Il CRESPI per una valutazione educativa
Pubblicato il 07 giugno 2021
1. L’emergenza determinata dalla pandemia scatenata dal Covid-19 ha messo in evidenza alcune debolezze profonde, di carattere strutturale, del nostro sistema di istruzione. La pandemia ha colpito tutti i paesi, ma ha avuto effetti parzialmente diversi in ciascuno di essi.
Secondo i dati disponibili, per la prima volta nella storia più di un miliardo e mezzo di bambine e bambini, di ragazze e ragazzi in tutto il mondo stanno esperendo l’interruzione forzata della propria vita scolastica. In Italia questa interruzione ha riguardato milioni tra bambine e bambini e tra ragazze e ragazzi dagli asili nido alle scuole secondarie.
Ma se la pandemia ha colpito ovunque, non ha colpito tutte e tutti allo stesso modo. Ancora una volta sono stati i soggetti più deboli a subirne in modo più grave le conseguenze. Come prima della attuale situazione di emergenza e ancora più di prima, le differenze derivano da quell’insieme di fattori che vanno sotto il nome di ‘povertà educativa’: dalle condizioni socio-economiche ai contesti economici e abitativi; dalla diversità di risorse e di servizi presenti a livello territoriale alle diversità nella fruizione di opportunità culturali ed educative extra-scolastiche.
A questi fattori si è aggiunto il peso delle diverse possibilità di accesso alla rete e nella diversa disponibilità di dispositivi digitali, tanto più rilevanti in un momento in cui il solo modo di mantenere un contatto con la realtà dell’esperienza scolastica è stato quello delle diverse forme di didattica a distanza. Secondo l’Istat [1] migliaia di famiglie non hanno dispositivi per seguire iniziative di didattica a distanza. In questo contesto, la distanza fisica ha ampliato quella sociale e culturale.
Inoltre, le iniziative messe in atto dalle scuole per cercare di fronteggiare questa situazione di emergenza sono state di segno molto diverso. La didattica a distanza è di fatto un ombrello sotto il quale sono collocabili realtà molto eterogenee per qualità ed efficacia. Su questo hanno pesato non soltanto i limiti di tipo tecnologico sopra ricordati, ma anche le differenze esistenti tra le scuole in termini di competenze e anche di disponibilità del corpo docente.
2. Per affrontare questa situazione, nei mesi che verranno non basta ipotizzare un ‘ritorno alla normalità’, per altro difficilmente configurabile nei tempi e nei modi. È necessario ripensare non solo la didattica, ma anche i modelli organizzativi, gli spazi e i tempi del fare scuola. Una percentuale considerevole (il 46%) di studentesse e studenti frequenta scuole prive di certificati di agibilità [2]. È necessario dare l’avvio ad un discorso ampio, che parta dalla constatazione degli elementi di forte iniquità delle opportunità formative del nostro sistema scolastico nazionale e che proceda con determinazione verso un progetto di cambiamento in senso democratico e di contrasto alla povertà educativa.
Le ragioni dell’iniquità dei risultati che produce da decenni il sistema scolastico italiano vanno ricercate in fattori che sono strutturali e che implicano un radicale ripensamento di dimensioni culturali e organizzative dell’istituzione scolastica e un ingente investimento economico per il rinnovamento dell’istruzione pubblica italiana. L’apprendimento e il sapere, e con essi l’istruzione, sono elementi chiave dello sviluppo democratico del Paese, e alla scuola è assegnata una funzione fondamentale dalla nostra carta costituzionale, ma essa da sola non può affrontare e risolvere i problemi legati alle disuguaglianze sociali ed economiche.
Per questo è necessario analizzare a fondo l’esperienza di questi mesi, allo scopo di trarre idee per la ripresa e gli sviluppi futuri. Uno dei temi oggi maggiormente dibattuti ed elemento chiave per il rinnovamento in senso democratico della scuola è quello della valutazione.
Come Crespi, riteniamo fondamentale legare assieme valutazione e ricerca valutativa: valutare per capire, valutare per decidere quali scelte operare, valutare per individualizzare (a bisogni diversi occorre rispondere variando le strategie didattiche e non gli obiettivi da raggiungere). Nella discussione e nelle proposte che si stanno susseguendo in questi mesi di incertezza, colpisce come quello della valutazione sia uno dei terreni in cui si riscontrano e si scontrano idee e proposte non solo molto diverse tra loro, ma che – soprattutto – rivelano un’idea della valutazione identificata con l’espressione di un giudizio sul livello di ‘prestazione’ degli studenti (comunque si intenda questa prestazione) e spesso molto debole dal punto di vista teorico e metodologico, anche con il ricorso a distinzioni che andrebbero ridiscusse (ad esempio tra valutazione formativa e valutazione sommativa). Si tratta di una debolezza in parte determinata dalle incertezze e dalle incongruenze della attuale normativa (stretta tra espressione del rendimento scolastico degli studenti in voti decimali e ‘certificazione’ delle competenze), ma che trova anche origine in una carenza storica del nostro sistema di istruzione.
La stessa scelta di affidare al voto numerico il compito di assicurare trasparenza e chiarezza nella valutazione rivela una profonda confusione sugli elementi che conferiscono affidabilità e validità ai processi valutativi. D’altro canto, se è necessario sostituire al voto un giudizio, è anche evidente che tale sostituzione non è di per sé sufficiente a migliorare la valutazione. Infatti, è sensato sostituire il voto con un giudizio se il giudizio comporta una formulazione autenticamente informativa, analitica, affidabile e descrittiva del livello raggiunto in ciascuna delle dimensioni che caratterizzano le competenze. Altrimenti, la sostituzione si traduce in un travaso del vecchio vino in nuovi otri, con la mera traduzione di numeri in parole e con differenze marcate dall’impiego di avverbi modali e aggettivi qualificativi che non descrivono, non informano e, esattamente come i numeri, si limitano a classificare studentesse e studenti, senza fornire indicazioni per migliorare apprendimento e insegnamento. Appare dunque necessario ripensare la valutazione nei termini di strategia educativa.
3. I processi valutativi riguardano non solo gli apprendimenti di studentesse e studenti (come sembrerebbe prevalere nella preoccupazione della scuola negli ultimi tempi, e non solo di quella in emergenza), ma la natura stessa dell’organizzazione scolastica, del curricolo, della didattica. La valutazione ha una dimensione collegiale che non può ridursi alle discussioni in sede di scrutinio. Ripensare alla valutazione degli apprendimenti senza riconsiderare la valutazione della didattica, dell’organizzazione e l’idea stessa di scuola è operazione cieca.
Non si tratta quindi di ripensare la valutazione confidando che l’imposizione di nuove procedure valutative determini – attraverso decretazioni ministeriali – un ripensamento della didattica. La valutazione, come processo regolativo, non giunge alla fine di un percorso, ma ha valore se accompagna e regola, appunto, il processo didattico. Diversamente si continuerebbe a usare la valutazione con mera funzione di controllo e di accertamento finale e conclusivo della didattica e dei curricoli.
La valutazione è finalizzata a dare forma alla didattica per mezzo di giudizi basati su rilevazioni, osservazioni e analisi di processi e prodotti. Si tratta di uno strumento di regolazione dell’insegnamento e dell’apprendimento incentrato sul feedback formativo. Tuttavia, non tutti i riscontri valutativi incidono positivamente sugli apprendimenti, ma solo quelli che evidenziano alcune caratteristiche.
Un buon feedback è rigoroso, specifico, criteriale, chiaro e proiettato verso attività future. Il luogo comune che vede nella valutazione formativa un giudizio indulgente sul livello degli apprendimenti è uno dei più nocivi tra quelli che circolano nelle scuole: non è abbassando il livello degli obiettivi che promuoviamo lo sviluppo di competenze. Al contrario, essendo finalizzata all’orientamento dell’apprendimento, la valutazione formativa è basata su un controllo quanto più possibile analitico e affidabile delle conoscenze apprese e delle abilità sviluppate.
Inoltre, i riscontri efficaci sono quelli di tipo criteriale, relativi cioè a una scala di padronanza definita in termini osservabili, mentre troppo spesso nelle scuole sono operate delle indebite valutazioni “comparative” tra studentesse e studenti, come se lo sviluppo delle competenze e delle identità delle persone fosse documentabile solo attraverso una sorta di graduatoria.
Infine, un feedback efficace è un feedback tempestivo. È per questo che la valutazione deve accompagnare tutto il processo didattico. D’altro canto, non tutte le valutazioni in itinere possono essere considerate formative. Formative sono solo quelle valutazioni finalizzate a orientare il successivo percorso di apprendimento e di insegnamento, e che si basano su riscontri rigorosi, criteriali e tempestivi.
La valutazione è, quindi, parte integrante delle strategie didattiche. Questo significa che non va considerata né da chi insegna né da chi apprende un fine, bensì un mezzo di insegnamento e di apprendimento.
La valutazione è un mezzo di insegnamento perché è sulla base di essa che chi insegna verifica l’efficacia della propria azione didattica, evitando di cadere in quell’autoreferenzialità che talvolta caratterizza le prassi abitudinarie, ma assumendo piuttosto decisioni informate su come procedere. La valutazione è un mezzo di apprendimento perché è incentrata sulla condivisione e sull’impiego attivo di criteri valutativi. Si tratta di un processo che prevede che chi apprende sia soggetto attivo piuttosto che mero oggetto di valutazione. Il ricorso all’autovalutazione – pratica imprescindibile in una compiuta valutazione, ma scarsamente diffusa nelle scuole italiane secondo quanto dichiarato da un campione rappresentativo di docenti [3] – ha ricadute positive sulla motivazione intrinseca e sullo sviluppo di competenze metacognitive, e consente a studentesse e studenti di impiegare i criteri valutativi come strumenti di riflessione per orientare il proprio percorso di apprendimento e di crescita personale.
4. Per rendere concreta e operativa una visione della valutazione come efficace strategia di apprendimento e insegnamento è necessario investire sull’istruzione ri-orientando radicalmente le politiche sulla formazione e lo sviluppo della professionalità degli insegnanti sin qui perseguite. Le modifiche alle normative sulla valutazione – seppure necessarie – rischiano di essere vanificate dalla carenza di interventi su elementi strutturali del sistema scuola. Agire su tali elementi significa affrontare la questione del ruolo professionale di chi insegna, per restituire ad esso valore e reali spazi di azione intellettuale e progettuale dentro le scuole; significa al contempo avere un progetto serio e ampio sulle politiche di reclutamento di migliaia di docenti, del loro tempo lavoro dentro la scuola e della loro formazione iniziale e continua. Il cambiamento strutturale passa attraverso un ragionamento approfondito, collettivo e allargato sui temi dell’autonomia scolastica (e delle sue potenzialità), del funzionamento degli organi collegiali degli istituti e dei rapporti tra scuole e territorio.
Affrontare il cambiamento strutturale richiede di mettere in discussione modelli culturali, organizzativi e didattici rigidi, che fanno della “separazione” l’elemento chiave di tutto il sistema: la separazione tra didattica e valutazione qui richiamata, ma anche la separazione tra teoria e pratica, la separazione tra discipline, la separazione tra tipologie di istituti, fino alla separazione implicita, ma sempre più evidente, tra una popolazione scolastica avvantaggiata e una popolazione che, semplicemente, “non ce la fa”.