Ricordo. Fulvo il sole tra i rossi vapori e le nubi
calde al mare scendeva, come un grande clipeo di rame
che in barbariche pugne corrusca ondeggiando, poi cade.
Castiglioncello in alto fra mucchi di querce ridea
5 da le vetrate un folle vermiglio sogghigno di fata.
Ma io languido e triste (da poco avea scosso la febbre
maremmana, ed i nervi pesavanmi come di piombo)
guardava a la finestra. Le rondini rapide i voli
sghembi tessevano e ritessevano intorno le gronde,
10 e le passare brune strepïano al vespro maligno.
Brevi d’entro la macchia svariavano il piano ed i colli,
rasi a metà da la falce, in parte ancor mobili e biondi.
Via per i solchi grigi le stoppie fumavano accese:
or sì or no veniva su per le aure umide il canto
15 de’ mietitori, lungo, lontano, piangevole, stanco:
grave l’afa stringeva, l’aër, la marina, le piante.
Io levai gli occhi al sole —O lume superbo del mondo,
tu su la vita guardi com’ebro ciclope da l’alto!—
Gracchiarono i pavoni schernendomi tra i melograni,
20 e un vipistrello sperso passommi radendo su ’l capo.
1 Luglio 1880.