La presenza costante del fallo scenico e degli attributi sessuali femminili nei body costumes comici [cfr. Compton-Engle (2015, 17-38)] indica come l’oscenità fosse un elemento essenziale e caratterizzante l’archaia. Forse anche a causa dell’immediato impatto osceno del codice visivo, il registro linguistico offre invece una costante tendenza all’innovazione rispetto all’uso comune, con numerosi fenomeni di trascinamento linguistico di termini che, nel nuovo contesto metaforico costruito dal poeta comico, assumono nuovi significati allusivi alla sfera sessuale [cfr. Henderson (1991, 2)].
Nella rassegna offerta da Henderson (1991, 117-120), il primo termine agricolo connotato in senso osceno nell’archaia è συκῆ «albero di fico» per l’organo maschile, σῦκον «frutto di fico» per l’organo femminile. La risemantizzazione di σῦκον come metafora sessuale per l’organo femminile compare, nel panorama della commedia antica, solo nell’imeneo cantato dal Coro che chiude la Pace di Aristofane (v. 1352). Il canto nuziale per Trigeo e Opora termina quindi con l’immagine del frutto di fico che simboleggia ad un tempo il sesso femminile e l’abbondanza conquistata da Trigeo grazie all’utopia che ormai ha trionfato. Un parallelo sarebbe però offerto dalle Tesmoforiazuse (v. 1114) secondo Sommerstein (1994, 153) che ha proposto la correzione in σῦκο dell’ametrico σκύτο del codice ravennate (Ravennas 429, X sec.). Se accettata [come in Mastromarco-Totaro (2006, 87, 538), mentre Austin-Olson (2004, 45) mantengono la congettura κύστοdello Scaligero], la congettura di Sommerstein attribuirebbe anche all’Arciere scita, che solleva la veste del Parente-Andromeda, l’impiego del fico come metafora sessuale per l’organo femminile (1114: σκέψαι τὸσῦκο. μὴ τι μίκκονπαίνεται; «cuarta sua […] fica. Ti sempra piccola?»). La congettura di Sommerstein (1994, 230) ha il merito di restituire la sapidità del gioco comico sulla scarsa competenza linguistica dello Scita, che indica il membro virile del Parente con il neutro, attestato invece nella Pace per l’organo femminile, al posto del corretto συκῆ «l’albero di fico», attestato nelle Ecclesiazuse (vv. 707-709) nel nesso δίφορος συκῆ [cfr. Vetta (1989, 212) e Mastromarco-Totaro (2006, 87)]. Una simile accezione metaforica potrebbe essere attestata nell’archaia anche per ἰσχάς «fico secco», termine che negli Acarnesi (vv. 801-803) è forse al centro di un gioco osceno (cfr. Olson 2002, 273-274; vd. infra).
La foglia di fico (θρῖον), sempre al plurale, non sembra essere impiegata in senso metaforico negli Acarnesi 1102 (cfr. Olson 2002, 339: «But Lam, may want his salt fish wrapped up simply to keep it from being damaged as he carries it about») come sostiene Henderson (1991, 118). Nel discorso di Prassagora nelle Ecclesiazuse, invece, il senso osceno è palese, trascinato di nuovo dalla metafora canonica del δίφορος συκῆ (v. 707). Per Henderson (1991, 118), anche il verbo ἐνθριόω «essere avvolti in foglie di fico» avrebbe un significato sessuale, ma nel passo della Lisistrata il coro degli Anziani impiega il verbo solo per descrivere l’abbandono dei vestiti (cfr. Mastromarco-Totaro 2006, 374). Appare di maggiore plausibilità la proposta di Taillardat (1965, 134), che scorge qui una metafora gastronomica che poggia sull’accezione di θρῖον quale «ripieno arrostito in foglie di fico»: il corpo degli anziani non deve essere avvolto come il ripieno del θρῖον.
Mario Regali © 2016