Stevie Wonder si racconta: Talking Book

Andrea Peressini

copertina stevie wonder talking book - andrea peressini - canadausa

È il 28 ottobre del 1972, facciamo uno sforzo e immaginiamo Stevie Wonder che aspetta impaziente l’ora per bersi una birra con gli amici. I presupposti ci sono tutti. Sono quasi le 16, il cielo è terso e il sole scalda fino a 20 gradi (siamo a Los Angeles, eh! Non a Cortina). Una vera goduria. Stevie Wonder è irrequieto al tavolo del bar e le mani ancora si muovono a tempo, suonano a memoria Superstition, forse a mo' di scongiuro. Nel corso della giornata la Motown, la sua casa discografica, gli pubblicherà Talking Book, album dal titolo profetico. Il rilascio dell’album, di questo album nello specifico e non un altro, non è cosa da poco e Stevie Wonder lo sa. Lo sente che questo lancio di moneta, se tira il vento giusto, gli può cambiare la vita. Del resto lui (superstizioso) aspetta la sua birra e si sforza di non pensarci.

In questi anni l’editoria ha (ri)scoperto gli audiolibro, che - semplificando al massimo - permettono agli utenti di risparmiare denaro (cosa non da poco) e leggere di più (mi pare serva come il pane). Equilibrio perfetto. Questo non c’entra nulla con Stevie Wonder, ma il titolo dell’album significa letteralmente “libro parlante (audiolibro, per l'appunto). Allora è possibile interpretare i brani in esso incisi proprio secondo questa logica: sono delle storie musicate di cui Stevie Wonder è il narratore principale. Ma qual è l'argomento di queste narrazioni? In effetti, è proprio lui che, cantando, parla implicitamente di se stesso e occupa quindi le posizioni di soggetto dei brani (attenzione però, siamo noi ascoltatori che dobbiamo interpretare l'opera al fine di ritrovarvi quei percorsi di senso leciti in essa iscritti, ma che potrebbero dapprincipio risultare occultati). Quindi, in questo audiolibro, Wonder si racconta, concependo la musica come un mezzo autobiografico. Sempre in Talking Book, Stevie può finalmente sperimentare nuove tipologie di musica e può godersi una libertà compositiva che mai gli era stata concessa. Scopriamo dunque un musicista completo (seppur molto giovane), pronto per il grande pubblico, capace di suonare praticamente ogni strumento, soprattutto quello che l’ha reso famoso: l’Honher Clavinet C. Talking Book è quel prodotto che definirà una volta per tutte lo stile di Wonder.

stevie wonder al clavinet - andrea peressini - canadausa

Ma avviciniamo la puntina al disco e ascoltiamo. Ci lambiscono subito le note dolci di You Are the Sunshine of my Life, un pezzo che fa le fusa e ammicca. Il brano fila via liscio come l’olio, anche grazie alla comparsata di James Gilstrap e Lani Groves che cantano un verso ciascuno, seguiti poi dallo stesso Stevie Wonder che si prende la scena. Non ci vuole molto perché i synth inizino a gorgheggiare: con Maybe Your Baby abbiamo già a che fare con uno Stevie libero da qualsivoglia vincolo, che gioca a fare il funky-man accompagnato da cori perfetti. Ci sono almeno altre due canzoni da segnalare. La prima, una hit immortale con un pattern ritmico assurdo che Stevie Wonder deve al genio di Jeff Beck (che suona la chitarra nella trasognata Lookin’ For Another Pure Love), è Superstition, con il riff iniziale - dove Stevie Wonder al Clavinet raggiunge il suo massimo - che si trasforma presto in un mantra e fa scuola a tutta la musica disco anni Novanta: pezzo visionario. Stevie però non è solo amore tribolato e nostalgia per il partner perduto, e allora Big Brother esplicita le pressioni di un governo che soffoca i propri cittadini con la sua caratteristica intrusività (Orwell cosa direbbe?). Nota di merito per i passaggi di armonica a bocca, un altro di quegli strumenti distintivi di Stevie Wonder.

Grazie a questo colpo di genio, a questo album così perfettamente riuscito, Stevie Wonder abbandonerà per sempre le vesti dell’enfant prodige per assurgere al ruolo di essere perfetto.

 

Foto 1 e foto 2 da rollingstone.it (data di ultima consultazione: 04/05/2022)