PRESENTAZIONE

Dal 1991 sono stati condotti scavi sistematici nel quartiere occidentale di Gortina, a sud dell’agorà e della chiesa di San Tito. Le indagini iniziarono in seguito all’individuazione di alcune strutture, successivamente identificate con la piattaforma sopraelevata per il clero (solea) nella navata centrale di una grande chiesa a sviluppo basilicale. La chiesa venne poi indagata da una missione italo-greca sotto la direzione di R. Farioli Campanati e E. Borboudakis, e più recentemente, di I. Baldini e V. Sythiakaki.

La basilica è ampia 60 metri escluso il cortile di accesso ed è divisa in cinque navate  mediante colonnati. Si tratta della cattedrale di Gortina, che assume rango arcivescovile in epoca giustinianea, L’edificio ecclesiale, la cui intitolazione non è nota, viene dotato di nuovi pavimenti musivi nel corso del VI secolo sotto gli arcivescovi Teodoro e Vetranio, documentati da iscrizioni musive nella navata mediana. Il nome dello stesso Vetranio è ricordato nella forma di un monogramma nei due capitelli della vicina chiesa di S. Tito e a Matala, porto di Gortina. Le modifiche strutturali della seconda metà del VI secolo coincidono con il rifacimento dell'ambone, secondo modelli costantinopolitani, e con l'aggiunta, nell’emiciclo absidale, di un seggio semicircolare a sette gradini provvisto di un largo peribolo praticabile. Nel presbiterio, ai lati della base del grande altare a mensa coronato dal ciborio, è stato rinvenuto un pavimento a marmi policromi, che insieme alle tarsie parietali, alla grande quantità di tessere musive parietali, a frammenti di cornici in stucco dorato e a capitelli decorati in foglia d’oro, testimoniano l’impegno decorativo di questa zona dell’edificio.

La basilica episcopale continua ad essere utilizzata per tutto l'VIII secolo e cessa definitivamente le proprie funzioni alla vigilia delle invasioni arabe dei primi decenni del IX secolo, forse a causa di un terremoto. Il monumento sembra essere sopravvissuto allo stato di rudere per un periodo lungo, durante il quale continuò ad essere soggetto ad una vasta opera di spoliazione dei materiali lapidei. Gravi compromissioni sono testimoniate soprattutto nell’area delle navate; a crolli parziali si accompagnano depredazioni sistematiche dell’apparato decorativo e dei materiali da costruzione, un processo che, insieme agli interventi agricoli, ha provocato nel tempo la scomparsa della chiesa.

La ripresa delle indagini nel 2011 dopo alcuni anni di interruzione, nell’ambito di una collaborazione tra l’Università di Bologna e Soprintendenza per le antichità di Iraklio, secondo il programma stipulato tra la Scuola Archeologica Italiana di Atene e il Ministero greco della Cultura e grazie al sostegno del Ministero italiano per gli Affari Esteri, si è accompagnata alla predisposizione  di un progetto di restauro e conservazione del monumento.