Didion e Babitz: vite parallele ma non troppo

Pushpanjali Dallari

Sono pochi gli scrittori che hanno saputo descrivere e incarnare le caratteristiche e le contraddizioni della Los Angeles degli anni Sessanta e Settanta meglio di Joan Didion ed Eve Babitz.

Joan Didion nasce nel 1943, a Sacramento, in una delle tante famiglie discendenti dai pionieri che nell’Ottocento si sono avventurate in California in cerca di fortuna (e di oro), le cui storie si tramandano di generazione in generazione.

Proprio il mito dei pionieri e la loro tradizione orale sono alla radice della scrittura di Didion. In The White Album (1979), Didion matura l'idea per cui “ci raccontiamo storie per vivere” (Didion, 1979:10) e che a un certo punto è necessario esaminare le premesse di queste storie, perché la scrittura costituisce un'ossessiva revisione di quello che viviamo e diciamo a noi stessi.

Storie e disciplina diventano i pilastri su cui Didion costruisce la sua persona pubblica e privata. Studia ossessivamente i libri di Hemingway perché vuole imparare a scrivere come lui. Vince un concorso indetto da Vogue e in pochi anni diventa redattrice. Chiamata a sostituire un collega scrive uno dei personal essays più noti di sempre, On Self Respect (1961). Da qui l’ascesa è inarrestabile.

Slouching towards Bethlehem (1968) e The White Album (1979), raccolte di saggi e reportage in cui ritrae un’America sprofondata in una crisi valoriale culminata nella strage di Cielo Drive, la proiettano nel firmamento del New Journalism, la branca di giornalismo fiorita tra gli anni Sessanta e Settanta che rigetta la cronaca in favore di una commistione tra il romanzo e il reportage.

A contraddistinguere Didion sono lo stile essenziale e la centralità riservata all’io narrante. Si tratta, tuttavia, di un io che preferisce osservare prima di partecipare alle vicende che documenta. La scrittura è sì personale, ma al tempo stesso autorevole

L’io è al centro anche di L’anno del pensiero magico (2006) e di Blue Nights (2011), in cui solo in apparenza il tema principale è costituito dalla perdita del marito e della figlia, quando il vero fulcro di queste opere è il modo in cui Didion cerca di sopravvivere al dolore che prova

Alla sua morte, nel 2021, Joan Didion è celebrata come un’istituzione: una vera e propria un’icona.

La vita e la morte di Eve Babitz sono, se non opposte, molto diverse da quelle di Didion. Babitz nasce nel 1943 a Los Angeles, figlia di artisti e figlioccia di Stravinskij. Non vince concorsi ma conduce un’intensa vita mondana nella Los Angeles degli Anni Settanta. Tra una festa e l'altra scrive romanzi di stampo autobiografico come Eve’s Hollywood (1974) e Sex and Rage (1978), o articoli che rappresentano un ibrido tra la cronaca e il memoir, come quelli contenuti nella raccolta Slow Days, Fast Company. Questi lavori si assomigliano per stile e contenuto: anche qui l’io è centrale - reale o fittizio che sia - ma partecipa a quello che vive (e che si diverte a vivere). Raccontano la Los Angeles dell’epoca, facendo della città una vera e propria co-protagonista, senza alcun filtro morale. Lo stile è quello di un flusso di coscienza all’apparenza frivolo ma in realtà frutto di una raffinata cesellatura. Ne emerge una sorta di elegia losangelina.

Tuttavia, Babitz fatica a ottenere una considerazione intellettuale: è ritenuta dai più una bohémienne belloccia e senza talento. Eppure quel talento c’è e ad accorgersene è Joan Didion, che la aiuta a farsi pubblicare su Rolling Stones. Il successo, comunque, è temporaneo e non travolgente. Ancora una volta Babitz non viene capita: gli anni passano e diventa una nota a piè di pagina della Los Angeles degli anni Settanta.

Viene riscoperta nel 2010 grazie alla ripubblicazione delle sue opere, ma raggiunge la popolarità (e diventa pop) dal 2019 in avanti: Lili Anolik le dedica la biografia Hollywood’s Eve (2019); viene citata da firme note come Jia Tolentino e nelle serie tv; su Instagram le celebrità si immortalano intente a leggere i suoi libri in spiaggia.

Come ha rilevato la giornalista Lili Anolik, Didion ha modellato se stessa su un intellettuale affermato, mentre Babitz su Marilyn Monroe (attrice che a sua volta, non è mai riuscita ad affrancarsi dallo stereotipo della bambolina svampita).

Tuttavia, come ci ricorda Didion, possiamo sempre riesaminare le premesse delle storie che ci raccontiamo e consegnare a Babitz la considerazione che merita.

 

Font

Didion, Joan. The White Album, 1979

Pandora Sykes, Joan Didion Eve Babitz + the writerly personality, 2024, su pandorasykes.substack.com (data di ultima consultazione: 19/02/25)

 

Foto

Foto 1 da mediascitoyens-diois.info (data di ultima consultazione: 24/07/2025)

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