1976 e The Catbird’s Song: Prose Pieces del 1997. Collocate ciascuna a metà della produzione giovanile e matura, queste raccolte rispondono ad alcune controversie nel mondo della poesia moderna e mettono a punto varie osservazioni maturate nel corso degli anni in relazione al proprio operato.

Osservando la varietà dei suoi interessi, Wilbur sembra dare il meglio di sé nelle forme più disdegnate dai suoi contemporanei: poesia in metrica, traduzione e comic verse (Gioia, Dana. Richard Wilbur: A Critical Journey of His Career).

 

5. Il titolo di Poet Laureate e la vecchiaia

Dopo aver lasciato la propria posizione accademica Wilbur insegna allo Smith College saltuariamente per altri dieci anni, mentre ricopre il ruolo di writer in residence. Ritiratosi dalla professione nel 1986, ottiene il secondo Pulitzer – un record che ancora oggi condivide con pochi altri autori – con New and Collected Poems nel 1988. Lo stile è sempre riconoscibilmente wilburiano, seppur con toni più amari e personali e un nuovo interesse per il sogno e lo stato ipnotico.

Ricopre in quell’anno anche il ruolo di Poet Laureate, il secondo poeta americano a ottenere questo titolo dopo Robert Penn Warren.

La sua carriera, un esercizio continuo che ricopre un periodo di oltre quarant’anni, ci ha consegnato undici raccolte di poesie, tra le quali A Bestiary (1955),  Advice to a Prophet and Other Poems (1961), The Mind Reader: New Poems (1976). Persino gli anni della vecchiaia sono trascorsi collaborando come esterno con la Amherst University, fino al 2009, e successivamente in viaggio tra il Massachussets e la Florida, in corrispondenza con una giovane generazione di autori con un rinnovato interesse per il formalismo.

Morirà nel 2017, ormai vedovo della moglie Charlee, ricordato da tutti gli amici come un uomo eternamente bambino.

 

6. Bibliografia e sitografia

Wilbur, Richard (2004). Collected Poems 1943-2004, New York: First Harvest Edition

Wilbur, Richard. Poetry’s Debt to Poetry, "The Hudson Review" 26.2 (1973) pp.273-294

Bawer, Bruce. Richard Wilbur’s Difficult Balance, "The American Scholar", 60.2 (1991) pp. 261-266

Dean, Leonard F. Richard Wilbur’s New Poems, "The Sewanee Review", 106.1 (1998) pp. 145-148

Dillon, David. The Image and the Object: Interview with Richard Wilbur, "The Southwest Review", 58.3 (1973) pp. 240-251

Hall, Donald. Richard Wilbur, "Poetry," 202.4 (July/August 2013) pp.354-356

Hecht, Anthony. Richard Wilbur, "The Sewanee Review", 109.4 (2001) pp.593-597

Southworth, James G. The Poetry of Richard Wilbur, College English, 22.1 (1960) pp. 24-29

 

Richard Wilbur: A Critical Survey of His Career, da danagioia.com (data di ultima consultazione 29/08/2021)

Richard Wilbur. The Art of Poetry No.22, da theparisreview.org (data di ultima consultazione 29/08/2021)

Richard Wilbur: Biography and General Commentary. da modernamericanpoetry.org (data di ultima consultazione 29/08/2021)

Richard Wilbur, da poetryarchive.com (data di ultima consultazione 29/08/2021)

Richard Wilbur  da poetryfoundation.org (data di ultima consultazione 29/08/2021)

 

Foto 1 da gazettenet.com (data di ultima consultazione 29/08/2021)

Foto 2 da pangea.news (data di ultima consultazione 29/08/2021)

Foto 3 da terreincognitemagazine.it (data di ultima consultazione 29/08/2021)

Foto 4 da amherst.edu (data di ultima consultazione 29/08/2021)

Foto 5 da newyorker.com (data di ultima consultazione 29/08/2021)

Foto 6 da theguardian.com (data di ultima consultazione 29/08/2021)