Insulto
Sykon | Σῦκον
Dalle numerose metafore agricole per gli organi sessuali maschili e femminili che sono presenti in Aristofane emerge uno dei tratti che caratterizzano la commedia greca nella sua fase arcaica: la libera espressione dell’oscenità. Una peculiarità che isola il linguaggio della commedia ostacolandone non a caso la ricezione successiva, che si dispiega dalla produzione letteraria successiva, all’erudizione tarda, alle traduzioni contemporanee. Attorno ad un cospicuo numero di termini (oltre σῦκον «fico», si veda la voce pudenda per ἀμοργίς, «tessuto di lino»; βάλανος, «ghianda»; ἐρέβινθος, «cece»; κριθή, «orzo», κόκκος, «chicco»; εὕστρα, «orzo abbrustolito»; μύρτον, «bacca di mirto»; ῥοδόν, «rosa»; βλήχων, «puleggio»;κῆπος, «giardino»; λόχμη, «boscaglia»; νάπος, «valle boscosa»; πεδίον, «pianura»:) Aristofane offre metafore sessuali che stentano a sopravvivere dopo l’Archaia. Significativo, in particolare, è il caso di ἐρέβινθος, «cece», per il fallo eretto che non produce, nella letteratura successiva, una significativa risemantizzazione, a fronte invece di una presenza notevole nelle commedie dell’Archaia. Allo stesso modo, l’erudizione antica denota difficoltà non lievi nel comprendere il linguaggio osceno della commedia: gli scolii non di rado immaginano metafore oscene dove esse non sono presenti e per converso mancano di notare evidenti allusioni. Non sono liberi dalle difficoltà degli antichi i traduttori moderni: in palese contrasto con l’acceso interesse per le dinamiche del linguaggio osceno che emerge dalla letteratura secondaria, le traduzioni italiane si rifugiano spesso nell’eufemismo o in una traduzione letterale che, dove manca una corrispondente risemantizzazione dell’elemento vegetale in italiano, depotenzia il turpiloquio comico.
Mario Regali © 2016