Abstracts

Alessandro Berselli durante la sua lezione plenaria parlerà della scrittura come esperienza non solo narrativa ma anche emozionale, analizzata attraverso i seguenti tipi di percorso didattico:
- la costruzione del racconto: l'incipit, lo sviluppo, l'acme, la risoluzione
- il lavoro sul personaggio e il suo ruolo nell'economia della storia
- il monologo interiore come momento esperienziale e di confronto/analisi con il proprio io: la narrativa che diventa specchio di sè stessi ed espediente per raccontarsi
- l'importanza del dialogo; come dare voce ai protagonisti; quando lo scrittore si mette da parte e lascia parlare i suoi personaggi
- lo stile che diventa seduzione, la parola oltre il significato semantico e sua valenza estetica
- il romanzo come occasione di analisi sociale
- narrativa e pedagogia: compito del romanziere è solo narrare o anche insegnare e dare risposte?

L'idea fondamentale alla base della stilometria è che le impronte digitali testuali dello stile di uno specifico autore possano essere rintracciate in un certo numero di parole molto distintive all’interno delle sue opere. Sono stati proposti diversi approcci in letteratura per contare correttamente questi termini in modo significativo. Nonostante alcune tecniche comunemente utilizzate possano fornire spiegazioni intuitive, non è sempre questo il caso, poiché alcune delle caratteristiche più rilevanti per distinguere tra le classi potrebbero essere solo insiemi di caratteri (n-grammi). Recentemente, sono stati studiati metodi più sofisticati per favorire l'efficacia della stilometria e di altri tentativi di classificazione letteraria. Sfortunatamente, siccome queste tecniche prendono in prestito sempre di più dall'elaborazione del linguaggio naturale (Natural Language Processing), sta diventando più difficile per i professionisti rimanere aggiornati, applicarle con successo o persino capire come e perché funzionano. In questo intervento, fornirò una panoramica di come vengono costruiti i modelli statistici pre-addestrati e come possono essere efficacemente utilizzati negli studi letterari e poetici.

Lo stile è qualcosa che ha a che fare innanzitutto con il coraggio, perché l’atto più audace nella vita, così come nella scrittura, è operare una scelta. La ricerca espressiva è oggetto di un’indagine costante nella carriera di un narratore e la forma dell’autobiografia, il racconto completo o parziale di sé, spiega da quante diverse angolazioni sia possibile osservare l’io. J. M. Coetzee si è raccontato in terza persona, si è immaginato defunto per far intervistare uomini e donne del suo passato da uno sconosciuto; Paul Auster ha spezzato se stesso e si è tuffato nella sincerità assoluta del corpo. Nel novembre del 1996 Murakami Haruki venne invitato a partecipare a un workshop organizzato all’Università di Tōkyō: rispondendo alla domanda su cosa lui avrebbe scritto nei tre fogli bianchi da riempire per il colloquio di assunzione in un’azienda, Murakami Haruki consigliò di parlare di ostriche fritte. Più che scrivere di sé in modo generico e indefinito, secondo lo scrittore giapponese sarebbe stato più efficace concentrarsi su qualcosa che si amava, qualunque cosa essa fosse. Quel calibrare il sentimento e la distanza è precisamente la voce dello scrittore, il quale si trova a maneggiare rischi e potenzialità di concetti erranti come la coerenza, la ripetizione. Ma lo stile è anche tutto il portato di una vita concreta che precede e procede parallela all’operazione di scrittura: è il mestiere che si fa. Scopriamo così come da Anton Čechov ad Antoine de Saint-Exupéry, da Primo Levi a Bruce Chatwin, la professione anteriore o concomitante alla scrittura abbia premuto le dita sulla lingua, lasciando impronte spesso vistose sullo stile. Questo è d’altronde indistinguibile dal contenuto: a proposito di Esercizi di stile di Raymond Queneau, Umberto Eco scriveva che quello che gli Exercices ci insegnano è anzitutto che non si può porre una discriminante precisa tra figure di espressione e figure di contenuto, cosicché scegliere uno stile diviene un’operazione cruciale. Scegliere uno stile è, a tutti gli effetti, scegliere un contenuto e ancor prima la lente attraverso cui guardare il mondo. È la lente di Dippold l’Ottico nell’Antologia di Spoon River di E. L. Masters, quel dialogo serrato tra il cliente e l’ottico che, porgendogli via via lenti diverse, lo interroga su quanto vede. Solo davanti a una lente capace di percepire «luce, soltanto luce che trasforma tutto il mondo in giocattolo» la ricerca si fermerà. Sarà quello il suo sguardo sul mondo, quello lo stile per raccontarlo.

In questa sessione, presenterò l'applicazione web CLiC (Corpus Linguistics in Context), illustrerò il suo utilizzo attraverso una serie di esempi e discuterò le implicazioni più ampie di questo strumento per lo studio dei testi letterari. CLIC è stato sviluppato per l'analisi della narrativa; si basa su metodologie di linguistica dei corpora, adattandole a questo tipo di analisi. I corpora CLIC contengono 154 testi, per un totale di più di 16 milioni di parole, e sono suddivisi in cinque sottocorpora; includono i romanzi di Dickens, testi di letteratura per bambini e l'African American Writers corpus. In tutti i testi che fanno parte del progetto CLIC, sono stati annotati sia il discorso diretto, sia passaggi testuali specifici a ridosso del discorso diretto (Mahlberg et al. 2021). Di conseguenza, CLIC è in grado di operare ricerche su sottoinsiemi testuali definiti. In questo modo, CLIC rende possibile l'analisi di caratteristiche specifiche della fiction narrativa. Inoltre, dato che il CLIC Tagger è ora disponibile anche come strumento di analisi a sé stante, mostrerò come i ricercatori e le ricercatrici possano usarlo per annotare i propri corpora. Lo studio della fiction è importante per avvicinare ancor più la linguistica dei corpora e le digital humanities. In questa sessione, parlerò anche del futuro dal punto di vista della ricerca in questo campo.

Letture consigliate

Mahlberg, M., & Wiegand V. (2022). Exploring narrative fiction: corpora and digital humanities projects. In A. O’Keeffe & M. McCarthy (eds.), Routledge Handbook of Corpus Linguistics (2nd ed.). London: Routledge.

Egbert, J. & Mahlberg, M. (2020). Fiction – one register or two? Speech and narration in novels. Register Studies, 2(1), 72-101. https://doi.org/10.1075/rs.19006.egb

Mahlberg, M. and Wiegand, V. (2020). Stylistics and the digital humanities. In Conrad, S., Hartig, A., L. Santelmann (eds.) The Cambridge Introduction to Applied Linguistics, (pp. 219-234), Cambridge: Cambridge University Press.

Mahlberg, M., Stockwell, P., Wiegand, V. and Lentin, J. 2020. CLiC 2.1. Corpus Linguistics in Context. https://clic.bham.ac.uk/

Mastropierro, L. & Mahlberg, M., (2017). Key words and translated cohesion - A corpus stylistic analysis of Lovecraft’s At the Mountains of Madness and its Italian translation, English Text Construction. 10 (1), 78-105. https://doi.org/10.1075/etc.10.1.05mas

La traduzione letteraria può essere intesa in senso molto ampio come un’attività traduttiva durante la quale un testo da tradurre (di qualsiasi tipo) viene affrontato con grande attenzione alle sue proprietà stilistiche e a quelle della traduzione. Le proprietà stilistiche di un testo sono il risultato di scelte che sia lo scrittore sia il traduttore affrontano, e compiono, a ogni tocco sulla tastiera, ma, mentre (semplificando leggermente), si potrebbe supporre che gli scrittori possano scegliere abbastanza liberamente ciò che scrivono, i traduttori sono vincolati almeno in parte dal testo che stanno traducendo. Nella letteratura dei Translation Studies, questo è spesso identificato come fonte di problemi per i traduttori e solleva questioni sulla relazione fra lo stile del testo di partenza e quello del testo di arrivo, così come sullo stile dell’autore e quello del traduttore. La mia obiezione, tuttavia, consiste nel riconoscere la scelta non come una questione problematica, ma piuttosto come un invito per i traduttori a esprimere la propria creatività nelle scelte che fanno. Attraverso esempi illustrativi rilevanti, suggerirò dove i traduttori potrebbero cercare una guida, riconoscendo al tempo stesso in questo processo il ruolo di ciò che Kant (1790) definì “genio” (qualcosa che Kant, tuttavia, non avrebbe attribuito all’attività traduttiva).

Letture consigliate
Kant, Immanuel. 1790/1951. Critique of Judgement. New York: Hafner Publishing, translated by J. H. Bernard from 1790 Kritik der Urteilskraft. Berlin and Libau: ban Lagarde and Friederich.

Circa 46 anni fa, André Lefevere, richiamando la classificazione tripartita degli approcci traduttivi in Metafrasi, Parafrasi e Imitazione delineata da John Dryden, scrisse che “il traduttore, diversamente dallo scrittore di versioni e dall’imitatore, dovrebbe possedere la capacità di reinterpretare il testo di partenza in linea con l’interpretazione stabilita dall’autore originale” (1975: 392, traduzione). Lefevere scriveva in seguito agli sviluppi principali della teoria letteraria nel ventesimo secolo, con particolare riferimento al concetto di fallacia intenzionale proposto da Wimsatt e Beardsley e alla dichiarazione sulla morte dell’autore avanzata da Barthes, che produssero un trasferimento delle dinamiche di potere negli incontri letterari dall’autore al lettore. Nella sua affermazione, tuttavia, non traspare alcuna indicazione secondo cui questo trasferimento abbia avuto luogo, né si lascia spazio alla creatività traduttiva non vincolata dall’autorità autoriale. Questo scollamento fra la teoria letteraria e gli studi sulla traduzione è un problema continuo sia per la pratica della traduzione sia per lo studio accademico della stessa. Le libertà che sono state accordate da tempo ai lettori, ovvero l’interpretazione, la ricontestualizzazione, la lettura politica e la co-costruzione cognitiva e creativa, troppo spesso richiedono ancora una giustificazione nel mondo della pratica traduttiva. L’infinita reiterazione di triti tropi “invarianti” provoca risposte polemiche, alla base delle quali risiede una certa frustrazione (cfr. Contra Instrumentalism di Lawrence Venuti).
Questa conferenza prenderà come punto di partenza il fatto incontrovertibile che la traduzione è creativa. Passerà in rassegna i recenti stimoli nei Translation Studies anglofoni che rafforzano e promuovono la creatività della traduzione e considererà come i professionisti in tale contesto stiano aprendo le porte alla pratica e alla sua indiscutibile creatività per un maggiore apprezzamento del pubblico.