Fico nella traduzione

Mentre il tema del lessico osceno nella commedia antica è argomento largamente trattato sul piano degli studi [basti pensare a saggi capitali come Henderson (1991) e Saetta Cottone (2005)], il suo statuto all’interno delle traduzioni italiane è questione ben meno risolta. I giochi lessicali e verbali che rimandano ad ambiguità di ambito sessuale vengono non di rado depotenziati, quando non del tutto disinnescati attraverso “l’onnipresenza di verbi e sostantivi eufemistici” [Capra (2010), cfr. anche Edwards (1991)].

Tale fenomeno è legato non tanto a una generica reticenza dei traduttori, quanto piuttosto a un’insoluta ambiguità nel destinatario della traduzione teatrale [Condello (2012)]: quest’ultima viene vista da un lato come una guida scritta per comprendere il testo antico, con l’aiuto di corpose note a piè di pagina [Pieri (2009)], dall’altro come una partitura pensata per una fruizione orale e per la recitazione. Nel primo caso (che è il più frequente nelle traduzioni pubblicate per le più rilevanti case editrici italiane a partire dagli anni ’80) il traduttore si astiene dal trovare un corrispettivo del doppio senso comico nella lingua di destinazione, relegando alla nota il compito di illustrare la natura dell’allusione. Nel secondo caso (si vedano, come esempio più significativo, i libretti pubblicati dall’INDA), il traduttore può decidere di delegare parte della portata oscena della battuta all’aspetto mimico e attorale.

Σῦκον è esempio di una quasi totale sovrapposizione metaforica tra il greco e l’italiano, e permette per questo una resa traduttiva immediata ed efficace: laddove il fico indica l’organo sessuale femminile (Pax 1352), nella resa italiana non emergono difficoltà (si veda: «lei ha la fica dolce» di Cantarella; «dolce è la fica di lei» di Mastromarco; «dolce fica lei ha», di Marzullo; «(quello di lui è grande e grosso) quella di lei dolcissima» di Paduano).

In Ec. 707-709, la metafora è meno evidente (si vedano la sezione 1 e la sezione 2) e anche le traduzioni paiono non del tutto limpide: mentre alcuni si sforzano di traslare l’idea di un fico ‘doppio’ secondo l’originale δίφορος συκῆ (si veda Cantarella: «prendetevi una foglia di fico bifero .. e fatevelo in mano»; Del Corno «e voi intanto il doppio fico / con la mano vi menate»), altri preferiscono rendere più diretta e perspicua l’immagine («mentre il bello si fruga la bottega, fa ciao con l’altra mano e si scappella: ed è subito sega» di Capra; «voi intanto afferrate in mano la capocchia e menatevelo» di Marzullo).

Maddalena Giovannelli © 2016