Di Ira Vannini
Pubblicato il 23 marzo 2020 | Scuola in emergenza
Contributo di Ira Vannini
Questa drammatica situazione di pandemia nel nostro Paese ha messo a nudo, in queste settimane, le enormi difficoltà del nostro sistema sanitario. Decenni di disinvestimenti sulla Sanità Pubblica si stanno riversando su decine di migliaia di malati e sulle spalle di medici e operatori sanitari tutti, richiedendo loro sforzi e sacrifici incredibili.
Certo è principalmente su questo che oggi orientiamo giustamente le nostre attenzioni, ed è ancora sulle politiche sanitarie future che dovremo indirizzare le nostre preoccupazioni ed energie quando inizieremo a ri-costruire; e, speriamo, a ricostruire in una prospettiva democratica.
Da qui tuttavia il pensiero corre veloce ad altre riflessioni sulle istituzioni chiave della democrazia del Paese, in primo luogo la Scuola.
D’improvviso in Italia più di 7 milioni di bambine e bambine, ragazze e ragazzi, il 24 febbraio si sono ritrovati “senza scuola”, senza quella comunità educante che garantisce ai giovani una crescita intellettuale e umana all’interno di contesti reali, di scambio quotidiano, di attenzioni reciproche e sguardi mescolati continuamente a sapere e cultura. Restare “senza scuola” è faccenda davvero grave, inaudita, e dunque le scuole e moltissimi insegnanti si sono “attrezzati per l’emergenza” grazie alle tecnologie che consentono la comunicazione a distanza; grazie alla loro professionalità, che consente tutto il resto.
Anche qui, la situazione emergenziale ha messo a nudo quattro decenni di progressivi disinvestimenti dei nostri governi sulla Scuola Pubblica, una scuola che è ben lungi dall’avere prima di tutto il problema delle tecnologie. La scuola italiana purtroppo ha in primis il problema di una forte dispersione del capitale intellettuale del Paese e di disequità nei risultati di apprendimento degli studenti e delle studentesse (disparità geografiche, di genere, … e soprattutto di ceto socio-economico-culturale di provenienza) dovuta a un insieme complesso di elementi della scuola stessa che “non funzionano”, a livello prima di tutto di struttura complessiva del sistema scolastico (che appunto “strutturalmente” orienta e suddivide gli alunni per classe sociale di appartenenza) e a livello di singole scuole e singoli contesti dove si realizza la didattica (o la si realizza in modi inadeguati).
Ecco, la didattica, o meglio la buona didattica; quell’altro insieme complesso di molteplici elementi che rendono efficace il rapporto tra insegnamento e apprendimento, e che poggiano su solide competenze dei docenti nei diversi campi disciplinari, nella progettazione curricolare, nella gestione della classe, nella scelta di appropriate strategie di inclusione, nella valutazione formativa e ri-progettazione. Docenti che dovrebbero essere parte attiva – e non precaria – all’interno dei contesti organizzativi delle scuole, dove si possano esercitare processi decisionali di tipo collegiale e collaborativo.
Purtroppo è proprio su tutto questo che si è disinvestito negli ultimi quarant’anni: sul creare le condizioni istituzionali e fornire le competenze opportune affinché gli insegnanti potessero esercitare reale professionalità dentro le scuole, di ogni ordine e grado.
Oggi moltissime e moltissimi insegnanti, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di II grado, si stanno mettendo alla prova con le tecnologie che consentono la didattica a distanza; in fondo l’uso propriamente tecnico del mezzo tecnologico è semplice o quasi banale: è tuttavia solo nelle mani sapienti dei docenti che, dentro le tante nuove classi virtuali italiane, possono ricrearsi – seppur in piccolissima parte – quelle condizioni di scambio reciproco fra chi apprende e chi insegna che danno efficacia alla didattica e promuovono il raggiungimento di obiettivi fondamentali di apprendimento.
Tutto ciò è ovviamente molto più probabile laddove l’insegnante già abbia solide competenze sui meccanismi cognitivi e socio-affettivi che regolano e supportano l’apprendimento degli studenti, sulle scelte possibili di trasposizione didattica dei contenuti, sull’uso di mediatori e la messa in campo di strategie di valutazione e di feedback formativo; oltre che laddove l’insegnante si senta davvero parte integrante e attiva di un sistema istituzionale coerente. Tutto questo purtroppo non si inventa sull’attimo e nemmeno lo si compensa con veloci corsi-ricette sulla didattica online.
Una grande parte di docenti, dentro la contingenza, sta mettendo in campo le proprie risorse migliori, con enormi sforzi e sacrifici, attraverso un mezzo tecnologico che offre tantissimo ma che, allo stesso tempo, sottolinea costantemente la pena di non poter stare fisicamente dentro la relazione educativa reale, nelle classi e fra le menti e i corpi che apprendono insieme. Molti insegnanti lo sanno che è proprio in questi giorni (e nelle prossime settimane che purtroppo abbiamo ancora davanti a noi) che si gioca la partita degli alunni con maggiori difficoltà, quelli più emarginati socialmente, con minori mezzi e supporti familiari (e ancora non conosciamo i numeri degli alunni che al momento non possono nemmeno fruire delle lezioni online per mancanza di mezzi tecnologici in famiglia). Quelli per cui un intero quadrimestre perduto significa una perdita enorme, per il loro apprendimento futuro e per tutta la nostra società.
Occorre un pensiero serio e lungimirante sulla Scuola, che insieme alla Sanità, possa aiutarci – come collettività – a ri-costruire un progetto di Paese democratico.
Fonte: ParliamoneOra 2020, http://www.parliamoneora.it/2020/03/29/la-scuola-in-emergenza-rivela-lemergenza-educativa/