Persepolis di Marjane Satrapi: illustrazioni di fioritura personale

Gemma Granetto

Persepolis è il titolo del long-seller autobiografico pubblicato da Marjane Satrapi a partire dal 2000 in cui personale e politico si legano indissolubilmente per raccontare l’infanzia e l’adolescenza vissuta tra Teheran e l’Europa. Ancora in vetta alle classifiche, il graphic novel appare nella lista stilata dal Guardian dei 100 libri più influenti al mondo. Nel 2007 è stato adattato ad un film d’animazione prodotto da Sony Pictures Classic, diretto da Vincent Paronnaud e dall’autrice stessa, e si è aggiudicato il Premio della giuria del Festival di Cannes nello stesso anno. Durante il suo discorso di accettazione del premio Satrapi ha dedicato la vittoria a tutti gli iraniani:

 

"I don’t want those Iranians who lost their lives in prisons defending freedom, who died in the war against Iraq, who suffered under various repressive regimes, or who were forced to leave their families and flee their homeland to be forgotten. One can forgive but should never forget." (Satrapi, 2000:2)

 

Con uno scenario colmo di violenza politica e sociale, Satrapi raccoglie la sua esperienza vissuta tra due culture, quella Occidentale e quella Orientale, che comunicano molto poco tra loro, ponendo al centro la difficoltà di ricongiungere due identità che abitano lo stesso corpo. Decide di farlo attraverso le illustrazioni perché è convinta che «co-mixing art and figures» (Levine:319) sia il mezzo più appropriato per restituire le complessità dell’animo umano. Il risultato è una coming-of-age story in cui la drammaticità dei fatti crea un equilibrio perfetto con la scrittura piena di sarcasmo e un disegno solo in apparenza rudimentale. Chute a proposito afferma che «Its only apparent visual simplicity coupled with emotional and political complexity.» (Chute, 2010:105)

 

1. Storia di un’infanzia e di un ritorno 

2. Il senso di non-appartenenza

3. La resistenza iraniana

4. Abitare se stessi

5. Bibliografia

 

 

1. Storia di un’infanzia e di un ritorno

Nel 1979 Marjane è soltanto una bambina quando in Iran scoppia la rivoluzione e il nuovo regime fondamentalista islamico si impone violentemente sulla comunità islamica iraniana. Per sottrarla alla crudeltà del nuovo regime, i genitori, borghesi progressisti di origine aristocratica, decidono di iscriverla a un liceo francese a Vienna. Se in un primo momento questa sembra essere una via di fuga perfetta per la piccola Marjane, si rivelerà  presto una segregazione ancora più profonda. L’esclusione e marginalizzazione dovuta alle origini orientali la forzano a una nuova ma non meno atroce chiusura: quella dentro di sé. 

L’Europa non solo non corrisponde alle aspettative ma sembra anche non concederle uno spazio per la crescita personale. Oltre la scuola non ha abitazioni e frequentazioni stabili e l’ostinato tentativo di integrazione la porterà addirittura a mentire sulle proprie origini spacciandosi per europea. Dopo aver vissuto senza dimora per due mesi e aver contratto una bronchite che la porta quasi alla morte, decide in accordo con la famiglia, che l'unica valida prospettiva rimasta è quella di rientrare a Teheran dopo quattro anni di assenza. Al rientro, gli occhi di Satrapi scorgono in Teheran una zona desolata abitata soltanto da macerie e vie dedicate ai martiri. Il peso dei racconti di guerra e il trauma non ancora sciolto dell’esperienza viennese la portano a cercare più volte la morte. Il continuo fallimento dei tentativi si riversa successivamente nella riappropriazione delle proprie origini che corrisponde con la passività del concedersi completamente a esse: Marjane porta volontariamente il velo e decide di sposarsi con Reza, un pittore conosciuto in città.

L’apatia verso le restrizioni del regime, la discriminazione di genere e l’oppressione sociale che esso impone non riescono a mettere radici nell’animo sovversivo della protagonista. Marjane, non più innamorata, sfrutta gli accordi prematrimoniali per ottenere il divorzio dal marito e si lascia cullare dalla possibilità di una nuova fuga. È la morte di un’amica in seguito all’irruzione della polizia durante una festa che la inizierà definitivamente verso una nuova e drastica rottura: l’abbandono definitivo dell’Iran per consentirsi un nuovo esilio europeo. Nel 1994, la Francia e la matura determinazione di Satrapi diventano terreno fertile per riprendere le redini del proprio vissuto e riconciliarsi con le proprie radici.

 

2. Il senso di non-appartenenza

L’apertura della famiglia agli ideali occidentali fa crescere Marjane circondata da un clima democratico e progressista. Frequenta un liceo francese, sogna di poter fare l’università, ama la musica straniera e i suoi idoli sono Bruce Lee e Marie Curie. Sono questi gli ingredienti che nutrono l’animo ribelle e indignato nei confronti delle progressive restrizioni imposte dal nuovo regime. L’idea di libertà e Occidente si incastrano perfettamente nella mente della protagonista ma è proprio questa associazione che le causerà la più grande delusione e lacerazione. 

 

"Marji's difficulty in adapting to Europe fully reveals to the reader how un-western she truly was when she arrived in Austria in spite of her apparent westernization. Nothing prepared her for the culture shock she experiences once in Europe." (Leservot, 2011:124)

 

L’Austria non è soltanto scuola mista, capelli scoperti al vento e informazione libera, è  soprattutto razzismo e incapacità di accogliere diverse tradizioni. Se da un lato Marjane non riesce a convivere con le imposizioni del regime, dall’altro non le viene nemmeno concesso uno spazio dentro il quale una nuova identità autodeterminata può fiorire. Nomade identitaria, la figura della protagonista si trova bloccata tra due culture che le sono entrambe estranee, rivedendosi perfettamente nella figura della stateless person:

 

"The stateless person, as a homeless figure who does not belong to any specific country. in the case of exile is to be neither in one place nor in the other, but to be in-between, to be travelling in the ‘flipzone’ of fusion and admixture." (Naficy,1993:21)

 

La progressiva irruzione di questo sentimento di non appartenenza si concretizzerà in due spaccature nette: il ricongiungimento con Teheran e la seconda partenza per l’Europa. Teheran ritrova una donna matura nonostante la giovane età e non riesce a stare al passo con le aspettative della protagonista. A Marjane non è concesso frequentare l’università ma riesce a iscriversi a una scuola d’arte ed è qui che la sua indole ribelle esplode in tutta la sua forza: tiene per mano il suo ragazzo in pubblico, si trucca e indossa dei calzini rossi in segno di protesta al regime.

 

3. La resistenza iraniana

In Persepolis, i ricordi delle segregazioni e delle imposizioni divengono presto un’opportunità per parlare delle oppressioni messe in atto dallo stato totalitario. Il regime di Khomeini considera il corpo femminile un veicolo di condannabile seduzione e per fronteggiare questa inevitabile provocazione costringe le donne al totale anonimato: devono indossare l’hijab, non possono più truccarsi e sorridere in pubblico. Non sazio, le confina alla sfera domestica allontanandole da ogni carica professionale e negando loro il diritto allo studio. 

Tutte le donne che abitano Persepolis però non si fanno piegare e mettere a tacere dalle imposizioni del sistema. Sono tutte soggetti forti che non hanno paura e che resistono mantenendo la loro individualità.

 

"We confronted the regime as best as we could. Our struggle was discrete. It hinged on the little details. Showing your wrists, having a walkman. When we’re afraid we lose all sense of analysis and reflection. Our fear paralyzes us. Showing your hair or putting on makeup logically became acts of rebellion." (Satrapi, 2004:148)

 

I primi esempi di resistenza femminile Marjane li trova all’interno della famiglia nelle figure della madre e alla nonna. Per la protagonista, esse non incarnano soltanto l’ideale di femminilità a cui aspirare ma rappresentano anche il coraggio di essere sempre forti, indipendenti e integre. «Remember to be true to yourself» (Satrapi, 2004:150) è una frase che reciterà spesso la nonna e che Satrapi avrà così tanto a cuore da illustrarla più e più volte nelle sue creazioni. Nonostante la devozione all’autodeterminazione e la dedizione all’emancipazione, Satrapi ha ribadito in diverse occasioni di non riconoscersi femminista: 

 

I am not a feminist. I am a humanist. I believe in human beings. After what I have seen in the world, I don’t think women are better than the men. (...) It is a person, and their sex comes after what they’ve done. I believe that we say too much “We the women” and “We the men,” but should say “We the human beings.” (Tully, 2004:interview)

 

Pur non definendosi mai femminista, Satrapi è capace di decostruire tutte le narrative mainstream riguardanti la condizione stereotipata delle donne musulmane, dedicando continuamente ad esse il primo piano nel disegno della resistenza al regime fondamentalista.  Attraverso il racconto della sua resistenza, Satrapi riesce nell’intento di creare un punto di congiunzione tra due orizzonti culturali che troppo spesso ci sembrano inconciliabili, e di farci scoprire l’esistenza di un altro Medioriente che non è mai sembrato emotivamente più vicino.

 

4. Abitare se stessi

Malgrado la crescita dolorosa, Satrapi non racconta di un’identità plasmata dal trauma ma osserva, attraverso se stessa, come sia possibile trovare rigenerazione e rinascita dai conflitti concedendosi alla narrazione. Scrivere Persepolis diventa per l’autrice un atto liberatorio «to reshape her identity and regenerate herself from and after conflicts emphasizing the importance of remembering and illustrating the dynamic nature of memory in reconstruction.» (Chute, 2010:94)

L’impegno finale di Satrapi, attraverso questo graphic memoir, non è soltanto quello di ritrovarsi, riscoprirsi e rendere i ricordi meno dolorosi. È anche quello di contribuire concretamente alla distruzione dell’apparente incompatibilità tra Oriente e Occidente, proponendosi come esempio di una complessa identità ibrida e sottolineando come il potere di accogliere la diversità sia il vero scopo etico e politico della creatività.

5. Bibliografia

Chute, Hilary, Graphic Women: Life Narrative and Contemporary Comics, Columbia University Press, 2010.

Leservot, Typhaine, Occidentalism: Rewriting the West in Marjane Satrapi's "Persépolis",  French Forum, Vol. 36, No. 1, University of Pennsylvania Press, 2011, pp. 115-130.

Levine, Michael, Necessary Stains: Spiegelman’s MAUS and the Bleeding of History, American Imago, The John Hopkins University Press, 2002, pp. 317-341.

Naficy, Hamid, The Making of Exile Cultures: Iranian Television in Los Angeles, University of

Minnesota Press, 1993.

Satrapi, Marjane, Persepolis: The Story of a Childhood, Pantheon Books, 2000.

Satrapi, Marjane, Persepolis: The Story of a Return, Pantheon Books, 2004.

Tully, Annie, An Interview with Marjane Satrapi, 2004. su bookslut.com (data di ultima consultazione 09/08/2021)


Foto 1 fumettologica.it (data di ultima consultazione 09/08/2021)