Mary Karr e l’arte del memoir

Pushpanjali Dallari

Mary Karr, scrittrice, poetessa e docente di letteratura inglese presso la Syracuse University, è nota al pubblico italiano soprattutto per la breve storia con il geniale David Foster Wallace, culminata in episodi di allarmante violenza e stalking ai suoi danni. Storia di cui è reticente a parlare - fatto singolare, dal momento che la sua vita privata ha sempre costituito il principale serbatoio della sua produzione letteraria, in cui spiccano i suoi tre memoir: The Liars’ Club (1995), Cherry: A Memoir (2001) e Lit: A Memoir (2009).

In particolare, il primo, pubblicato in Italia col titolo Il Club dei Bugiardi, ha rappresentato una pietra miliare nella storia della scrittura autobiografica e della memorialistica: non soltanto per il suo successo commerciale (cinquecentomila copie vendute a oggi), ma anche e soprattutto per aver (ri)definito i canoni del genere, assumendo un’importanza seminale e diventando un riferimento obbligato all’interno di questo genere letterario.


1. La vita
2. La scrittura
3. Il club dei bugiardi
4. Fonti

 

1. La vita

Mary Karr nasce il 16 Gennaio 1955 a Groves e cresce nella cittadina petrolifera di Leechfield. Siamo nel Texas Orientale, nell’America rurale del white trash: quella fetta di popolazione bianca, povera e sbandata che di recente è stata oggetto di un'altra autobiografia di successo, Hillbilly Elegy (2016), scritta da J. D. Vance.

La famiglia di Mary Karr non è poi tanto diversa da quella di Vance: la madre è una donna colta ed elegante, che veste Dior e Chanel, legge letteratura russa e cinese; ma è anche dipendente dall’alcool, scappa di casa per giorni e ha storie con uomini poco raccomandabili, a cui arriva anche a sparare; il padre è un ex soldato, lavora nell’industria petrolifera, anche lui ha problemi con l’alcool e colleziona risse nei bar locali. I due litigano, si lasciano e si riprendono.

A fare da sfondo a questa famiglia disfunzionale è un ambiente gretto e misero, in cui a soli sette anni Karr subisce violenza sessuale. Unica finestra di luce in questa spirale di grigiore e violenza è l’amore della giovane Mary per i libri, che la spingerà a frequentare il college e a conseguire un Master in Fine Arts.

 

2. La scrittura

La famiglia disfunzionale, la violenza sessuale, il potere salvifico dei libri: distinguere tra vita e scrittura nel caso di Mary Karr può essere un processo vischioso, tanto è stretto l’intreccio tra le due.

Karr ha molto in comune con la scrittrice danese Tove Ditlevsen: le due condividono l’estrazione operaia, l’infanzia problematica, la dipendenza da sostanze, il fatto di essere entrambe poetesse e, soprattutto, l’aver raccontato la propria vita in una trilogia.

Per Karr è determinante il processo di recupero della memoria, dal sapore proustiano, o ancora meglio bergsoniano: nel mare magnum di quello che le accade riemergono particolari episodi che si ammantano di significato e vengono cristallizzati nella scrittura. Come espresso dall’autrice stessa nel suo The Art of Memoir (2015):

 

La memoria funziona come un flipper, rimbalza disordinatamente tra immagini, idee, frammenti di scene, storie ascoltate. A un certo punto si inclina e scatta (Karr, 2015:18).

 

Il filo dei memoir di Karr non è strettamente cronologico, ma piuttosto imita il meccanismo naturale con cui i ricordi si riaffacciano nella mente umana. La narrazione aderisce, quindi, in genere a una linea temporale, ma non è priva di digressioni o flashforward, come quello che avviene nella terza parte di The Liars’ Club, in cui la narrazione si interrompe con una Mary Karr bambina e riprende con lei adulta.

Lo stile è crudo e al tempo stesso affilato. La narrazione, poi, non risparmia nessun dettaglio, non ricorre mai a facili sentimentalismi o pietismi. L’esito è un’opera che costituisce una tappa necessaria per chiunque, soprattutto in ambito anglosassone, intenda scrivere memoir (basti pensare al già citato J. D. Vance, oppure a Jenny Lawson e Tara Westover).

 

3. Il Club dei Bugiardi

Mary Karr inizia a scrivere Il Club dei Bugiardi due anni prima della pubblicazione. A spingerla non è l’urgenza di raccontarsi o di utilizzare l’arte come terapia ma, come ammesso nel corso di un’intervista rilasciata alla Paris Review, per necessità economiche.

Non si tratta nemmeno di una vendetta verso i suoi familiari: anzi, prima e durante la stesura del libro avverte e si consulta con la madre e la sorella. Se c’è una cosa che caratterizza l’opera è la sua trasparenza: fin dall’incipit ci viene chiarito che siamo davanti al racconto di una famiglia disfunzionale, ma senza alcuna attribuzione di patenti morali. La narrazione segue il filo della rievocazione dei ricordi. Il tempo (gli anni di età) e il luogo (i vari posti in cui la famiglia Karr si trasferisce) indirizzano lo svolgersi di queste memorie: non a caso il libro è diviso in tre parti, intitolate secondo l’anno e il luogo in cui si svolgono.

Come nel caso dei ricordi, tuttavia, molti fatti si ammantano di un nuovo significato dopo anni: in questo senso si spiega il flashforward nella terza parte dell’opera, contenente la spiegazione finale della causa primaria e traumatica della dipendenza dall’alcool della madre. Del resto, come scritto dalla giornalista Laura Pezzino su Vanity Fair, una delle chiavi interpretative con cui leggere Il Club dei Bugiardi è quella della storia di una figlia e di una madre.

 

4. Fonti

Karr, Mary. The Art of Memoir, 2015.

Fortini, Amanda. “Mary Karr, The Art of Memoir No. 1”, su theparisreview.org (data ultima consultazione 26/05/2025).

Pezzino, Laura. “Mary Karr, la regina americana del memoir” su Vanity Fair (data ultima consultazione 26/05/2025).


Foto

Foto 1 da Il Libraio (data di ultima consultazione 10/05/25).

Foto 2 da ibs (data di ultima consultazione 10/05/25).