Perdere qualcuno in ambito scolastico (e ovunque) non è mai indice di qualità

In risposta alla lettera apparsa su OrizzonteScuola.it

Pubblicato il 26 giugno 2018

Care e Cari Insegnanti,

scriviamo questo breve documento perché ciò che ci preme è la corretta e scientifica informazione su alcuni temi che sono oggetto non solo di pubblico dibattito, ma anche di studio e di ricerca.

La lettera apparsa su OrizzonteScuola.it dal titolo L’eccessiva inclusione non porta alla qualità dell’istruzione è, sin dal titolo, la rappresentazione di una visione dell’istruzione privata del suo reale senso pedagogico. Questo è l’ambito entro cui si gioca la qualità dell’istruzione e si costruiscono le basi per lo sviluppo di una società civile, dialogante e democratica, attenta alle persone. È questa la missione della scuola: educare tutti e contribuire ad alimentare il progetto di un futuro possibile adeguato a ogni alunno ed alunna. Per farlo è necessario porsi in ascolto delle diversità, qualsiasi esse siano.

La nostra professione di ricercatori ci porta a confrontarci sempre con il mondo della scuola e le sue reali difficoltà e fra queste vi è sicuramente la gestione della diversità, processo educativo e didattico che richiede pratiche didattiche competenti, innovative, creative, coscienti e, non a caso, inclusive. Abbiamo incontrato molti insegnanti che vivono queste pratiche, nella consapevolezza che il solo confronto con alunni interessati e volenterosi non garantisce, inevitabilmente, la qualità dell’istruzione.  A conferma del loro pensiero ritroviamo anche i dati delle recenti indagini internazionali IEA e OCSE che mettono in evidenza come le classi più eterogenee (non solo “bravi”, non solo classi-ghetto) siano quelle che funzionano meglio in termini di risultati di apprendimento (si veda ad esempio : https://www.wired.it/play/cultura/2017/09/06/le-classi-ghetto-fanno-male-tutti-anche-agli-studenti-piu-bravi/)

Vorremmo ora porre l’attenzione sul binomio inclusione-qualità. Quest’ultima può avere molte interpretazioni ed è necessario definirla.

L’istruzione è un diritto per tutti e di tutti ed è irrazionale rincorrere l’idea che l’eccesso di diffusione di un diritto di alcuni possa danneggiare altri; se così fosse non sarebbe in discussione un diritto quanto piuttosto la nascita di un privilegio, ovvero di un’ingiustizia: dovremmo dichiarare che l’eccessiva inclusione conduce a promuovere ingiustizia.

È, invece, ingiusto – oltre che pedagogicamente insostenibile – pensare che in nome della qualità dell’istruzione si possano selezionare gli alunni, soprattutto quando un’ampia letteratura ha ben evidenziato la relazione fra successo scolastico e appartenenza socio-culturale. Separare le persone sulla base delle loro diversità è estremamente ingiusto. Soprattutto quando si ignori che un’azione didattica innovativa e competente, che sa differenziarsi in risposta ai bisogni formativi di ciascun allievo, ha la capacità di portare gli studenti e le studentesse a raggiungere buoni livelli di competenza (e la nostra società ha bisogno delle competenze di tutti).

Quando si ritiene che la conseguenza di un’ampia diffusione del diritto all’imparare impedisca ad altri di imparare di più e/o meglio, si avvia un pensiero selettivo: un’inclusione non eccessiva - quindi solo per alcuni - non è, per definizione, inclusione, ma è selezione, distinzione, separazione perché distingue gli alunni e nega la forza dell’eterogeneità, della diversità come valore e risorsa per l’istruzione, indebolendone, così, la sua qualità. L’istruzione di alcuni - motivati e volonterosi - scelti eliminando altri, non è mai di qualità perché, appunto, ha eliminato altri, li ha persi. Perdere qualcuno in ambito scolastico non è mai indice di qualità.

Noi intendiamo dissociarci dalle posizioni emerse nell’articolo di Bocola e da qualsiasi altra riposta semplice, sicuramente efficace dal punto di vista comunicativo e che può legittimamente intercettare un malessere reale tra gli insegnanti. Vi è una sfida che va affrontata oggi, tutti insieme, studiosi di qualsiasi tipo, dentro e fuori dalla scuola, per trovare piste nuove a problemi nuovi. Ritornare alle logiche del passato può essere rassicurante ma non praticabile perché le soluzioni sono sempre in relazione al problema così come si presenta oggi, nella sua complessità che vorremmo tanto poter controllare e ridurre ma che dobbiamo invece vivere apprendendo dal nostro lavoro.

26 giugno 2018

Centro di Ricerca Educativa sulla Professionalità dell'Insegnante (CRESPI)