Da la qual par ch’una stella si mova.
Guido Cavalcanti.
Era un giorno di festa, e luglio ardea
Basso in un’afa di nuvole bianche:
Ne la chiesa lombarda il dì scendea
Per le bifori giallo in su le panche.
5 Da la porta arcuata, che i leoni
Millenni di granito ama carcar,
Il rumor de la piazza e le canzoni
E i muggiti veniano in fra gli altar.
La messa era cantata, ed i boati
De l’organo chiamavano il Signore.
In fondo de la chiesa due soldati
Guardavan fisi ne l’altar maggiore.
Tra quella festa di candele accese,
Tra quella pompa di broccati e d’òr,
15 Ei pensavan la chiesa del paese
Nel mese di Maria piena di fior.
Sotto la volta d’una bruna arcata,
In tra due rosse colonnette snelle,
Stava la bella donna inginocchiata,
20 Giunte le mani, senza guanti, belle.
Umido a la piumata ombra del nero
Cappello il nero sguardo luccicò,
E in un lampo di fede il suo mistero
Quel fior di giovinezza a Dio mandò.
25 Io vidi, come un dì Guido vedea,
Uscir da quei levati occhi una stella,
E da i labbri, che a pena ella movea,
Un’alata figura d’angelella.
La stella tremolando un lume pio
30 Sorridea, sorridea, non so a che;
Salìa la supplicante angela a Dio
Chiamando in atti ‒ Signor mio, mercé. ‒
Si volse il prete a dire: Ite. Potente
Ruppe il sole a le nubi sormontando,
35 E incoronò d’un’iride scendente
La bella donna che sorgea pregando.
Corse tra le figure bizantine
Vermiglio un riso come di pudor;
Ma la Madonna le pupille chine
40 Tenea su ’l figlio, e mormorava ‒ Amor. ‒