Rompere il silenzio: narrare l’Olocausto a fumetti prima di Maus

Mattia Arioli

Sin dai primi anni successivi alla Seconda guerra mondiale, numerose forme artistiche hanno contribuito a elaborare e documentare l’esperienza dei campi di concentramento. Queste opere sono diventate nel tempo dei veri e propri mediatori di memoria a cui è stato affidato l’importante compito di tramandare il ricordo dell’evento a future generazioni.

 

1. La memoria disegnata

2. Fumetto e memoria

3. “Master Race” e la sfida di rappresentare l’Olocausto negli anni ‘50

4. Olocausto e supereroi

5. Il dopo Maus: alcune rappresentazioni contemporanee

6. Bibliografia

 

1. La memoria disegnata

Le fotografie dei campi hanno certamente avuto un ruolo importante nel documentare quanto accaduto e fissare quelle immagini all’interno della coscienza collettiva. Tuttavia, non tutto ciò che accadde in quel contesto fu documentato su pellicola. Questi vuoti sono in parte riempiti dagli schizzi e dai disegni prodotti dagli internati. Questi artefatti sono molto diversi tra loro in termini estetici: alcuni sono abbastanza primitivi, prodotti da persone dotate di poca dimestichezza col mezzo; altri invece sono opere create da persone dotate di grande artistico.

Tra gli artisti che hanno documentato l’orrore dei campi attraverso il disegno si può citare il giovane pittore polacco Mieczysław Kościelniak. Egli fu arrestato e inviato ad Auschwitz nel 1941 dove gli fu tatuato il numero 15261. Fu salvato due volte dalla morte dai suoi amici dottori che lo impiegarono come inserviente. Il suo talento artistico apprezzato dai tedeschi (che gli commissionarono dei ritratti) e il suo non essere ebreo l’aiutarono a sopravvivere a quell’inferno. Lo stretto contatto con la sofferenza umana stimolò in lui la volontà di ritrarre di nascosto quella realtà terrificante. Durante la sua prigionia produsse circa 300 disegni (oggi conservati al museo statale di Auschwitz-Birkenau), raffiguranti la vita quotidiana nei campi di concentramento. 

Tra le opere ritraenti i campi si possono citare anche i disegni dell’artista ceco (naturalizzato americano) Alfred Kantor, raccolti nel 1971 nel libro The Book of Alfred Kantor. Alcuni di questi disegni furono prodotti dall’artista durante la sua prigionia nei campi di concentramento e sterminio di Theresienstadt, Auschwitz e Sachsenhausen mentre altri furono creati dopo la liberazione in quanto le produzioni artistiche non erano incoraggiate nei campi. 

È utile ricordare infine anche gli acquerelli prodotti da Dina Babbitt (nata Gottliebova), una pittrice ceca naturalizzata americana a cui Josef Mengele ordinò di dipingere vari internati di etnia rom e sinti. Di questi acquerelli, ne sono stati rinvenuti soltanto sette, uno dei quali raffigura il corpo di una donna rom, vittima di sperimentazioni da parte dei nazisti. Questi lavori furono oggetto di un contenzioso tra l’autrice e il museo statale di Auschwitz-Birkenau riguardante il possesso delle opere.

2. Fumetto e memoria

In questa volontà di narrare l’inenarrabile per immagini, un ruolo fondamentale è stato svolto anche dal fumetto, che raccoglie simbolicamente l’eredità lasciata da questi artisti.  L’esempio più celebre è probabilmente Maus di Art Spiegelman, che vinse nel 1992 il Premio Pulitzer per la letteratura. L’opera di Art Spiegelman ha certamente avuto il merito di consacrare un linguaggio capace di dare vita a opere dalla straordinaria capacità espressiva ed emozionale, in cui  si fondono documentarismo, autobiografismo e creatività artistica. Il debito verso queste prime rappresentazioni disegnate è riconosciuto dallo stesso Spiegelman in MetaMaus (2011). 

Il rapporto tra Olocausto e fumetto non deve essere, tuttavia, ridotto a una mera volontà di recuperare e riappropriarsi di queste testimonianze, seppure quest’ultime costituiscano un importante serbatoio da cui attingere. Infatti, già nel 1942 il fumetto viene utilizzato come un linguaggio attraverso il quale narrare l’esperienza nei campi. Ad esempio, Horst Rosenthal durante la sua prigionia nel campo di concentramento francese di Gurs disegnò e scrisse un albo intitolato Mickey au camp de Gurs in cui il celebre personaggio disneyano diventa un internato. La paternità disneyana del personaggio è ironicamente riconosciuta già nella copertina dove l’autore precisa “Publié Sans Autorisation de Walt Disney”. 

 

Horst era nato a Breslavia nel 1915 da una famiglia ebrea e fuggì dalla Germania nazista nel 1933 a causa delle persecuzioni razziali. Tuttavia, la sua decisione di fuggire in Francia non si rivelò fortunata. Fu internato dalla polizia francese in quanto straniero al momento della dichiarazione di guerra della Germania alla Francia. A causa dell’occupazione nazista e dell’instaurazione della Repubblica di Vichy, Horst Rosenthal rimase internato a Gurs (in quanto ebreo) per poi essere trasferito successivamente ad Auschwitz, dove morì nel settembre del 1942. La sua opera fu pubblicata nel 2014 a Parigi dall’editore Calmann-Lévy.

Il fumetto ha avuto, inoltre, il merito di introdurre le giovani generazioni all’argomento, soprattutto negli Stati Uniti, dove il dibatto pubblico sull’Olocausto si aprì soltanto dopo il processo ad Adolf Eichmann del 1961. A questo proposito, è interessante ricordare come l’adattamento di Broadway di Il Diario di Anna Frank andato in scena dal 1955 al 1957 e la trasposizione cinematografica del 1959 avessero eliminato la maggior parte dei riferimenti testuali all’identità etnica della ragazza e della sua famiglia.

 

 

Questo atteggiamento si riscontra anche in molti fumetti di guerra prodotti durante gli anni ‘50 e primi anni ‘60. Sebbene quest’ultimi avessero spesso i nazisti come antagonisti delle loro storie e menzionassero talvolta l’esistenza di campi di prigionia e/o sterminio, l’etnia, l’orientamento politico o sessuale dei prigionieri non erano solitamente problematizzati. A questo riguardo, ad esempio, nel contesto europeo La Bête est morte: la guerre mondiale chez les animaux (1944) di Edmond-François Calvo e Victor Dancette fu pubblicata appena qualche mese dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Il fumetto racconta il conflitto attraverso metafore animali, menzionando solo di sfuggita l’esistenza dei campi di concentramento. 

Tuttavia, queste prime opere furono delle false partenze in quanto la narrazione a fumetti dell’Olocausto rimase a lungo sottotraccia (anche a causa della censura a cui fu sottoposto il medium negli anni ‘50). Nonostante la diffusa reticenza a trattare il tema, alcuni autori (anche nel contesto americano) cercarono comunque di introdurre l’argomento a giovani lettori in forme più o meno dirette. Questa volontà può essere facilmente ricondotta al fatto che (almeno negli USA) gli ebrei abbiano contribuito fortemente alla nascita e prosperità del medium. Infatti, non fu un caso che un fumetto interventista come Captain America fosse stato creato da due ebrei, Joe Simon e Jack Kirby.

La memoria dell’Olocausto iniziò ad avere trazione soltanto a partire dagli ’80 e ’90 con la nascita e sviluppo dei cosiddetti Memory Studies

3. “Master Race” e la sfida di rappresentare l’Olocausto negli anni ‘50

 

Nel 1954 il Comic Code Authority (CCA) portò alla cancellazione di numerose testate di fumetti e alla censura dei suoi contenuti: immagini violente e raffigurazioni di sangue furono bandite. Questo pose ovviamente delle restrizioni riguardo cosa potesse essere rappresentato. Tuttavia, nel periodo che precede la creazione del CCA è possibile trovare storie a fumetti in cui traspare un sentimento di rivalsa, se non addirittura vendetta, delle vittime nei confronti dei vecchi oppressori. Adottando i codici dell’horror, alcune di queste storie, tra cui “The Tattooed Heart!” (1953) di Harry Harrison, narrano le vicende di gerarchi nazisti tormentati dai fantasmi delle proprie vittime. 

Questo tema fu rielaborato in modo più maturo da Bernie Kriegsten che pubblicò nell’aprile del 1955 il racconto “Master Race”. Questa storia breve apparsa sulla serie Impact #1 dell’editore EC Comics racconta, attraverso uno stile cinematografico dinamico e coinvolgente, l’incontro accidentale, nella metropolitana di New York, fra Reissman, un generale nazista rifugiatosi in America dopo la fine della guerra, e un uomo misterioso vestito di nero. L’incontro fortuito innesca in Reissman una serie di flashback che permettono al lettore di comprendere le ragioni dell’ansia che attanaglia l’ex generale nazista e il modo in cui la sua indifferenza verso le sofferenze inflitte a una minoranza del suo paese si sia trasformata progressivamente in complicità nei confronti del regime nazista di cui inizialmente non condivideva la linea politica.

Mentre le immagini ripercorrono le atrocità commesse dal nazismo, attraverso l’uso delle figure dell’enumerazione e del climax, il testo contenuto nelle didascalie presenta una serie di domande retoriche volte a mettere in discussione il ruolo (attivo e/o passivo) avuto da Reissman in ogni singolo evento. L’analessi termina con la liberazione da parte dei Russi del lager diretto da Reismann. In questo contesto, una delle vittime gli giura vendetta. Il lettore realizza che l’uomo vestito di nero che terrorizza Reismann non è altro che il prigioniero che l’aveva minacciato anni prima.

Il fumetto si conclude con il tentativo di Reismann di fuggire all’uomo vestito di nero. Tuttavia, durante la fuga forsennata che non gli fa percepire i pericoli circostanti, Reisman verrà investito da un treno della metro.

 

Data la grande importanza riconosciuta al tema, Bernie Kriegsten lavorò al progetto per ben quattro settimane, ovvero due in più rispetto a quelle in cui era solito terminare i propri lavori. Conseguentemente, il lavoro non fu consegnato per tempo e non riuscì a essere inserito nella serie Crime Suspenstories, come era stato originariamente pianificato. Inoltre, il fumetto era più lungo di quanto commissionato. Il formato editoriale adottato dalla casa EC Comics era di una storia principale di otto pagine, seguita da varie storie più brevi. Quella di apertura era generalmente affidata a un unico artista. L’editore Feldstein non ritenne opportuno affidare la storia di apertura a un artista relativamente nuovo in quanto non voleva incrinare così il rapporto con gli altri artisti. Per queste ragioni, la storia “Master Race” fu pubblicata soltanto un anno dopo la sua consegna. 

Questo ritardo impattò negativamente la ricezione dell’opera da parte del grande pubblico. Infatti, in quell’anno di iato tra la consegna (aprile 1954) e la pubblicazione (aprile 1955), l’industria del fumetto subì due duri colpi. Il primo fu la pubblicazione di Seduction of the Innocent dello psichiatra Fredric Wertham, libro in cui i fumetti venivano condannati come maggiori responsabili della delinquenza giovanile. Il secondo evento fu la U.S. Senate’s Subcommitee to Investivate Juvenile Delinquency (aprile-giugno 1954) ovvero una sottocommissione istituita dal Senato degli Stati Uniti per indagare sul problema della delinquenza giovanile e che trovò nel fumetto un perfetto capro espiatorio. Questi due eventi portarono alla chiusura di quasi tutte le serie prodotte dalla EC Comics. L’unica a sopravvivere fu MAD in quanto fu riconvertita in un magazine. A causa della crociata contro i fumetti e la conseguente censura, molti distributori si mostrarono restii a vendere i prodotti della EC Comics, ora diventata controversa e sottoposta ad attenta osservazione da parte delle istituzioni. Conseguentemente, la distribuzione di Impact #1 su cui appariva “Master Race” fu relativamente limitata.   

La storia prodotta da Bernie Kriegsten è forse una delle più interessanti dell’epoca, grazie alle sue innovazioni grafiche e l’adozione di un linguaggio quasi cinematografico. Non stupisce quindi che la lettura di questo fumetto segnò fortemente il giovane Art Spiegelman. Tuttavia, trascorsero più di vent’anni per vedere il primo nucleo di storie da cui prenderà vita Maus. Questo ritardo è dovuto principalmente a due fattori: la censura a cui fu sottoposto il medium e la reticenza della società americana ad affrontare il tema dell’Olocausto. Non fu un caso che il tema tornò a riemergere gradualmente sulle pagine dei fumetti non appena le maglie del CCA iniziarono ad allentarsi.

4. Olocausto e supereroi

 

L’Olocausto non apparve soltanto nelle serie a fumetti dal tono più realista, ma anche sulle pagine dei supereroi, probabilmente il genere più iconico del medium. A partire dalla fine degli anni ‘60 fino ai giorni nostri, alcuni aspetti dell’Olocausto iniziarono a percolare all’interno delle storyline di alcuni dei più celebri supereroi, tra cui Captain AmericaBatman e gli X-Men.

Nonostante l’estetica di alcune di queste opere possa essere definita kitsch, non deve essere sottovalutata la loro importanza culturale in quanto introdussero giovani lettori all’argomento attraverso storie di intrattenimento. Negli anni ’70 i fumetti avevano un seguito importante di lettori fedeli. Captain America vendeva circa 170.000 copie al mese, Batman quasi il doppio. Ovviamente, questi numeri non tengono in conto le copie prestate ad amici o fratelli, ovvero il bacino reale di lettori adolescenti che apprendevano per la prima volta di questo evento storico attraverso le pagine dei supereroi, dato che la discussione pubblica dell’Olocausto è un fenomeno relativamente nuovo negli Stati Uniti. Basti pensare che l’insegnamento di questa tragedia storica nelle scuole pubbliche americane inizia solo negli anni ‘90. 

Nel marzo del 1941, sulla copertina del primo numero di Captain America, l’eroe sferra ad Adolf Hitler un pugno sulla mascella. Nel marzo 1941, gli Stati Uniti non sono ancora entrati in guerra contro l’Asse e l’integrazione degli ebrei non è assolutamente un fatto scontato. Per questo, la copertina (congiuntamente all’origine ebraica dei suoi autori) suscitò reazioni tanto avverse da parte degli estremisti fascisti che Fiorello La Guardia, l’allora sindaco di New York, decise di mettere la sede dove lavoravano Simon e Kirby sotto protezione. In questo contesto, non stupisce dunque che Capitan America entrò in un campo di sterminio poche settimane dopo che l’armata rossa abbatté i cancelli di Auschwitz. Tuttavia in questa storia la Shoah restò interdetta all’intervento dei supereroi, testimoniando come i supereroi siano stati incapaci di prevenire tale orrore. 

Il primo intervento soprannaturale avviene in “Thou Shalt Not Kill” contenuto in Wired World Tales #8 (novembre 1972). La storia narra dell’uccisione nazista di comunità ebraica nell’Est Europa. Riecheggiando gli avvenimenti occorsi a Riga nel 1941, il fumetto mostra come gli ebrei fossero stati rastrelli e successivamente radunati all’interno di una sinagoga a cui i nazisti diedero fuoco in un secondo tempo. Tuttavia, durante il massacro, si anima un Golem gigante che esaudisce le preghiere delle vittime e si vendica dei nazisti e della profanazione della sinagoga. L’Olocausto fa la sua comparsa anche in “Batman: The Night of the Reaper” del 1971 in cui un sopravvissuto alla Shoah si vendica dei suoi vecchi carnefici. 

Tuttavia, è solo in Uncanny X-men #161 (settembre 1982) che l’Olocausto si lega per la prima volta alla storia di origine di un personaggio. In questo numero, Magneto accenna brevemente a Xavier di essere un sopravvissuto della Shoah dopo che quest’ultimo aveva notato il suo tatuaggio sul braccio. Questa relazione tra Magneto e la Shoah verrà ulteriormente sviluppata in X-Men: Magneto — Testament (2008-2009). 

Il quinto numero di questa serie è particolarmente interessante in quanto contiene una ristampa del fumetto The Last Outrage, in cui viene narrata la storia di Dina Babbitt e la controversia riguardante il diritto sulle sue opere prodotte ad Auschwitz. Ancora una volta il fumetto si dimostra uno strumento di denuncia e divulgazione.

5. Il dopo Maus: alcune rappresentazioni contemporanee

L’esplorazione dell’Olocausto attraverso il fumetto è diventata molto più comune a partire dagli anni ‘90, un trend probabilmente incentivato dai riconoscimenti letterari ottenuti da Maus di Art Spiegelman e dal fatto che quest’opera abbia dimostrato la maturità medium nel raccontare esperienze traumatiche complesse. Il medium è così diventato veicolo di testimonianze dirette, racconti postmemoriali e opere di finzione tra cui si possono citare We Are on Our Own di Miriam Katin (2006), I Was a Child of Holocaust Survivors (2007) di Bernice Eisenstein, Yossel di Joe Kubert (2015) e Judenhass (2008) di Dave Sim. Fuori dal canone nordamericano si possono menzionare tra gli altri Deuxième génération: ce que je n'ai pas dit à mon père (2012) di Michel Kichka, Triangle rose (2011) di Michel Dufranne, Nous n'irons pas voir Auschwitz (2011) di Jérémie Dres, Auschwitz (2000) di Pascal Croci e Stalag-XB  (2009) di Marco Ficarra.



6. Bibliografia

Calvo, Edmond-François e Dansette, Victor,  La Bête est morte: la guerre mondiale chez les animaux. Parigi: Gallimard, 1995 (1944).

Claremont, Chris, “Gold Rush!” In The Uncanny X-Men #161. New York: Marvel, 1982.

Croci, Pascal. Auschwitz. Veyrier Paquet, 2000.

Dres,Jérémie, Nous n'irons pas voir Auschwitz. Parigi: Cambourakis 2011  

Dufranne, Michel, Triangle rose. Toulon, Quadrants, 2011.

Eisenstein, Bernice. I Was a Child of Holocaust Survivors. Londra: Picador, 2006.

Ficarra, Marco, Stalag-XB. Padova: Becco Giallo.

Harper, Steve e Adams, Neal, “Thou Shalt Not Kill”. In Weird Tales #8. New York: DC.

Harrison, Harry, “The Tattooed Heart!” In Beware! Terror Tales #4. New York: Fawcett Comics, 1953.

Kantor, Alfred, The Book of Alfred Kantor. New York: McGraw-Hill, 1971. 

Katin, Miriam, We Are on Our Own. Montreal: Drawn & Quarterly, 2006.

Kichka, Michel. Deuxième génération: ce que je n'ai pas dit à mon père. Parigi: Dargaud, 2012.

Kotek, Joël e Pasamonik, Didier, Mickey à Gurs: Les carnets de dessin de Horst Rosenthal. Parigi : Calmann-Lévy, 2014 (1942).

Krigstein, Bernie, “Master Race” In Impact #1. New York: EC Comics, 1955.

Kubert, Joe, Yossel, April 19, 1943. New York: DC Comics, 2003.

Larry, Gordon, “Dina Gottliebova Babbitt dies at 86; Auschwitz survivor fought to regain portraits she painted there”, 2014. - Testo completo su latimes.com (ultimo accesso 15/01/2022).

Medoff, Rafael, “The Last Outrage” In Pak, Greg X-Men: Magneto — Testament #5.

Novick, Peter, The Holocaust in American Life. Boston; New York: Mariner, 2000.

O’Neil, Denny, “Night of the Reaper”. In Batman #237. New York: DC, 1971

Pak, Greg, X-Men: Magneto — Testament. New York: Marvel, 2008-2009.

Sim, Dave,  Judenhass. Kitchener: Aardvark-Vanaheim, 2008.

Spiegelman, Art, The Complete Maus. London: Penguin, 2003 (1986-1992).

Spiegelman, Art, MetaMaus. New York: Pantheon, 2011.

Wertham, Fredric, Seduction of the Innocent. New York: Rinehart, 1954.

 

Mieczysław Kościelniak, da mieczyslawkoscielniak.com (data di ultima consultazione: 16/01/2022)

 

Immagine 1 da Nybooks.com - data di ultima consultazione 19/01/2022 

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