Lavori di casa e case in dono

donne in azione; ultime volontà

Pillola di Aldo Di Bari

Affresco di Santa Marta in cucina, inizio XV secolo, opera di Giovanni di Corraduccio presente nel monastero di S. Anna a Foligno.

Il servizio domestico nelle abitazioni dei più abbienti era svolto da figure femminili indicate con qualifiche quali famula, massaia, fantesca o pedischa. Le mansioni in cui erano impiegate comportavano una prolungata ed insistita condivisione degli spazi della casa con i loro datori di lavoro. Veniva così a crearsi una fitta rete di relazioni e di occasioni di incontro, rendendo queste professioni un punto di contatto tra mondi socialmente ed economicamente spesso distanti. Molte volte tali rapporti erano segnati da forme di sfruttamento e di sopruso, quando non direttamente di violenza, ma tra i padroni di casa e la servitù potevano nascere anche legami sinceri e di genuino affetto. A ciò dobbiamo i numerosi episodi in cui il personale di servizio compare tra i beneficiari di testamenti e donazioni. È questo il caso di Rosa di Giacomo, una serva originaria del contado bolognese che il 12 gennaio del 1398 si trovò a ricevere in dono una casa provvista di un cortile e di un orto dal valore di 50 lire. Si tratta del generoso lascito che Caterina di Giacomo calzolaio le aveva accordato come riconoscimento per i quattro anni trascorsi lavorando per lei «de die et de note».