Rossella Cipro
Dallo scaffale della libreria, due occhi incorniciati da una spessa montatura nera ricambiano lo sguardo di chi passa indaffarato e disattento, aspettando che qualcuno si fermi a indagare le pagine che si nascondono dietro la copertina. Il titolo è Stoner, l’autore è John Williams, la traduzione è di Stefano Tummolini e il volume che finalmente avete in mano è una ristampa del 2019 edita da Fazi Editore, con una postfazione di Peter Cameron tradotta da Giuseppina Oneto.
La prima prima edizione di questo romanzo è del 1965. Stoner non fu accolto come meritava, vendendo a malapena duemila copie. Quando nel 2003 venne ristampato dalla New York Review Books oltrepassò la vetta delle cinquantamila copie vendute: fu letteralmente un successo.
È la storia di un uomo come tanti, un anonimo individuo la cui vita sembrerebbe avere poco o nulla di speciale. William Stoner è nato nel 1891 a Booneville, un piccolo paesino del Missouri, a pochi chilometri da Columbia, la sede dell’università che determinerà le sue sorti e che formerà la sua sensibilità.
Cresciuto in un’umile famiglia contadina, William Stoner ha dedicato la sua infanzia e la sua adolescenza alla cura degli animali e al lavoro nei campi, sempre pronto ad aiutare i suoi genitori.
Di temperamento placido e mansueto, non era mai riuscito a immaginare un futuro diverso dal suo presente, finché, all’età di diciannove anni, suo padre non gli lascia molta scelta e, cosa del tutto inaspettata, lo fa iscrivere alla facoltà di agraria della Columbia University. Ed è proprio qui che comincia il suo viaggio.
William Stoner non ha nulla da perdere. La sua esistenza è sempre stata piatta, dal sapore stantio e dall’odore acre. A diciannove anni è un giovane già invecchiato: i corsi dell’università sono un impegno che Stoner accoglie così come ha accolto il lavoro nella fattoria dei genitori prima e in quella dello zio Foote poi: senza controbattere, fa il suo dovere come meglio può, portando a termine ogni mansione. Di giorno lavora, mentre di notte ne approfitta per studiare.
Anche il suo aspetto appare sfiorito: come il personaggio di un cartone animato, indossa sempre lo stesso completo, così da rendersi riconoscibile quando si sposta per i cortili e i corridoi dell’Università.
La svolta nella sua vita arriva quando comincia a seguire le lezioni di un corso obbligatorio per laurearsi in Scienze alla facoltà di Agraria: letteratura inglese. Durante la prima lezione, il Professor Archer Sloane legge loro un sonetto di Shakespeare. Per William Stoner quei versi sono solo segni messi in fila in un ordine che non ha alcun significato, ma in poco tempo ne rimane affascinato e la letteratura diventa lo scopo della sua esistenza. In poco tempo stringe un forte legame con Sloane e comincia a partecipare a eventi letterari frequentati da personaggi di spicco.
È proprio durante uno di questi eventi che conosce la sua futura moglie, Edith, da cui avrà una figlia, Grace. Proprio la sua nascita segnerà il declino di questo matrimonio che pesa come un masso sul corpo e sull’anima di Stoner. D’altronde, lui era sempre stato un uomo che ha ignorato i suoi impulsi e i suoi desideri, mettendosi al servizio degli altri, apparentemente impossibilitato a compiere una scelta per se stesso. Ma la vita trova il modo per metterlo davanti alle sue responsabilità: di fronte alla guerra, sceglie di non combattere; decide di farsi passare la storia davanti, come uno spettatore. La narrazione eterodiegetica (presentata da un narratore esterno alla vicenda che racconta i fatti in terza persona singolare, ndr.) accelera il ritmo di una vita che scorre lentamente senza pretese, scandendo i momenti salienti di un’esistenza inerziale. Anche se sembra che nulla sia cambiato, ci si accorge che niente è ormai più come prima.
L’addio a Sloane, il dottorato e la cattedra di Letteratura Inglese sono i primi avvenimenti che riempiono di un certo senso la vita di Stoner. L’arrivo di Katherine Driscoll dà una svolta alla sessualità del protagonista e all’erotismo che permea invisibile il romanzo. L’adolescenza di Grace, ormai cresciuta, lo preoccupa ma non lo scandalizza. Stoner accetta tutto con impassibile positività, senza rancore o aspettative. Ogni avvenimento è un’esperienza in più da spuntare dalla lista delle cose da fare. Addirittura, Stoner prende la sua stessa morte come un dovere: quando scopre che gli resta poco tempo, accetta quest’ultimo compito.
Le ultime pagine rendono con dolce lentezza gli ultimi istanti di vita di un uomo mentre vede scomparire il mondo davanti ai suoi occhi. Proprio in quell’istante, Stoner si rende conto della potenza e dell’importanza che ha avuto la sua umile, silenziosa, unica e inimitabile vita.
Diviso tra il tormento del fallimento e la placida rassegnazione al corso degli eventi, William Stoner incarna la difficoltà delle donne e degli uomini comuni di sentirsi all’altezza in un mondo che richiede di mostrarsi sempre migliori, paladini di un’umanità votata al progresso, al profitto e alla velocità.
In un mondo che corre, Stoner si prende i suoi tempi: vive in età adulta la sua storia d’amore; scopre in punto di morte il senso della sua esistenza; aspetta fino alla fine per sorridere soddisfatto pensando al suo operato. La vita gli scivola dalle mani come il libro che tiene tra le dita. Nel momento in cui Stoner esala il suo ultimo respiro, il romanzo termina e nella stanza si propaga il silenzio.
John Williams, come Joyce nel suo Ulisse, ha regalato ai suoi lettori e alle sue lettrici la dimostrazione che anche la più comune delle storie può essere un'emozionante e irripetibile avventura.
Foto 1 da fazieditore.it (data di ultima consultazione: 23/08/24)
Foto 2 da arkansasonline.com (data di ultima consultazione: 23/08/24)