The Handmaid’s Tale, fiction e Storia a confronto

Giorgia Bosco, Gemma Granetto

È innegabile che The Handmaid’s Tale di Margaret Atwood si sia imposto nell’immaginario collettivo contemporaneo a tal punto da generare una vera e propria discendenza culturale. Dal romanzo del 1985, che riscuote fin da subito un grande successo, vengono infatti tratti prima l’omonimo film nel 1990 e poi la serie televisiva, ancora in corso, del 2017.

La potenza del testo della Atwood spezza i confini del testo scritto divenendo strumento di contestazione politica nelle manifestazioni pro-aborto degli ultimi anni che hanno interessato Europa e America: dall’Ohio all’Argentina, dall’Italia all’Irlanda, le attiviste femministe hanno indossato il costume delle ancelle disegnato da Ane Crabtree per protestare contro leggi che avrebbero minato il diritto all’aborto.

In uno scenario storico come quello contemporaneo in cui i diritti umani non sono equamente tutelati, il monito della Atwood è quanto mai attuale. Le somiglianze tra il nostro presente e il futuro distopico narrato sono lampanti. L’accuratezza delle predizioni dell’autrice sorpassa i limiti della pura immaginazione e affonda infatti le sue radici in una lettura attenta e critica del passato e del presente. Alla domanda ripetutamente posta sulle origini di Gilead, Atwood sostiene che la risposta sia racchiusa in alcune pagine buie della Storia come i totalitarismi novecenteschi, le biopolitiche, gli estremismi religiosi statunitensi e soprattutto la schiavitù africana negli Stati Uniti. 

 

1. Gli archivi e la Storia

2. Gilead e la schiavitù nera

3. Bibliografia

 

1. Gli archivi e la Storia

Nel 2019, in occasione dell’uscita di The Testaments, sequel di The Handmaid’s Tale, Atwood si reca all’Università di Toronto per rilasciare un’intervista riguardo le fonti storiche che hanno ispirato la creazione di Gilead. Nella Fisher Library sono infatti custoditi gli archivi contenenti idee e materiali raccolti dalla Atwood con il preciso scopo di scansare eventuali accuse di fantasiose speculazioni:

 

I didn’t even research it. There was no Internet then, you couldn’t just go online and put in a topic, so this is just stuff I came across when reading newspapers and magazines. I cut things out and put them in a box. I already knew what I was writing about and this was backup. In case someone said, ‘How did you make this up?’ As I’ve said about a million times, I didn’t make it up. This is the proof – everything in these boxes.

(Atwood, 9/09/2019)

 

Tra gli articoli da lei selezionati spiccano soprattutto quelli riguardanti le leggi sul controllo delle nascite varate dal governo di Ceaușescu, le sette cattoliche e la poligamia negli Stati Uniti degli anni Ottanta e l’esortazione alla maternità da parte di un Membro del Parlamento canadese.

È evidente che gli interessi di Atwood orbitino intorno al corpo femminile, che nelle sue riflessioni diventa territorio di controllo culturale e politico nel presente e nel futuro tanto quanto nel passato.

 

2. Gilead e la schiavitù nera

Il fatto storico che più permea il tessuto narrativo del testo è probabilmente il peccato originale su cui gli Stati Uniti si sono generati: la schiavitù. Proprio come le schiave africane, le ancelle sono oppresse dal sistema patriarcale che le spoglia della loro identità e soggettività, relegandole alla mera funzionalità biologica.

È la fine del XX secolo quando in Nordamerica si instaura, in seguito a un golpe, un regime totalitario teocratico il cui unico scopo è la procreazione. Le donne, accusate ingiustamente del crollo delle nascite, perdono improvvisamente ogni diritto e libertà per essere ricollocate all’interno di un sistema gerarchico basato su genere, stato sociale e fertilità. Alle ancelle, donne fertili, viene affidata la riproduzione: una volta al mese durante la cosiddetta Cerimonia si uniscono ai Comandanti, i governatori di Gilead, sotto la sorveglianza delle loro Mogli, donne sterili. Dietro le sembianze di un cerimoniale sacro si cela un vero e proprio stupro legittimato dal sistema.

Con l’avvento di Gilead, concetti come famiglia, maternità e sessualità assumono un significato completamente diverso. Le donne destinate a diventare ancelle vengono separate dagli affetti della loro vita precedente e assegnate a un nuovo nucleo familiare, così come i loro figli, ormai orfani, sono affidati a famiglie di alto rango sociale. L’eco alla schiavitù africana è indiscutibile: in questo caso è la logica capitalistica alla base del commercio degli schiavi a essere responsabile della disgregazione dei legami di sangue. Le schiave africane venivano spesso allontanate dai figli (venduti insieme ai padri) e trattenute nelle piantagioni come schiave sessuali per generare nuova forza lavoro.

Spillers, una delle prime accademiche ad affrontare la questione delle donne afroamericane, sostiene: 

 

In effect, under conditions of captivity, the offspring of the female does not ‘belong’ to the Mother, nor is s/he ‘related’ to the ‘owner’, though the latter possesses’ it and in the African American instance, often fathered it, and, as often, without whatever benefit of patrimony. The offspring of the enslaved, being unrelated both to their begetters and to their owners find themselves in the situation of being orphans(Spillers, 1987:74)

 

La schiavitù e lo sfruttamento riducono il corpo a mera funzione, proprietà e oggetto. Cruciale è infatti la distinzione tra corpo e carne introdotta da Spillers in Mama’s Baby, Papa’s Maybe (1987), uno dei testi fondamentali del Black Feminism:

 

But I would make a distinction in this case between "body" and "flesh" and impose that distinction as the central one between captive and liberated subject-positions. In that sense, before the "body" there is the “flesh," that zero degree of social conceptualization(Spillers, 1987:66)

 

Le ancelle, così come le schiave africane, sono state private della loro soggettività a partire dai loro stessi corpi che smettono di essere luogo di negoziazione dell’identità e, anzi, diventano prigioni nelle quali si sentono estranee. Confessa Offred, protagonista di The Handmaid’s Tale:

 

My nakedness is strange to me already. My body seems outdated. Did I really wear bathing suits, at the beach? I did, without thought, among men, without caring that my legs, my arms, my thighs and back were on display, could be seen. Shameful, immodest. I avoid looking down at my body, not so much because it’s shameful or immodest but because I don’t want to see it. I don’t want to look at something that determines me so completely(Atwood, 1985:72)

 

Così disumanizzate, le ancelle si sentono alienate nei corpi che una volta abitavano. Da persone ben riconoscibili diventano un semplice numero all’interno di una massa indistinta gestita e sfruttata dai sistemi di cui sono vittime. Obbligate a rinunciare alla loro unicità, si sentono l’una la replica dell’altra. È significativo il modo in cui Offred descrive Ofglen, l’ancella che l’accompagna nelle sue passeggiate: “She’s like my own reflection”. (Atwood, 1985:54)

Anche questo processo di spersonalizzazione accomuna l’esperienza delle ancelle a quella delle schiave nere. Afferma Spillers:

 

We lose any hint of suggestion of a dimension of ethics, of relatedness between human personality and its anatomical features, between one human personality and another, between human personality and cultural institutions. To that extent, the procedures adopted for the captive flesh demarcate a total objectification, as the entire captive community becomes a living laboratory(Spillers, 1987:68)

 

Cruciale per l’annichilimento della soggettività sia nell’America colonialista del XIX secolo sia per Gilead, è la perdita del nome di battesimo, che nel primo caso corrisponde alla nominazione per stereotipi e nel secondo all’imposizione del patronimico. L’identità delle schiave nere, infatti, è seppellita sotto “layers of attenuated meanings assigned by a particular historical order” (Spillers Hortense, 1987: 65) tuttora presenti nell’immaginario collettivo americano, basti pensare al cliché dell’ipersessualizzata donna nera evocato dai termini “Sapphire” e “Jezebel”. Allo stesso modo, alle ancelle viene assegnato il nome del loro padrone preceduto dalla preposizione “of” che sottolinea immediatamente lo stato di appartenenza a cui sono confinate. Offred (of-Fred) addirittura è condannata all’anonimato totale: mentre i nomi di Janine, Moira, Emily scivolano di nascosto in conversazioni sussurrate, quello della protagonista non è mai reso noto. Spiega Atwood, che inizialmente aveva intitolato il romanzo Offred:

 

Why do we never learn the real name of the central character, I have often been asked. Because, I reply, so many people throughout history have had their names changed, or have simply disappeared from view(Atwood, 10/03/2017)

 

L’autrice rafforza questa strategia affidando il timone narrativo alla protagonista stessa, che, presa finalmente la parola, può ricostruire la sua esperienza e farsi portavoce di tutti coloro che sono stati condannati al silenzio e all’oblio dalla storiografia ufficiale. I vissuti delle ancelle e delle schiave si intrecciano così in un’unica voce capace di restituire una nuova e più inclusiva visione della Storia.

 

3. Bibliografia

Atwood, Margaret (1985) The Handmaid’s Tale, McClelland and Stewart, Toronto 1985.

Atwood, Margaret. Margaret Atwood on What The Handmaid’s Tale Means in the Age of Trump, “New York Times”, 10/03/2017.

Atwood, Margaret. Margaret Atwood on the real-life events that inspired The Handmaid’s Tale and The Testaments, “Penguin”, 9/09/2019.

Spillers, Hortense (1987) Mama’s Baby, Papa’s Maybe: An American Grammar Book, Chicago: University of Chicago Press, 1987.