In risposta all'articolo di E. Galli Della Loggia del 19 febbraio u.s. su Il Corriere della Sera
Pubblicato il 01 marzo 2021
Caro Direttore,
nei giorni scorsi (19/2/2021) sul “Corriere della Sera” è stato pubblicato l’ennesimo articolo qualunquista sulla scuola a firma del prof. Ernesto Galli Della Loggia dal titolo “Paese legale e Paese reale: la scuola parli italiano”. Confesso che prima di scrivere a voi ho inviato, come era doveroso, questo mio contributo al Direttore del “Corriere della Sera” senza ricevere nemmeno un cenno di ricezione. Confido nel fatto che essendo voi più aperti a posizioni plurali possiate prenderlo in considerazione.
Fermo restando il sacrosanto diritto di ognuno di esprimere le proprie opinioni su qualsivoglia argomento, il prof. Galli Della Loggia si è autonoproclamato da alcuni anni esperto di scuola e di educazione e sulle pagine di uno dei principali quotidiani italiani impartisce lezioni e formula invettive senza contraddittorio. Come è normale che accada in qualsiasi ambito del sapere anche il campo dell’istruzione e dell’educazione ha un suo linguaggio. Se si trattasse dell’ambito medico, per fare un esempio, nessuno avrebbe da ridire circa il suo lessico specialistico.
Al di là di questi aspetti che meriterebbero un maggiore approfondimento, l’articolo del prof. Galli Della Loggia si concentra in particolare sul tema delicatissimo e complesso della valutazione operando una sconcertante banalizzazione che non fa onore alla sua fama. La questione della valutazione, infatti, richiede di essere affrontata con grande serietà e non con il tono di sberleffo adottato da Galli Della Loggia, il quale inoltre, sul piano dei contenuti, sembra ignorare che la ricerca docimologica dimostra da decenni come il voto numerico non sia né affidabile né immediato. Grandissimi pedagogisti da John Dewey ad Aldo Visalberghi si sono soffermati su questo tema e il passaggio dalla valutazione numerica ai giudizi rappresenta un cambiamento culturale di grande rilevanza in special modo nella scuola primaria (o elementare). Il passaggio dal voto ai giudizi richiede a scuole e docenti un notevole sforzo. Si tratta di riformulare obiettivi e progettare l'attività didattica tenendo presente che l'impiego di indicatori, descrittori e livelli è chiamato a dare forma a insegnamento e apprendimento. Significa partire dall'idea che i giudizi hanno senso solo se la valutazione verrà usata davvero come strategia didattica. O la valutazione dà forma a insegnamento e apprendimento oppure non ce ne facciamo nulla, e anche se valutiamo in itinere o usiamo parole al posto dei numeri non è detto che stiamo svolgendo una valutazione formativa.
Il 15 dicembre 2020 sono state presentate le nuove Linee guida sulla valutazione per la scuola primaria, che chiedono agli insegnanti di valutare in modo rigoroso e sistematico gli apprendimenti di ciascuno allievo, esplicitando criteri e motivazioni dei giudizi formulati e spiegando a bambini e genitori gli obiettivi raggiunti e le strategie da mettere in atto per poter ottenere ulteriori miglioramenti. La riforma introdotta nella scuola primaria - presentata come la morte della valutazione e del merito nella scuola, foriera di modelli permissivi e ideologicamente orientati di fare scuola – costituisce, al contrario, il risultato di un lungo percorso di sperimentazione nelle scuole pubbliche e paritarie, promossa dalle associazioni professionali e monitorata dall’università e si allinea con la più recente, rigorosa e avanzata ricerca empirica in campo valutativo. Inoltre, e guardiamo al panorama europeo, dopo aver esaminato i dati di quattro indagini PISA, l’OCSE (2011) ha verificato che la Finlandia - dove fino a 12 anni gli allievi non ricevono voti ma sono valutati con valutazione descrittiva (giudizio espresso in parole) - è uno dei paesi leader mondiali nel rendimento dei suoi studenti delle scuole secondarie, posizione che occupa ormai da dieci anni.
Questo ottimo rendimento è anche notevolmente costante in tutte le scuole, indipendentemente dal loro background familiare, dalla loro condizione socio-economica o dalla loro capacità. Il sistema introdotto nel nostro paese in questo anno scolastico, ispirandosi al modello finlandese, propone di formulare un giudizio descrittivo integrando la valutazione condotta durante l’attività didattica quotidiana, in cui si rilevano gli apprendimenti dei bambini con diversi strumenti di valutazione, con la valutazione alla fine dei due quadrimestri, in cui si fa il bilancio dei progressi di ciascun allievo attraverso uno scrupoloso lavoro di analisi dei dati raccolti. L’ottica è quella che a livello internazionale viene definita “valutazione per l’apprendimento”, secondo cui il docente usa strumenti rigorosi di monitoraggio dei processi messi in atto dai bambini perché tutti i bambini possano raggiungere gli obiettivi che la scuola si prefigge e migliorare così la qualità dell’apprendimento di tutti i bambini. Infatti in tutti i paesi in cui si raggiungono alti risultati in termini di prestazione (a prescindere dal background degli allievi), e si arriva così ad innalzare il livello culturale di tutto il paese, la valutazione è ancorata fortemente da un lato all’idea che il processo di monitoraggio del lavoro degli allievi non debba essere condotto in modo approssimativo e impressionistico (come spesso succede nell’assegnazione dei voti), dall’altro che la finalità ultima della valutazione e il progresso degli allievi e, dunque, la progettazione del percorso di insegnamento volto a promuoverlo.
Questo cambiamento culturale richiede, dunque, che i docenti mettano in gioco tutte le loro competenze professionali per auto-regolare il proprio operato in base ai dati raccolti, così da dirigere la loro azione di insegnamento in modo sempre più mirato ed efficace rispetto al gruppo di allievi a cui si rivolge. E gli insegnanti della scuola primaria del nostro paese hanno dimostrato di mobilitare tutte le loro risorse professionali per procedere in questa direzione e mettere in atto questa riforma, nonostante sia stato introdotta in un periodo di grande sofferenza per la scuola: ai primi incontri di formazione offerti alle scuole (11 e 12 gennaio) – che il Ministero ha voluto fossero rivolti a tutti i docenti – hanno partecipato circa 160.000 insegnanti senza che vi fosse alcun obbligo e/o incentivo da parte della scuola o dell’Amministrazione centrale, dimostrando così l’alta professionalità di tanta parte della scuola italiana, che ha preso seriamente questo cambiamento di rotta e intende acquisire gli strumenti per applicare le nuove direttive nel modo più corretto e, al tempo stesso, più aderente ai diversi contesti. Insomma prima di parlare e scrivere bisognerebbe avere il pudore di informarsi e documentarsi.
Infine, pregherei il prof. Galli Della Loggia di smetterla di adottare la sprezzante espressione «pedagogichese» delegittimando e offendendo la pedagogia e i molti pedagogisti che ogni giorno si confrontano e collaborano a diversi livelli con le scuole dei territori per migliorare un sistema educativo e formativo che è stato a lungo penalizzato e trascurato. La pedagogia italiana ha una lunga e nobile tradizione che le nuove generazioni di studiosi stanno portando avanti con grande impegno e offrendo contributi innovativi alla ricerca pedagogica e didattica.
Nel ringraziarvi per l’attenzione vi invio un cordiale saluto
Prof. Massimiliano Fiorucci
Presidente della Società Italiana di Pedagogia