“Saigon Calling”

memorie pluricentriche di un conflitto (1975-2025)

A cinquant’anni dalla “caduta di Saigon”, che segna la fine della Seconda guerra d’Indocina, durata un ventennio, questa giornata seminariale vuole riflettere, con il coinvolgimento degli studenti dei corsi di Letterature Anglo-Americane e di Letteratura Francese, sulle eredità e sulle memorie di quel conflitto, uno dei più drammatici del Novecento americano e asiatico, paradigmatico per diversi motivi. La rilevanza storica, culturale e sociale di questa guerra è testimoniata dall’ampia produzione di testi a essa dedicati, così come da un altissimo numero di prodotti culturali che attraversano generi e media molto diversi tra loro; una produzione che non è mai cessata e che, di fatto, continua ormai da cinquant’anni. Questa proliferazione di fonti è motivata dall’impossibilità di inscrivere quest’evento in una narrazione unitaria e condivisa. Pertanto, sebbene il conflitto armato si sia concluso nel 1975, esiste un dibattito ancora acceso sull’esistenza e la possibilità di raccontare, rappresentare e commemorare in modo “etico” quest’evento, accogliendone le molteplici sfaccettature, al fine di interrogarsi su quali lezioni si possano (ancora) apprendere. Come ricordato dallo studioso, e premio Pulitzer, Viet Thanh Nguyen, “All wars are fought twice, the first time on the battlefield, the second time in memory” (2013: 144). Tale conflitto nella memoria emerge in maniera evidente se si confrontano le memorie di tutte le comunità (nazionali e non) toccate dalla guerra.


L’incontro vuole così stimolare la riflessione intergenerazionale sui processi di formazione di memorie collettive traumatiche, nella consapevolezza che il trauma sia (anche) una costruzione sociale. Sebbene, in ambito nordamericano (e occidentale), si siano fatti ampi sforzi per integrare le narrazioni dell’altro campo — il vecchio nemico, comunista e asiatico — è importante superare tale binarismo, che oppone un “noi” (occidentale) a un “voi” (quello nemico). Si vogliono, quindi, recuperare le voci e le esperienze, spesso diasporiche, dei sudvietnamiti, insieme a quelle delle altre
minoranze etniche, come i Montagnards, ma anche quelle dei paesi limitrofi, come Cambogia e Laos, al fine contestualizzare la “Guerra del Vietnam” all’interno di una storia geopolitica complessa e con radici profonde, che ha visto nel tempo vari attori (tra questi la Francia, il Giappone, la Cina, l’ex URSS e, naturalmente, gli USA) proiettare le proprie ambizioni (neo)coloniali e imperialiste sul territorio vietnamita.

Infine, l’incontro vuole riflettere sul ruolo dei media e della cultura visuale nella formazione di memorie condivise. È, infatti, noto che la Guerra del Vietnam sia stata la prima guerra americana a essere raccontata in presa diretta dalle TV nazionali, entrando di fatto nei salotti e nelle sale da pranzo degli americani, spesso turbando il pubblico. L’immagine dell’autoimmolazione di un monaco buddista, insieme ad altri scatti iconici, è così entrata nell’immaginario collettivo statunitense e mondiale in tempo reale, mettendo in crisi l’eufemismo pubblico e mettendo in discussione le azioni degli Stati Uniti oltreoceano. Considerato il potere del visuale di lavorare in modo più o meno conscio sulle coscienze, non sorprende che queste immagini siano state utilizzate dai movimenti della controcultura per articolare forme diverse e pervasive di dissenso. Si spiega così un’opinione pubblica fortemente divisa, così come una vasta gamma di contro-memorie del conflitto, con cui anche i revisionisti, emersi a partire dagli anni ’80, hanno dovuto confrontarsi.
Date queste premesse, si vuole riflettere sulle diverse memorie culturali che attraversano quel conflitto, focalizzandosi sugli elementi che lo rendono ancora rilevante, anche a causa della trasmissione intergenerazionale del trauma, in forma di postmemoria e di memoria prostetica, attraverso proiezioni dovute a racconti familiari e a rimediazioni artistiche e non dell’evento.