La presenza costante del fallo scenico e degli attributi sessuali femminili nei body costumes comici [cfr. Compton-Engle (2015, 17-38)] indica come l’oscenità fosse un elemento essenziale e caratterizzante l’archaia. Forse anche a causa dell’immediato impatto osceno del codice visivo, il registro linguistico offre invece una costante tendenza all’innovazione rispetto all’uso comune, con numerosi fenomeni di trascinamento linguistico di termini che, nel nuovo contesto metaforico costruito dal poeta comico, assumono nuovi significati allusivi alla sfera sessuale [cfr. Henderson (1991, 2)].
Nella Lisistrata, una delle donne che tentano di disertare dal progetto utopico di Lisistrata sostiene di dover tornare a casa perché ha lasciato della lana di Amorgo, ἀμοργίς, ancora non’cardata, ἄλοπος (vv. 735-741). Mentre per Henderson (1991, 118) l’ἀμοργίς è metafora del fallo eretto, l’allusione sessuale appare costruita invece intorno al gesto del cardare, che secondo Mastromarco-Totaro (2006, 381) è mimato da Lisistrata mentre nega alla donna il permesso di tornare a casa. La lana non cardata non sembra quindi di per sé una metafora sessuale, bensì l’immagine offre l’occasione per costruire un doppio senso osceno legato al gesto del cardare. Le altre occorrenze di ἀμοργίς in commedia non mostrano un analogo impiego metaforico del termine: nella Lisistrata siamo quindi di fronte ad una probabile innovazione di Aristofane all’interno del patrimonio comico di metafore oscene.
In modo analogo, Aristofane risemantizza, ancora nella Lisistrata, il termine βάλανος «1. ghianda 2. stanghetta di ferro, spillone (a forma di ghianda)» con un’immagine articolata: un marito chiede all’orafo di rimettere al più presto lo «spillone», βάλανος, della collana della moglie nella fessura da cui è uscito (vv. 407-413). Il termine è sottoposto quindi ad una doppia traslazione: da ghianda a stanga di ferro (a forma di ghianda) impiegata per le serrature, quindi a organo maschile. Dalle opere biologiche di Aristotele (si veda Pudenda nella ricezione) sembra emergere un uso canonico di βάλανος per «glande» che poi passerà al lessico tecnico latino: non è da escludere che il passo della Lisistrata rinnovi la metafora popolare della ghianda-glande, che riemergerà in Aristotele, tramite il gioco semantico sulla ghianda-spillone. Non sembrano riconducibili infatti alla metafora sessuale, come invece sostiene Henderson (1991, 119) né il verbo βαλανόω «chiudere con il chiavistello a forma di ghianda», che nelle Ecclesiazuse è impiegato in una elaborata metafora scatologica [vv. 361-371, cfr. Capra (2010, 207-208)], né tantomeno βαλανεύω che nella Lisistrata ha l’accezione consueta di «scaldare il bagno» (v. 337).
Kριθή «orzo» ha un chiaro significato sessuale nella Pace (vv. 965-967) mentre diversamente da quanto ritengono Henderson (1991, 120) e Dunbar (1998, 239, 260) non sembra del tutto perspicua la metafora sessuale negli Uccelli (506, 565) dove il termine ricorre al plurale. Se l’impiego metaforico di κριθή fosse isolato nella Pace, sarebbe forse possibile pensare ad un’ulteriore invenzione linguistica di Aristofane. Di maggiore semplicità appare l’uso metaforico di ἐρέβινθος «cece»: la rapidità della battuta degli Acarnesi (v. 801) sembra presuppore un’immediata comprensione del doppio senso da parte del pubblico, così come – nel catalogo dei beni che la Protagonista delle Ecclesiazuse espone quale frutto futuro dell’utopia – l’effetto comico è prodotto solo dalla positio princeps occupata da ἐρεβίνθους (v. 606), senza alcun bisogno di ulteriori indicazioni (cfr. anche Eccl. 45; l’uso prosegue nella Mese come testimonia Sophil. fr. 9,2 K.-A.). In modo analogo, nelle Raneil nesso ἐρεβίνθου δράσσεσθαι «agguantarsi il cece» indica la masturbazione (v. 545; cfr. Mastromarco-Totaro 2006, 613).
Per quanto riguarda l’organo femminile, conferma la tendenza dell’archaia all’innovazione linguistica l’assenza del canonico ἰσχάς «fico secco», già presente in Ipponatte (fr. 124 W.2), nell’intera produzione comica (cfr. Henderson 1991, 134). Non appare chiaro, in questa prospettiva, se ad esempio μύρτον sia un «common slang term» come sostiene Henderson (19912, 134) oppure un’innovazione comica sull’immagine, certo popolare, dell’organo femminile come fiore (cfr. Lys. 1006). In questa direzione conducono sia l’allusivo nome di Mirrine nella Lisistrata, sia il fr. 113 PCG dei Minatori di Ferecrate dove ῥόδον ha un chiaro significato osceno.
Un ulteriore campo semantico legato all’agricoltura che produce metafore sessuali nel lessico comico è quello di «campo, pianura, terreno da arare», impiegato come simbolo dell’organo femminile. Anche in questo caso, permane il dubbio in merito all’autonomia della lingua comica rispetto all’uso comune: nella Lisistrata(89), βλήχων «mentuccia», pianta tipica della Beozia, indica il pelo pubico della ragazza beota, dopo che Mirrine aveva già introdotto l’immagine dell’ampia pianura beota da seminare come metafora dell’organo femminile. Il termine βλήχων quindi appare come variazione ad hoc, determinata dall’origine beota della pianta, della metafora sessuale della terra da arare.
Per σῦκον, si veda la voce Fico.
Mario Regali @ 2016