Io son, Dafne, la tua greca sorella,
Che vergin bionda su ’l Peneo fuggìa
E verdeggiai pur ieri arbore snella
Per l’Appia via.
5 Tra i cippi e i negri ruderi soletta
Sotto il ciel triste io memore sognava
D’un tumulo ignorato in su la vetta,
E riguardava.
Guardava i colli ceruli del Lazio,
10 E a l’aura che da Tivoli traea
Inchinandomi i fulgidi d’Orazio
Carmi dicea.
Mi udivano gli uccelli, e saltellanti
Per l’aer freddo su i nudati rami
15 A le rose ed al maggio e al sole e a i canti
Facean richiami.
Ahi sempre infesti a me i poeti fûro!
M’invidiò Enotrio a’ sassi antichi e pii,
E tra le mani del poeta duro
20 Inaridii.
Avvolta in serto, oh foss’io stata ombrella
A la tua fronte! su la chioma nera
Come esultato avrei, dolce sorella,
Io verde e altera!
25 E ne la lingua che tra noi s’intende,
China a l’orecchio puro e delicato,
Gli elleni amori e l’itale leggende
T’avrei cantato.
L’occhio tuo mesto a le fraterne note
30 Sorriso avrebbe con ardor gentile,
E rifiorito de le molli gote
Sarìa l’aprile.