Pudenda nella ricezione

Come noto, il linguaggio tecnico dell’agricoltura in commedia tende spesso a designare gli organi sessuali sia dell’uomo sia della donna tanto quanto in generale i vegetali che hanno garantito, in virtù delle forme assunte in natura, un vasto orizzonte di ispirazione per Aristofane e per la Archaia (cf. Henderson 1991). Non è difficile affermare per tutto ciò che, quando dopo la commedia si trovano riferimenti ai vegetali e al linguaggio agricolo in senso osceno, tali riferimenti possano essere debitori di una memoria drammatica. Memoria di per sé vitale e ricorrente nel complesso in merito all’equiparazione tra campo da seminare e corpo umano anche nella lingua latina. Ne offre una testimonianza di non poco conto, ad esempio, l’associazione proposta da Lucrezio tra conserere, verbo della semina, e l’azione di Venere vivificatrice nel De rerum natura (IV 1107), atque in eost Venus ut muliebria conserat arva, verso nel quale l’associazione metaforica tra semina tecnica e semina fisica gioca sulla metafora del grembo femminile come campo, unitamente alla ripresa della stessa tale immagine in Tibullo (I 8, 35-36), at Venus invenit puero concubere furtim; / dum timet et teneros conserit usque sinur, distico nel quale è indicata la facilità con la quale la dea dell’amore ispira la passione erotica nell’innamorato. Si noti perlatro che l’idea del corpo femminile come campo o giardino, kepos o kepeuma, è già attestata da Aristofane che negli Uccelli (1100) si riferisce in senso osceno al giardino delle Grazie. Vero è, tuttavia, che l’analisi delle immagini vegetali, pur produttiva ai fini dell’eredità linguistica della commedia nella produzione letteraria successiva, spinge a concludere che tali immagini con funzione metaforica, non particolarmente numerose, per lo più, come è naturale, si organizzano intorno al termine sykon. 

Una prima significativa associazione tra frutti e organi sessuali ruota intorno alla ghianda, il balanos, accostato all’organo sessuale maschile [si veda Pudenda nella commedia]. Balanos, ad esempio, designa il glans penis oltre che nella Lisistrata (410), ἐλθὼν ἐκείνῃ τὴν βάλανον ἐνάρμοσον, anche nella Historia animalium di Aristotele (493a23), καὶ τοῦ ἄρρενος αἰδοῖον, ἔξωθεν ἐπὶ τῷ τέλει τοῦ θώρακος, διμερές, τὸ μὲν ἄκρον σαρκῶδες καὶἀεὶ λεῖον <καὶ> ὡς εἰπεῖν ἴσον, ὃ καλεῖται βάλανος, nonché in Galeno (10, 381). Non è improbabile, dunque, che un’allusione alla sfera sessuale si debba scorgere anche nel balanus menzionato da Persio (IV 37). Per quanto riguarda invece l’organo femminile, dopo la commedia, è possibile ricordare il riferimento in questo senso al mirto in Luciano (Lex. 12, 21), una comune pianta che, associata al culto di Afrodite, ben presto, come la rosa, si lega al linguaggio erotico sino a codificare tramite il nome proprio Mirtile, la figura dell’etera. Un discorso a parte può essere fatto, invece, per il termine kokkos, il chicco. In commedia tale termine non compare mai, sebbene si riverberi nel verbo ekkokkiziensgranare, atto ad indicare la deflorazione femminile (ad esempio in Lisistrata 364, εἰ μὴ σιωπήσει, θενών σου ‘κκοκκιῶ τὸ γῆρας). Il kokkos, di seguito, almeno in Stratone di Sardi (XII 222, 3), finisce per indicare i genitali maschili, τῇ χερὶ τοὺς κόκκους ἐπαφώμενος, rispetto al significato attestato da Esichio per il quale kokkos rappresenta i pudenda muliebria. Il termine erebinthos, il cece, che designa il fallo eretto in non poche commedie (si considerino almeno Acarnesi 801 e Cavalieri 45) non sembra aver dato vita ad una produttiva risemantizzazione metaforica di ambito sessuale dopo la Archaia. Forse in senso osceno lo si trova in Giovenale (VI 373) nell’espressione ciceris relicti. Gli aneddoti relativi al nome di Cicerone connesso in maniera scommatica al cece riferiti da Plutarco (Vit. Cic., 1,5) hanno forse un’origine parodica ma difficilmente possono essere ricondotti ad un ambito sessuale.

Dino De Sanctis @ 2016