Magda Indiveri – Il naso di Pinocchio e il Manganelli parallelo

 

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1.     C’era una volta un naso

 

La menzogna attiene sempre al margine, al provvisorio, all’ambiguo, al parallelo. E’ legata all’infanzia, all’adolescenza, tanto che, di un adulto che mente, spesso si condanna il suo infantilismo. E’ il margine tra vita e morte, come scrive Giorgio Manganelli nel suo saggio  Pinocchio un libro parallelo, analizzando il capolavoro di Collodi. Il naso che si allunga di Pinocchio ha una sua morfologia vitale, cresce e ricresce, lo riducono gli uccellini, è vivo e vegeto, è il margine tra vita e morte. La menzogna sta sul crinale e trattiene in vita, invece che far cadere nell’abisso della morte. E’ il nostro “sembra che dorma” davanti ai cadaveri. E’ la capriola. Il naso di Pinocchio ne è l’emblema.

 «Ti mando questa bambinata» scrisse nel 1881 Carlo Lorenzini a Guido Biagi, animatore de «Il giornale per i bambini». Quella “bambinata” fu pubblicata a puntate nel corso di due anni, nella prima tranche col titolo Storia di un burattino, nella seconda con quello di Le avventure di Pinocchio.[1]

Il primo mentitore è lo stesso Carlo Lorenzini, quando si nasconde dietro allo pseudonimo di Collodi, e mentitore è il suo protagonista burattino; le occasioni di mentire sono tante, ma  la raffica di bugie più nutrita Pinocchio la spara alle domande della fatina che lo ha salvato dopo l’impiccagione. E il naso si allunga.

 A fine capitolo 17  la fatina sentenzia di fronte al naso cresciuto:

 

Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito, perché ve ne sono di due specie: vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l’appunto è di quelle che hanno il naso lungo.

 

E a inizio del nuovo capitolo, il 18:

 

Come potete immaginarvelo, la Fata lasciò che il burattino piangesse e urlasse una buona mezz’ora, a motivo di quel suo naso che non passava più dalla porta di camera: e lo fece per dargli una severa lezione perché si correggesse dal brutto vizio di dire bugie, il più brutto vizio che possa avere un ragazzo. Ma quando lo vide trasfigurato e cogli occhi fuori della testa dalla gran disperazione, allora, mossa a pietà, batté le mani insieme, e a quel segnale entrarono in camera dalla finestra un migliaio di grossi uccelli chiamati Picchi, i quali, posatisi tutti sul naso di Pinocchio, cominciarono a beccarglielo tanto e poi tanto, che in pochi minuti quel naso enorme e spropositato si trovò ridotto alla sua grandezza naturale.

 

E’ il momento di convocare un altro maestro dell’invenzione, Gianni Rodari, il quale non perse l’occasione di fare una riscrittura in versi di Pinocchio.  La sua Filastrocca di Pinocchio[2] uscirà a puntate tra 1954 e 1955 sul giornale per bambini «Il Pioniere», poi pubblicata in libro.

Ecco il punto della vicenda sopra ricordato:

 

[ …]

Degli scudi che non vede
la Fatina poi gli chiede.
“Ah, gli scudi… li ho perduti!
Col citrato li ho bevuti!”
Ma all’inutile bugia
tosto il naso fa la spia…
Nasi lunghi ce n’è tanti:
questo batte tutti quanti.

Qui continua, aprite l’occhio,
l’avventura di Pinocchio:
piange e strilla il burattino
che rivuole il suo nasino.
Chiama allor la buona Fata
mille picchi all’adunata:
“Si rosicchi, ad un mio segno,
la proboscide di legno”.
Torna il naso eccezionale
a grandezza naturale:
per la gioia il suo padrone
alla Fata dà un bacione.

 

In un’altra poesia breve, intitolata appunto Il naso di Pinocchio[3], Rodari è ancora più esplicito:

 

Il naso di Pinocchio         

era un bel naso-spia:

cresceva a vista d’occhio

se udiva una bugia.

Che naso sorprendente:

un naso che ci sente!

 

Rodari ha ben capito che la carta che Collodi ha giocato è quella della metafora iperbolica; avrete notato il migliaio di picchi che vanno a rosicchiare il naso-ramo; e il nostro Gianni allegramente mette in scena un naso-orecchio.

Lo scrittore contemporaneo Tiziano Scarpa, (a mio parere uno degli eredi del modello Collodi /Rodari, se penso al suo ultimo romanzo per Einaudi La penultima magia), nell’introduzione all’edizione illustrata da Lorenzo Mattotti,[4] aveva rilevato quali profondità visionarie avesse colto Collodi dentro le metafore e i modi di dire della lingua italiana. Modi di dire come “Testa di legno”, “sono fritto”, “morire dal ridere” e appunto “restare con un palmo di naso”, diventano storie.

Per amore di verità ricorderò che nel cap. 29, reduce dal naufragio, Pinocchio mente al vecchio Eugenio che lo accudisce: il naso di nuovo si allunga e, quando Pinocchio ritratta, si riduce da solo.

In pratica il naso di Pinocchio, che già mentre Geppetto lo intagliava non stava fermo, è un naso mobile e delatore, che fa esattamente quel che, secondo Giorgio Manganelli, (primo capitolo di Pinocchio: un libro parallelo) fa la pagina:

 

E’ inganno tipografico, che una pagina abbia lo spessore esiguo su cui, su entrambi i lati, si stampa. Direi che la pagina comincia da quella esigua superficie in bianco e nero, ma si dilunga e si dilata e sprofonda, e anche emerge e fa bitorzoli, e cola fuori dai margini.[5] (corsivi nostri)

 

E Manganelli aggiunge, dovremo rammentarlo: “Il lettore, e soprattutto il RIlettore, non ignora che una pagina, una riga, una parola, è un gran suono dentro di lui.” In pratica, è come avere un “naso che ci sente”

Rendiamo ora onore al recentissimo commento “al cubo” di Pinocchio da parte del filosofo Giorgio Agamben. Si tratta di un commento che, avendo il “Manga” come méntore, apre molte porte, partendo dalla nozione manganelliana di un Pinocchio trickster, picaro, «infantile psicopompo»,[6]  sempre in movimento, perché essenzialmente personaggio in transito. La  vita è, nel senso più stretto della parola, una via di uscita o di fuga, tanto dall’umano quanto dall’inumano  – per questo non fa che correre, e quando alla fine si ferma è perduto. Ma vediamo cosa ha da dire Agamben sul fantomatico naso:

 

Il naso è l’espressione dell’incorreggibile, picaresca insolenza di Pinocchio. […] in quel naso che non finisce mai è, piuttosto, qualcosa come una costitutiva indefinizione della natura del burattino, che, come quella degli abitanti del Regno segreto, è “pendula” e in continua rivoluzione. La menzogna è qui per cosí dire fisiologica, legata al carattere indeterminabile, alla vaghezza di un’esistenza che per questo non può che essere indefettibilmente mancata. Il naso senza fine di Pinocchio, che non passa piú dalla porta della camera e che rischia di conficcarsi negli occhi della fata, è la sua verità, che smentisce la falsa antinomia con la quale la fata vorrebbe definirlo. […] La verità non è un assioma fissato una volta per tutte: cresce e diminuisce “a occhiate” insieme alla vita, al punto di diventare sempre più ingombrante e difficile per chi vi aderisce senza riserve – come il naso di Pinocchio, appunto.[7]

 

Un naso stemma dell’incompiuto, quintessenza del personaggio Pinocchio e dunque del regno del possibile e della variabile verità, un margine, come dicevo all’inizio, tra verità e invenzione, stasi e mutamento, vita e morte.

Filippo Milani,  sul numero 10 (2017) della rivista «Arabeschi», tutta dedicata al burattino,  giustamente notava:

 

Nella figura di Pinocchio è insita una profonda ambiguità che la rende metamorfica e sfuggente alle classificazioni. Pinocchio è e non è allo stesso tempo: la sua è la storia della trasformazione di un pezzo di legno in bambino, ma è anche qualcos’altro di inspiegabile, una oscura e perturbante eccedenza di senso.[8]

Ci serve questa definizione, perché nell’eccedenza di senso riscontriamo certamente l’iperbole, l’esagerazione, ma anche tutto quel che è resto, l’indicibile che è presente nella sua assenza. 

Ecco allora che posso tornare alle  briciole lasciate lungo il percorso. Ripensiamo alla lezioncina della fatina: certe menzogne sono nasi lunghi, altre sono gambe corte. Siamo dunque di fronte alla prima delle due varianti. Il naso che cresce è stemma e simbolo dell’aggiungere, dell’inventare, dell’esagerare: che è una delle due categorie in cui si può declinare il mentire, anche nella sua forma letteraria.   

A ben vedere, insomma, le bugie di Pinocchio non sono dette per ingannare, come fanno invece il Gatto e la Volpe: sono pure invenzioni, potenzialità del reale; microromanzi. 

 

2.      Letteratura e menzogna

 

La letteratura  potrebbe  definirsi in questo senso – Manganelli ne è ben convinto - come un lungo apprendimento della menzogna. Lungo e precoce, perché, benché Collodi dica che è il peggior vizio che un bambino possa avere, prestissimo mettiamo in contatto i bambini – e lasciatemi dire per fortuna – con le storie inventate, e con i giochi di parole. Le storie fantastiche, il “facciamo finta che”, e poi la letteratura per l’infanzia, che annovera testi eccezionali e ha raggiunto in questi anni grandi vertici, anche grazie ad editori illuminati, sono per i bambini il nutrimento e lo sguardo che il mito fu per i popoli antichi. Un narrare/creare il mondo sconosciuto  per accettarlo, per accoglierlo, per modificarlo.

Vladimir Nabokov, grande scrittore e docente, nelle sue bellissime Lezioni di letteratura  (ricorderò sempre Ezio Raimondi che estraeva dalla cartella  il volume e ce ne leggeva dei brani, nelle proprie lezioni sull’inaffidabile Zeno)  diceva ai suoi studenti che

 

La letteratura  non è nata il giorno in cui un ragazzo, gridando al lupo al lupo, uscì di corsa dalla valle di Neanderthal con un grosso lupo grigio alle calcagna; è nata il giorno in cui un ragazzo  arrivò gridando al lupo al lupo, e non c’erano lupi dietro di lui.[9]

 
 

Non sappiamo se fosse una menzogna volontaria o se un rumore ignoto avesse prodotto l’iperbole. Poco importa. Il fatto è che questa citazione è riportata con grande soddisfazione da Manganelli stesso nel suo articolo Che nobile corruttore è il nostro Nabokov.[10]  Lo scrittore Giuseppe Lupo, recensendo sull’inserto domenicale de «Il Sole 24 ore» le più recenti uscite adelphiane, rilevava che per lo scrittore

 

la letteratura è resoconto apocrifo del vero, cerimoniosa invenzione del falso, con cui stabilire un patto di autorevole credibilità. Non c’è alcun lupo che rincorre il ragazzo, ma tutti partecipano al gioco della bugia. Questa è la lezione neobarocca di Manganelli[11]

 

L’arte dello scrivere è vedere il mondo come potenzialità narrativa. Ma mentire non è solo inventare. Nella prefazione al manuale barocco di Tommaso Accetto, Della dissimulazione onesta,  Manganelli dichiara il suo interesse per il testo perché lo trova «supremamente ambiguo, di esigua luce e folto dell’amara sapienza dell’ombra».[12]  Per complicare le cose, la menzogna letteraria si rivela non solo come  spessore, ma anche come  non detto, luce/ombra. Diventa lacuna da colmare

Non si può non citare Nicola Gardini dal suo saggio Lacuna:

 

Occorre che diventiamo anche noi invisibili per riconoscere l’invisibile. Non c’è omissione testuale che non rimandi a una pienezza extratestuale, e questa sta al testo come l’ombra al corpo.[13]

 

Sembra fargli da controcanto Manganelli:

 

Le parole racchiudono una presenza notturna, e questa verità verbale ne è il contrassegno, il sibilo rettilineo della letteratura. Da ciò deriva che la critica non spiega, non chiarifica. […] Quale compito meraviglioso leggere l’errore,  il nero, la notte, in un romanzo fintamente esatto e mentitamente chiaro come i Promessi Sposi.[14] (corsivi nostri)

 

Dunque, troppità[15] o lacuna; iperbole o reticenza. Naso lungo, gambe corte. Queste sono le caratteristiche della menzogna, reale o letteraria che sia..  

Come cogliere la complessità insita nella natura letteraria? E’ Manganelli stesso a indicarci la strada:  nel volume nabokoviano delle Lezioni posseduto dal Manga e ora conservato (come tutta la sua biblioteca)  al Centro  manoscritti di Pavia,[16] è sottolineata la frase: «Non è possibile leggere un libro, si può soltanto rileggerlo.»

 

 3.A scuola di parallelismo

 

Ecco allora che praticare il “parallelismo” a scuola, secondo il dettato manganelliano, ovvero RI- scrivere e RI-leggere,  è un possibile modo per accogliere la complessità della letteratura. Non solo spiegare: lasciare invece le pieghe, accorgersi della rugosità del testo, che non è mai una lamina sottile. Evitare le etichette definitive, del tipo pessimismo storico appiccicato a Leopardi.   Il suffisso RI, lungi dall’esprimere la stanca ripetitività, assume una fondamentale importanza – non è tanto leggere due volte, ma leggere in profondità, e affiancarsi al testo scrivendone commenti e recensioni che siano mimetici nello stile e lo dilatino nei riferimenti esterni, raddoppiandolo, in una sorta di complicità  con l’autore e di «alleanza discorde.»[17]
 

Manganelli ha parole aspre nei confronti dell’accademia e del modo in cui si approccia a un testo, si legge un libro in università e a scuola: Si indigna: «’Pensare, capire, sentire’ Ma davvero? E non ‘fantasticare, non capire?’».[18] Disprezza il leggere come compito preciso, regolato da convenzioni e «ubbidienze vincolanti»; crede nella «lettura passionale».[19] Lo scrittore ci offre proprio in Pinocchio un libro parallelo un esempio magistrale di come si dovrebbe fare critica letteraria: dialogare con le suggestioni che il testo stesso contiene – facendolo continuamente uscire da sé e portandolo sempre verso di noi. E’ un dialogo di parole altrui »nel bozzolo delle proprie»[20] in cui il commentatore «non parlerà delle parole che si leggono, ma di tutte quelle che vi si nascondono».[21]

Pinocchio è una porta, abbiamo sentito, perché si aprano altre porte:

 

Quando penso a tutta la letteratura nel suo insieme mi vedo in una situazione in cui continuamente entro e esco da uno scrittore ad un altro, da un libro a un altro, attraverso anditi, porticine, passaggi…[22]

 

E questa prospettiva mi pare altamente educativa ed esaltante nel programma di Letteratura Italiana di una scuola superiore.

Possiamo adottare dunque il metodo Manganelli a scuola? Abbiamo intanto notizie di Manganelli insegnante dalle ricerche di Graziella Pulce:  

 

C’è da ricordare che nell’ottobre 1947, viveva ancora a Milano, Manganelli prese a insegnare in un Istituto per l’avviamento. Una volta trasferito a Roma, fu professore, tra l’altro, presso il liceo Giulio Cesare e all’Istituto Magistrale Margherita di Savoia. Quindi passò alla Facoltà di Magistero, assistente di Gabriele Baldini, docente di letteratura inglese. Nel 1972 abbandonava l’incarico, come racconterà qualche anno dopo nell’articolo Questa università di scandali e bugie («La Stampa», 22 agosto 1979).

Per inquadrare il problema del rapporto di Manganelli con le istituzioni scolastiche, sarà utile tenere presente che uno dei suoi maestri all’Università di Pavia, quello per lui più significativo, con il quale rimase in contatto anche dopo il termine degli studi e a cui sottopose la lettura di alcune sue poesie, era stato Vittorio Beonio-Brocchieri, che era insieme professore di Storia delle dottrine politiche dal temperamento “leonardesco”, aviatore, incisore, viaggiatore, giornalista e narratore. In lui Manganelli aveva trovato un esempio di insegnante del tutto anticonformista, che spronava sistematicamente gli allievi a una visione personale e attiva nei confronti del testo.[23]

 

Corroborati da due ultime affermazioni:  «… insegnavo cose false in una scuola della provincia»[24]  e  «Tutto ciò che si affida alle parole abita oltre lo specchio»,[25]  se vogliamo lavorare CON Manganelli a scuola, non resta che abbozzare una modestissima proposta di parallelismo portatile, che comprenderà alcuni punti essenziali:

 

RI-letture:

presentare ai ragazzi e discutere il brano da Pinocchio: un libro parallelo

Link 1  “Non è impossibile che il candido e, fin qui, cortese lettore…”

RI leggere alcuni testi di M. giocati sul paradosso:

Link 2 “La lunga fatica della scuola”

Link 3 “Città estive”

Link 4 Recensione a Bucoliche

RI leggere alcuni testi di Centuria  a contronto con Calvino ( Se una notte d’inverno un viaggiatore)  o  Borges (Finzioni)

Link 5 Centuria 39

Link 6 Centuria 52

Link 7 Centuria 87

RI leggere qualche resoconto di viaggio di M.  a confronto con alcune Città invisibili di Calvino

Link 8 Il Nobel (Stoccolma)

 

RI scritture:

Esercitare ogni tipo di riscrittura: 

-recensione allargata,

-parodia,

-riscrittura “alla maniera di",

-rodariana insalata di testi.

Programmare un commento approfondito assegnato dal docente tra i testi in programma, oppure scelto dallo studente e concordato con l’insegnante,  da elaborare con lentezza, a tappe, in vista di una scadenza predefinita, sul modello del Pinocchio parallelo, in cui si intercettino altri testi e nella reazione tra loro si costruisca il nuovo prodotto. Questa presa in carico di un testo, questo “lavoro di cura”, potrebbe diventare quell’opera personale, quasi “prova d’artista”, che “rimane” a segnare il percorso scolastico e  a rappresentare lo studente, le sue passioni, il suo impegno. Insomma, l’occasione per un finale di anno o di corso degno  di Pinocchio, di modo che

 

«il nuovo Pinocchio può prepararsi a un nuovo itinerario, ad una nuova notte di transito.»[26]

 

 

27 giugno 2022

 


[1] Sulla piattaforma Philoeditor sono disponibili l’Edizione del 1881-1883 («Il Giornale per i bambini») e l’ edizione critica di Castellani Pollidori 1983, e il confronto tra le due edizioni con le varianti: http://projects.dharc.unibo.it/philoeditor/

[2] G. Rodari,  La filastrocca di Pinocchio,  Roma, Editori Riuniti, 1994.

[3] G. Rodari, Il naso di Pinocchio in Filastrocche corte e lunghe, Torino, Einaudi,  2010.

[4] T. Scarpa, La fantasia della bambina morta. Introduzione a Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, Torino, Einaudi,  2008.

[5] G.  Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Torino, Einaudi, 1977 (ora: Milano, Adelphi, 2002), Cap 1

[6] G.  Manganelli, Matematica fiabesca in La favola pitagorica. Milano Adelphi, 2005

[7] G. Agamben, Pinocchio, Torino, Einaudi, 2021

[8]F.  Milani, 2.3 Il Pinocchio parallelo,  in «Arabeschi» n 10, luglio-dicembre 2017.

http://www.arabeschi.it//uploads/pdf/galleria_n10_small.pdf

[9] v. Nabokov, Lezioni di letteratura, Milano, Adelphi, 2018

[10] G. Manganelli, Che nobile corruttore è il nostro Nabokov, in Altre concupiscenze, Milano, Adelphi, 2022

[11] G. Lupo, Manganelli da terza pagina, inserto domenicale de «Il Sole 24 ore», 23/01/2022.

[12] T. Accetto, Della dissimulazione onesta, prefazione di G. Manganelli, Genova, Costa &Nolan, 1996

[13] N. Gardini, Lacuna. Saggio sul non detto, Torino, Einaudi, 2014

[14] G.  Manganelli, Ma Kafka non esiste, ne Il rumore  sottile della prosa, Milano, Adelphi, 1994

[15]G.  Manganelli,  Per amor di troppità, ne Il  rumore sottile della prosa, cit.

[16]  Si veda il sito  del centro Manoscritti: http://centromanoscritti.unipv.it/collezioni/archivi-letterari-2/38-fondo-giorgio-manganelli.html

[17]G.  Manganelli, Più ti conosco e più mi meravigli, ne Il rumore sottile della prosa, cit

[18]G.  Manganelli, Autori e trattori ne Il rumore sottile della prosa, cit

[19] G.  Manganelli, Così il critico è perfetto ne Il rumore sottile della prosa, cit

[20] G.  Manganelli, Ma Kafka non esiste, ne Il rumore sottile della prosa, cit

[21] G.  Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, cit.

[22] G.  Manganelli, Un’altra biblioteca, in Concupiscenza libraria, Milano, Adelphi 2020

[23] G. Pulce,  Giorgio Manganelli: l’insegnamento come  problema  -https://alepalma67dotcom.files.wordpress.com/2016/07/255-260_pulce.pdf

[24] G.  Manganelli, Piacenza non è Singapore, in La favola pitagorica, cit.

[25] G. Manganelli, Lo stile della notte, in Concupiscenza libraria, cit.

[26] G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, cit. (il passo è tratto dalla pagina conclusiva del libro).