Maria Raffaella Cornacchia - Intervista ad Alessandro Berselli

Distopia e discesa agli inferi nel romanzo "La dottrina del male" (2019)

 

Dopo gli esordi come umorista con Lettere al condominio (1991), Alessandro Berselli (Bologna, 1965) dal 2003 si dedica al noir, riservando però la parte del leone all’analisi psicologica, e in particolare ai sensi di frustrazione e sconfitta di personaggi che si confrontano col vuoto delle loro esistenze a cui cercano faticosamente - e invano - di dare un significato più alto e soddisfacente. Tra i libri di Berselli ricordiamo: Storie d’amore, di morte e di follia (ARPANet, 2005), Io non sono come voi (Pendragon, 2007), Cattivo (Perdisa, 2009), Non fare la cosa giusta (Perdisa, 2010), Il metodo crudele (Pendragon, 2013), Anche le scimmie cadono dagli alberi (Piemme, 2014), Kamasutra Kevin (Pendragon, 2016), Le siamesi (Elliot, 2017) e La dottrina del male (Elliot, 2019).

Nell’ultimo romanzo, in cui il genere distopico si interseca con quello introspettivo, il talentuoso spin doctor Ivan Cataldo, che organizza le principali campagne di comunicazione politica in Italia, viene ingaggiato per promuovere The Next Something, un movimento d’opinione che mira a imporre in tutti gli Stati nevralgici un nuovo ordine mondiale. Per Cataldo è l’inizio di un oscuro percorso che gli costa ogni certezza familiare, affettiva, professionale ed etica.

Con l’autore abbiamo dialogato del romanzo, degli interrogativi che solleva e del suo laboratorio creativo, per poi allargare l’amabile chiacchierata a una panoramica sul cinema e sulla narrativa contemporanea a lui più congeniali.

 

DOMANDA: Com’è nato lo spunto per La dottrina del male?

RISPOSTA: In realtà è un libro che ha avuto due percorsi a livello di ispirazione.

Inizialmente l'idea era quella di fare un romanzo distopico: voleva essere il mio 1984, un romanzo che trattasse alcuni temi della contemporaneità, poi li spostasse in un futuro prossimo, imminente, però non ancora concretizzato. In particolare, ho pensato di partire da un tema di cui oggi si parla molto: il nuovo ordine mondiale, cioè ragionare sul fatto che, al di là delle persone che noi crediamo che comandino la terra, ci siano dei potentati oscuri che tutto orchestrano, che tutto stabiliscono e di cui non abbiamo nemmeno percezione. Insomma, volevo lavorare su un tipo di noir che avesse queste caratteristiche.

Poi però, forse  perché più vicino alle mie corde, ha preso il sopravvento la parte intimista: quindi ho scelto un personaggio che fa un lavoro anche abbastanza di moda - lo spin doctor, cioè una di quelle persone che si occupano delle campagne di promozione mediatica dell’immagine di uomini politici rilevanti - e ho iniziato la storia presentandolo all'apice della sua carriera umana professionale e sociale, per poi costringerlo ad una sorta di discesa agli inferi: prendere il protagonista e fondamentalmente rovinargli la vita. 

Così i motivi di ragionamento sono stati due: da una parte volevo scrivere un romanzo distopico ma che ragionasse anche su alcuni temi di attualità, e dall’altra fare un romanzo intimista su come sia possibile che una persona che ha avuto per un certo periodo della sua vita un’esistenza perfetta, poi si ritrovi in pochi mesi a veder disgregare tutto quello che aveva costruito negli anni precedenti.

 

DOMANDA: Mentre parlavi mi è venuto in mente un pensiero: se lo dovessi scrivere adesso il tuo romanzo, sfrutteresti le paure del nuovo ordine che emergono oggi, le convinzioni e le manifestazioni no-vax, no-covid, no-mask?

 

RISPOSTA: Tu hai fatto una domanda su cui io ho ragionato tanto in questi mesi. Questo libro è stato scritto prima dell'ultima tornata politica-elettorale, prima del 2018... sulla crisi delle ideologie è quasi banale ritornare, e parlare di destra o di sinistra mi sembra quasi anacronistico, però in quel momento il panorama elettorale era fondamentalmente costituito da partiti appartenenti  o alla cosiddetta destra o della cosiddetta sinistra, più un movimento che era ancora assolutamente in fieri e che si candidava per la prima volta su una tornata politico-elettorale, cioè il Movimento 5 stelle. Insomma, all’epoca, a parte quello che pareva più che altro un movimento di opinione, c'era ancora un mercato politico bipolarizzato.

Chi avrebbe immaginato quello che è successo dopo? e cioè l'affermazione di un movimento che diventa il primo partito in Italia, con i partiti tradizionali assolutamente in crisi e con la nascita appunto di tutte queste cose, dal negazionismo a posizioni elettorali anche incontrollate.

Poi l'altro ragionamento che ho fatto in questi anni è quanto si stavano veramente spostando le forze elettorali da uno schieramento all'altro: se negli anni '70 lo spostamento di elettorato tra la DC e il PC su tornate elettorali quadriennali difficilmente superava l'1-1,5%, ora invece abbiamo spostamenti di masse elettorali del 30-40% da uno schieramento all'altro. Ciò significa che non c'è più fidelizzazione a un'idea politica, o forse non c'è proprio idea politica, anzi ci sono persone che anche all'interno dello stesso schieramento si contrappongono in grande antagonismo: comunque sia, vince il carisma del leader. In effetti, negli ultimi 15 anni da Berlusconi in poi, è il carisma del leader che ha fatto la differenza, da Berlusconi a Renzi a Grillo a Salvini, e forse adesso i governatori regionali, che potrebbero diventare i nuovi soggetti politici importanti di questo momento storico.

 

DOMANDA: Senti, nei confronti dei protagonisti Ivan nella Dottrina del male e Ludovica nelle Siamesi tu che relazione hai, come ti poni?

 

RISPOSTA: Io credo che la meraviglia della scrittura sia proprio qui... prima dell'intervista, stavamo appunto scherzando sulla domanda classica "quanto di te c'è nei tuoi personaggi?". In realtà è una domanda molto importante. Ti faccio un po' di cronistoria di quello che di solito è il rapporto di un autore con i suoi personaggi. Io credo che il primo libro che uno scrittore scrive sia fondamentalmente un bilancio esistenziale di tutto quello che è stata la sua vita, e quindi c'è veramente tanto di lui e anche i personaggi finiscono per rispecchiarlo molto.

Però  non abbiamo vite così interessanti da informare decine di romanzi, quindi a un certo punto prevale proprio l'istinto di raccontare delle storie, le storie e i personaggi anche molto diversi da noi che in qualche modo ci stuzzicano: ad esempio, l'idea di Ludovica adolescente che in parte non si riconosce nel mondo che le sta intorno, ma che in realtà fa di tutto per omologarvisi, sia pure con caratteristiche sue particolari; oppure il personaggio di un uomo di successo -  Ivan - che, forse per un vecchio idealismo politico che pensava di aver dimenticato, si lascia suggestionare da idee che lo porteranno al disastro,  che è poi quello che succede nelle 150 pagine della Dottrina del male.

Insomma, mi diverte molto l'idea di prendere dei personaggi nei quali andare ad abitare, che è il gioco di ruolo che si crea proprio tra chi scrive e i suoi personaggi. Io credo molto nella triangolazione del patto con il lettore, e ne parlo spesso anche quando faccio corsi di scrittura, cioè nell'idea che si deve creare una identificazione tra chi scrive le storie, chi le legge, ma anche un terzo elemento che è appunto il protagonista. Penso che nel momento stesso in cui tutti e tre riusciamo a interpretare il nostro ruolo, il divertimento è massimo: per me, se riesco a interpretare Ivan Cataldo o Ludovica, e per il lettore se si immedesima in questi personaggi, anche se magari gli danno fastidio, perché il bello di questo gioco è che non dobbiamo rendere conto moralmente a nessuno del fatto di abitare anche personaggi sgradevoli, mentre ci diverte di per sé il giocare. E nel momento stesso in cui il libro si chiude, ecco che si è compiuto l'esorcismo e ci siamo liberati da personaggi negativi, però nel frattempo quanto ci siamo divertiti!

 

DOMANDA: Quindi vai alla ricerca di una catarsi...

 

RISPOSTA: Assolutamente, è una catarsi, una nemesi, ci sono tanti elementi che subentrano... purché sempre ci sia divertimento. Sai qual è la cosa complicata per lo scrittore? è che mentre per il lettore a leggere i miei libri ci vogliono due-tre ore - dico io, anche se è dislessico - visto che sono libri molto brevi, anzi io gioco su questa brevità... comunque, se il lettore entra ed esce dal personaggio in circa 3 ore, lo scrittore - e io sono di sicuro molto pignolo, uno scrittore da riscritture "eterne" -  lavora 7-8 mesi prima di consegnare un libro all'editore, poi ce ne vogliono altri 6-7 prima di inviarlo agli editor. Quindi, ad abitare per un anno e mezzo con questi personaggi si creano veramente dei processi di identificazione anche molto forti. Ne manteniamo però sempre le distanze, e manteniamo una dimensione ludica nell'abitarli, però è bello mentre ne scrivi cercare proprio di pensare come loro, di vedere le cose come loro, tanto che delle volte ti capita anche nella vita reale di interrogarti: "chissà come Ivan Cataldo si sarebbe comportato in questa situazione...".

È un rapporto comunque sempre di grande affetto, anche per personaggi che sono sgradevoli o non sono personaggi rispondenti alla mia idea di persona.

 

DOMANDA: Già, sono personaggi che hanno quanto meno una morale molto molto flessibile...  mi stai dicendo che la ragione è che attribuisci alla scrittura un valore prevalentemente edonistico?

 

RISPOSTA: Sì, assolutamente sì. Lungi da me quello che potrebbe essere l'intento moraleggiante della scrittura che ti spiega come funzionano le cose! Anzi, continuo a pensare che sia bello se la scrittura pone delle domande, e bene se non dà delle risposte...

Tuttavia, cerco una scrittura di intrattenimento un po’ diversa da quello che è il mainstream, perché preferisco, non per scelta di nicchia mia ma per attitudine anche rispetto a cose che ho letto, una letteratura che non ha il diritto di mettersi a pontificare, ma che ha una funzione edonistica. Perciò, mi piacerebbe che, forse anche attraverso il rifiuto di certi personaggi, il lettore si interrogasse su alcune cose, e per questo scrivo sempre i finali aperti, perché il finale chiuso fa al lettore una sorta di morale.

Mi si chiede spesso: "Perché non fai mai una storia che finisca bene?". Ed effettivamente è vero: son tutte storie che magari non finiscono male, ma hanno sempre dei finali molto aperti, un po' perché mi piace lasciare anche ai lettori la possibilità di immaginare - è questa poi la magia della lettura -, di pensare a scenari che sono sì in parte suggeriti dallo scrittore, ma in parte personalizzati da chi legge.

E quindi sì, la componente edonistica c'è e c'è anche una componente narcisista, cioè nei personaggi molto curati: nelle prime cose che scrivevo, i personaggi erano molto più sciatti, persone che ancora non si erano ben posizionate a livello sociale e vivevano di espedienti. Adesso invece sono molto interessato a questi personaggi che hanno delle vite all'apparenza perfette, ma che poi in realtà nascondono un sacco di nevrosi, di cose che non funzionano, di deragliamenti.

 

DOMANDA: Se il tuo gioco è farci immedesimare in personaggi anche antipatici, che hanno una morale piuttosto flessibile, allora ci possiamo fidare di loro quando parlano? in effetti, molto spesso la narrazione è condotta dal loro punto di vista: possiamo credere a quello che dicono e pensano guidandoci attraverso la loro storia, oppure dobbiamo diffidare? In altre parole, quanto vuoi che sia attivo e critico il tuo lettore ideale?

 

RISPOSTA: Dobbiamo assolutamente diffidare: io faccio molta fatica a scrivere romanzi dove c'è il narratore onnisciente che tutto vigila, anzi ho sempre preferito la soggettiva, che consente quegli escamotages come il monologo interiore, che peraltro ora uso meno che in passato, preferendo un monologo più costruito, più interiorizzato.

Però non dobbiamo assolutamente fidarci proprio perché, mentre il narratore onnisciente registra quello che vede perché non è coinvolto personalmente in quello che sta raccontando, e ha insomma l'atteggiamento dell'arbitro che vigila che nella narrazione le cose raccontate siano quelle che davvero sono, il narratore in prima persona può raccontare quello che vuole, e questo è proprio il divertimento di questa narrazione, cioè destabilizzare il lettore. Ad esempio, all'inizio io ho fatto un po' così con Ivan Cataldo, anche se in realtà lui non racconta cose sbagliate con dolo: quando nelle prime pagine  esalta  la sua vita come perfetta e per esempio non dice semplicemente "Io sono uno spin doctor", ma "Io sono il più grande esperto di comunicazione elettorale esistente oggi in Italia", non lo fa con l'intenzione di bluffare, anche se è chiaro che in seguito, quando le cose cominciano a deragliare, ogni tanto si scusa come se volesse farsi perdonare rispetto al manifesto programmatico iniziale alcune sue scelte sbagliate. Insomma, alterna i sensi di colpa ai momenti in cui dice "no": il punto è che quando mente, non lo fa per dolo ma perché non riesce a capire quello che gli sta succedendo. Quindi non ci fidiamo di ciò che Ivan afferma non perché lui ci voglia ingannare, ma perché ha una percezione completamente errata di quello che gli sta succedendo. Infatti il libro si sviluppa proprio intorno a una spirale di errori che cresce in modo esponenziale, cosicché da un errore che potrebbe essere forse rimediato, derivano effetti a catena di cui il protagonista perde completamente il controllo, nonostante tutti gli dicano "guarda che stai sbagliando". Perciò il suo errore principale non è tanto di sbagliare, quanto di non ascoltare nulla di quello gli viene detto. In conclusione, il personaggio non vuole prendere in giro il lettore, ma sta prendendo in giro se stesso nel raccontare.

 

DOMANDA: E infatti io avevo pensato ai personaggi sveviani con l'autoinganno: non c'è malizia, però stanno ingannando per primi se stessi e quindi quello che si raccontano non è del tutto credibile...

 

RISPOSTA: … come facciamo un po' tutti per certi versi, anche se magari - grazie a Dio - non in modo così clamoroso come Ivan Cataldo, che veramente si è lasciato prendere la mano dall'autoinganno sveviano... ricordo una conversazione tra amici: quanto siamo bravi a dare consigli agli altri e poi non capiamo mai quello che succede a noi stessi, bravi a vedere gli errori e quando le cose capitano noi non sempre abbiamo la lucidità necessaria!

Ivan Cataldo è certamente la persona più lucida del mondo, capace di capire tutto quello che c'è intorno, ed è per questo che è così bravo nel suo lavoro, ma poi diventa uno che non riesce più a decifrare nemmeno le cose più semplici, e così rimette in discussione tutto quello che aveva. E in effetti, quando si palesa un movimento con un'idea politica completamente nuova, che prescinde dalle ideologie, lui perché accetta? fondamentalmente per due motivi : il primo è che lui, essendo un guru della comunicazione politica, teme di perdere il trend, di non essere capace di cogliere la novità che arriva e di approfittarne, insomma di salire sulla carrozza del vincitore... complesso tutto italiano: “rischio di perdere tutta la mia credibilità, sono riuscito a crescere fino a questo punto e poi, quando succede una cosa epocale,  che sta cambiando il mondo, e io non lo intuisco”.

Però, in realtà, dietro questa che potrebbe essere una valutazione opportunistica, commerciale, c'è in Ivan Cataldo anche una persona che ha avuto dei grandi ideali politici: cioè, prima di essere uno che vende la politica - come il commesso di Benetton: non gliene frega niente che il maglione sia bello o brutto, lo deve vendere e perciò deve far in modo che al cliente quel maglione sembri il migliore possibile - lui credeva in una sorta di sinistra più ideale di quella da identificare con la sinistra del passato. Perciò, quando si trova di fronte a qualcosa di nuovo, accanto all'opportunismo, c'è in lui anche la voglia di crederci, e l’ingenuità di chi ha voglia di ricominciare a pensare come in passato.

In conclusione, per capire gli errori di Ivan Cataldo, bisogna capire come era stato prima: un uomo che aveva iniziato il suo lavoro con una certa convinzione, poi ne aveva fatto una professione e non più il mezzo per affermare un’idea, una professione di fede.

DOMANDA: Nei tuoi libri mostri costante interesse per gli adolescenti e il loro rapporto con gli adulti, e in particolare i genitori…

RISPOSTA: Io devo dire tendo proprio all’identificazione. Per esempio, da lettore faccio molta fatica a identificarmi con i personaggi senili: quando il protagonista è una figura senile sento un maggiore distacco; invece mi piace molto aver a che fare con personaggi che siano più giovani di me. Insomma, sono profondamente affascinato dall'universo adolescenziale, con il quale in parte lavoro facendo corsi di scrittura nelle scuole, e ciò mi permette di parlare di adolescenza con una certa cognizione di causa.

Però amo anche creare personaggi con anagrafi diverse, anche se comunque il baricentro sono di solito dei quarantenni, che appartengono a generazioni post-ideologie. Non posso neanche dire le generazioni che vengono dopo il '68 e il '77, peraltro nel libro citate: si tratta piuttosto della generazione successiva, la mia generazione, e io sono giusto riuscito a lambire qualche coda di quello che è stata l'ultima grande contestazione; Ivan arriva addirittura dopo e quindi è uno che è cresciuto tra gli anni '90 e i primi anni 2000.

L'adolescenza gli fa da contraltare: quindi da una parte l'adolescente, dall'altra i genitori, e così generazioni diverse favoriscono il processo di identificazione da parte del lettore. Ma quello che conta è che per me l'adolescente deve sempre esserci: in alcuni casi è proprio il protagonista assoluto, come nelle Siamesi, però c’è anche negli altri romanzi Cattivo o Non fare la cosa giusta, che è molto vicino alla Dottrina del male come collocazione anagrafica dei personaggi, con un genitore che ha una quarantina d'anni e una figlia adolescente di 17-18.

Sarà che a me piace moltissimo leggere il romanzo di formazione, il mio preferito, anche perché mi rimanda a un periodo della vita straordinario: perché da una parte l'adolescenza è un’età complicatissima, in cui non ti fanno più gli sconti dato che non sei più un bambino, ma nessuno ti tratta da adulto, e quindi hai tutto un universo di amici-nemici che è difficile gestire, dall’altra è pure vero che in quel momento della vita tutto è davanti, tutte le aspettative, tutto quello che immagini e sogni...

 

DOMANDA: In generale i personaggi, ad esempio in Non fare la cosa giusta, Le siamesi o La dottrina del male, appartengono a una società consumistica e narcisistica. Qual è il tuo rapporto con tale società?

 

RISPOSTA: Io sono assolutamente agnostico, e certo distante, però ne sono attratto come prova di osservazione antropologica di quelle che sono le dinamiche che vi si muovono. Certo, una volta forse ero più attratto dal basso. Sarà perché inizialmente, nella mia formazione di lettore - io ho cominciato a diventare un lettore veramente forte tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta -, ho smesso di leggere i classici e ho cominciato a frequentare quelle che sono le nuove letterature, e in quel periodo lì, com’è noto, c'era un certo tipo di scrittura: sto pensando in Italia alla “gioventù cannibale”, coi vari Ammaniti ecc., e in Inghilterra a Welsh con Trainspotting ecc. C'era un grande interesse verso il basso, quindi i protagonisti erano spesso proletari disagiati. Dopo di che è arrivato Easton Ellis con American Psycho e con personaggi che si muovevano in universi dove tutto era perfetto e i protagonisti erano molto ricchi: allora ho capito che si poteva fare un bel lavoro anche su quel tipo di personaggio. Dunque, anche se le generalizzazioni di ceto non mi piacciono né da una parte né dall'altra, ora trovo che questo è un bel terreno da frequentare.

 

DOMANDA: Ed è più facile documentarsi sul basso o sull'alto?

 

RISPOSTA: Beh, sul basso è facilissimo, perché comunque corrisponde a molta gente che ho frequentato: in realtà, la mia adolescenza è stata un po' da contestatore, quindi mi ricordo anche molti amici poco raccomandabili, che con il tempo sono diventati tutti “pratiche archiviate”. Poi però soprattutto la mia carriera professionale mi ha messo molto più in confronto con i benestanti o anche con gente ricchissima, come tra i miei personaggi i genitori di Ludovica nelle Siamesi, che guadagnano oltre 250000 euro all'anno, o come Ivan Cataldo, di cui, anche se non abbiamo la dichiarazione dei redditi, supponiamo introiti anche più alti.

Questo aspetto è molto interessante, perché ti permette un lavoro sul contrasto, e i contrasti nel genere noir sono importanti: ad esempio, parlando coi colleghi noiristi, ci siamo resi conto che spesso ambientiamo i fatti di cronaca dei nostri romanzi nelle grandi città, ma in realtà è la provincia che è più tentacolare e inquietante, e già questo produce un forte contrasto rispetto alle aspettative del lettore. Lo stesso si può dire sulla società del benessere, che rassicura chi vi vive facendogli credere che, ora che ha raggiunto tutto quello che voleva, nulla di male gli possa capitare o possa lui stesso fare: e invece, proprio in quel contesto si realizza il crimine, l’anomalia agghiacciante.

Ma penso che nei romanzi rifletto la mia esperienza: quando ero più giovane quel “basso” che emergeva nei miei primi romanzi, mentre adesso che sono una persona proprio "normale", sia sul piano finanziario che per attitudini, un quadro legato a maggiore sicurezza economica…

 

DOMANDA: Non so se ti ricordi il film Society, forse il primo a sdoganare questo campo...

 

RISPOSTA: … sì certo, me lo ricordo: molto bello...

 

DOMANDA: Il narcisismo dei tuoi personaggi, con la loro ossessione per il culto del corpo e delle griffes, non si riflette – mi pare – nell’ostentazione di sé nei social media, che è una delle costanti del nostro tempo: è un aspetto del loro snobismo o ci sono altre ragioni?  

RISPOSTA: Questo è un argomento che mi interessa molto. Intanto hai detto la parola giusta, "narcisismo" e non "egocentrismo", perché i miei personaggi sono molto più narcisisti che egocentrici: si piacciono molto e conoscono perfettamente il proprio valore, come Ivan Cataldo, ma sono anche del tutto consapevoli che esiste tutto un mondo intorno a loro, come la famiglia, gli amici ecc., e quindi non sono unicamente ego-riferiti.

Per la questione dei social, certo ho una particolare attenzione alla modernità del mondo in cui si muovono i personaggi - i locali, per esempio, il trend dell'abbigliamento ecc. -, e ad esempio Le Siamesi ha una conclusione che vi fa riferimento, visto che sono i social a dare la dimensione di come il romanzo finisce: tuttavia, siccome i miei romanzi si svolgono di solito  in un lasso di tempo molto breve (per restare alle Siamesi, appena un fine settimana), non c’è proprio lo spazio per approfondire questa tematica.

Però onestamente non ho mai ragionato sul fatto che sia poco evidenziata la dimensione social dei personaggi, anche se si capisce che la praticano...

 

DOMANDA: Però io ho pensato che scegliessi una forma di snobismo per loro, perché in realtà esporci a Facebook o a Twitter, salvo che uno non rivesta una carica pubblica, di solito dipende da una necessità di esibizione per gente un po' frustrata, che cerca di farsi vedere...

 

RISPOSTA: No, in realtà lo snobismo non c'è, anche se questa è una delle cose meravigliose che possono arrivare al lettore senza che lo scrittore ne sia pienamente consapevole. Ad esempio io, nella mia testa, mi immaginavo un Ivan Cataldo molto social, ma in questo delirio che gli succede nel giro di pochi giorni, pubblicare sui social non è più per lui una priorità. Insomma, nel momento in cui le cose cominciano a capitare, le priorità sono altre...

 

DOMANDA: … perché c’è nella narrativa contemporanea qualche esperimento fatto attraverso post, tweet...

 

RISPOSTA: Sì, sì, adesso ci sono anche romanzi tutti costruiti così, e vanno anche nuove forme di romanzo epistolare, svolte in forma di epistola tecnologica, epistola punto zero... c'è un libro di Annarita Briganti tutto impostato soltanto su email, messaggi whatsapp...  è interessante come esperimento, che naturalmente si fonda sulla brevità.

 

DOMANDA: Questioni di stile: è chiaro che c'è un umorismo crudele in tante pagine che scrivi. Hai qualche modello?

 

RISPOSTA: Per quanto riguarda la parte stilistica o per quanto riguarda quella umoristica?

Io sono nato come umorista e come umorista nero, quindi l'humour nero mi piaceva tantissimo, però faccio un po' fatica a trovare dei modelli letterari, mentre da grande appassionato di cinema in realtà trovo prima dei modelli cinematografici.

 

DOMANDA: Questa è proprio una domanda che ti volevo fare: quando pensi, che film ti scorrono davanti agli occhi?

 

RISPOSTA: Cinema dei Cohen, cinema di Tarantino, cinema che si muove in dimensioni nere, e poi alcune cose di Kubrick, oppure Natural Born Killers con la sua scrittura palesemente tarantiniana, anche se la regia è di Stone…

Ricordo che noi eravamo additati come la “generazione X”, che sembrava non avrebbe portato nulla, perché arrivati dopo il ‘68 e il ‘77 pareva che non avessimo niente da aggiungere, mentre tanti sono i registi, gli sceneggiatori e gli scrittori nati tra gli anni '60 e '70 che hanno dato moltissimo: Tarantino, ma anche lo stesso Easton Ellis. Io ho amato molto anche i minimalisti americani, quindi Leavitt, Carver, anche se questi certo non per quanto riguarda l'umorismo nero.

Per l'umorismo nero, invece, i miei riferimenti sono soprattutto di tipo cinematografico, cioè quel tipo di cinema che ha cominciato ad affermarsi fra gli anni '80 e gli anni '90, in cui anche delle situazioni più nere si capiva che si poteva ridere. Io infatti ho anche qualche produzione tra la letteratura bianca e la letteratura nera, e quando scrivo cose divertenti c'è sempre un momento serioso. Una cosa che mi ha sempre divertito tanto quando andavo in giro a presentare Kamasutra Kevin, la storia di un ragazzo assolutamente inadatto a vivere la sua adolescenza, è che per me doveva essere un romanzo semplicemente divertente, mentre la gente mi faceva le domande come se stesse intervistando Salinger sul Giovane Holden, ma poi a rivederlo mi sono accorto di aver fatto sì un libro umoristico, però con tutta una serie di tematiche adolescenziali serie.

Per quanto riguarda invece i modelli letterari, faccio un po' fatica a trovare un humour nero che mi abbia davvero conquistato: certo tra gli italiani c'è Ammaniti, per esempio Ti prendo e ti porto via, oppure Fango, o Branchie, in cui secondo me si è completata la sua parabola, visto che dopo è diventato un po' di maniera, e del resto lui ora scrive veramente molto poco. È un po' l'equivalente italiano di Lansdale, con libri inizialmente per così dire fuori di testa e poi un libro importante come Una sottile linea scura, che è un bel romanzo generazionale. Beh, al cinema per certi versi ha fatto un percorso molto simile Almodovar, con film all'inizio molto divertenti e per così dire deliranti, ma sempre di grande capacità cinematografica, e poi invece due capolavori come Parla con lei e Tutto su mia madre, che sono l’apice creativo del regista. Io poi amo molto spaziare tra cinema e letteratura.

 

DOMANDA: E tra questi registi da chi ti faresti dirigere, se dovessi fare una riduzione cinematografica di un tuo romanzo?

 

RISPOSTA: Bella domanda! Secondo me tra gli italiani avrebbe il giusto livello di follia Pappi Corsicato: anzi, per Le Siamesi sicuramente, perché è molto lisergico come registra, quindi ci potrebbe stare...

Io peraltro ho scritto anche alcune cose per sceneggiatura, e sulle Siamesi abbiamo anche una sceneggiatura opzionata da Lotus, anche se è molto difficile ora realizzare qualcosa, visto che non si sta più girando un fotogramma che sia uno.

Vero è che la mia scrittura è molto cinematografica, perché ci sono tanti dialoghi e poche descrizioni, però sai che io non l'ho mai scritto pensando a una riduzione cinematografica, perché per me è naturale che la scrittura sia quella. Quindi io scrivo come se fosse una sceneggiatura, ma non penso che il mio libro possa diventare possa diventare un film.

Tra i registi italiani, comunque… non so, per alcune cose più belle che ho fatto mi piacerebbe anche il primo Salvatores... o Amelio forse: potrebbe avere la necessaria moralità per fare un film di questo tipo, però mi chiedo come si potrebbe muovere sulle parti più caustiche, dato che lui è un regista molto serioso.

 

DOMANDA: Beh, nell'Amerika faceva un umorismo molto amaro… E se invece si dovesse fare un'antologia, con quale compagno di viaggio vorresti scrivere? Magari in uno di quei libri di racconti a più mani...

 

RISPOSTA: Io non sono un grande amante della letteratura italiana, nel senso che penso che sia stata una letteratura molto importante, ma se dovessi stabilire io il canone attuale farei fatica: se devo pensare a un'ipotetica antologia italiana che dovesse uscire nel 2080, quali autori di fine XX inizio XXI secolo potrebbero esservi inseriti?

 

DOMANDA: Probabilmente persone che non conosciamo...

 

RISPOSTA: Sì, probabilmente persone che non conosciamo: mi viene da pensare che comunque un Camilleri come letteratura di genere sì, così come Eco certamente, però forse in questo momento non siamo in grado di riconoscere con certezza i magisteri del futuro.

Invece trovo che ci sia tanto negli Stati Uniti: la letteratura americana ha una forma smagliante anche perché si sta ancora creando il canone e continua ad esserci questa sete di scrivere il "nuovo romanzo americano". Non a caso stanno uscendo tante opere prime in cui capisci proprio l'afflato dello scrittore che potrebbe ottenere un Pulitzer o National Book Award, che sono premi letterari davvero molto meritocratici, a differenza magari da alcuni premi italiani. Gli Stati Uniti sono un paese che legge molto e legge anche romanzi molto complessi, che nonostante questo entrano in classifica e spopolano: probabilmente anche il mercato sta consentendo agli scrittori di scrivere cose che in Italia in questo momento non si possono fare. Ad esempio, se Mondadori pubblica un libro, per il secondo ti chiede se vuoi fare un noir, ma poi impone canoni molto precisi: “mettici il commissario, fai così” ecc.

In conclusione, in una bella antologia con scrittori americani mi sentirei proprio tra amici; la scena noir bolognese, tuttavia, è molto interessante...

 

DOMANDA: … i nipoti di Macchiavelli?

 

RISPOSTA: … i nipoti di Macchiavelli: io sono uno di quelli che ha avuto l'onore di essere scoperto da Luigi Bernardi... e quindi non soltanto Macchiavelli, ma anche Lucarelli, Morozzi. Comunque è una scrittura noir molto diversa dai canoni: è bello che ci siano noir più destabilizzanti, dove i personaggi sono l'assassino o la vittima. D’altronde, questo segna la differenza tra noir e giallo: da una parte solo un investigatore che deve risolvere il caso, dall'altra molta più libertà e inventiva nel noir. Quindi anche a stare con dei noiristi italiani in un'antologia sarei contento. La scena bolognese mi piace particolarmente, perché è un po' diversa, meno classica.

 

DOMANDA: Entriamo nella tua officina: mi viene in mente una cosa di Lucarelli che ho visto su Facebook e cioè i post-it di tutti i colori con cui costruisce il romanzo ... tu come procedi, tendi a stendere un progetto puntuale sin dall’inizio oppure, data una prima idea, lasci che si sviluppi liberamente in corso d’opera?

 

RISPOSTA: Esattamente all'opposto di Lucarelli e non c'è una regola... ci sono tante diverse modalità: ad esempio, quella di Lucarelli è maniacale ed è questa, che lui crea una struttura di tipo cinematografico, quasi una sceneggiatura, e così quando inizia a scrivere, sa esattamente cosa succederà in tutti i momenti suo libro. Io invece inizio a scrivere e non so assolutamente nulla, cioè proprio non so neanche dove andrà la storia. Questa è una modalità che a me diverte molto perché procedo facendo crescere i personaggi con me, ma è una modalità molto più pericolosa, perché spesso dopo che hai già scritto 70 pagine, ti viene in mente l'intuizione su come fare finire il libro, e magari questa intuizione preclude almeno la metà delle cose già scritte, che perciò devono essere completamente rifatte perché non sono più in linea con lo sviluppo che hai infine deciso. Però a me serve così.

Altri dicono che scrivono tutti i giorni, mentre io ho bisogno di cominciare con un'idea, che nel caso della Dottrina del male era il nuovo ordine mondiale, poi ci sbatto dentro un personaggio, alla fine mi ci affeziono ma comincio a ragionare su ciò che lo circonda - la famiglia perfetta che poi viene rovinata -, e a quel punto il distopico passa in secondo piano. Ecco, Lucarelli non avrebbe mai costruito in questo modo; però c'è anche la modalità di Morozzi, che vuole avere il presente, l'inizio e la fine e non sa niente di quello che c'è in mezzo, però lui il finale ce l'ha ben chiaro. Io invece a volte il finale non l'ho già deciso.

Forse la cosa più disciplinata che ho scritto è il libro che uscirà l'anno prossimo, perché lì ho fatto una struttura più convenzionale, c'è un inizio e una fine precisi, e quindi è un libro più tradizionale, anche se ha le mie caratteristiche. Però anche lì sono partito e non avevo idea nemmeno di chi fosse il colpevole: alla fine è venuto fuori da solo, quasi senza che lo decidessi io.

 

DOMANDA: Ci vuoi dire qualcos'altro di questo romanzo?

 

RISPOSTA: Ma ti ho già spoilerato molto! C'è il principio dei Dieci piccoli indiani: alla fine se nessuno di questi dieci è colpevole, allora vuol dire che è qualcuno che hai già conosciuto prima...

 

DOMANDA: Hai mai pensato di dare uno sviluppo seriale a qualche tuo romanzo? va di gran moda, tutti "serializzano"...

 

RISPOSTA: D'altro canto paga anche molto, perché c'è un processo di immedesimazione nei personaggi. Anche in un corso di scrittura avevamo notato che tra i dieci film più visti nel 2019 otto avevano delle caratteristiche di serialità, cioè o erano palesemente seriali o erano i sequel di film precedenti. Vuol dire che la gente si affeziona tantissimo ai personaggi.

Il problema è che io non ce la faccio: per me, siccome in un libro si compie un esorcismo, finito il libro col personaggio ho già avuto a che fare tanto a lungo che non ho voglia di continuare a parlarne, oppure semplicemente ho voglia di raccontare altre storie. Non tutti gli scrittori amano i personaggi seriali...

 

DOMANDA: Conan Doyle ha tentato pure di ammazzare Sherlock Holmes ma il pubblico non glielo ha permesso...

 

RISPOSTA: Anche Agatha Christie con Sipario, che quando fu consegnato all'editore fu respinto, e si pare che Camilleri avesse scritto l'ultimo romanzo di Montalbano, che è custodito in qualche cassetto della Sellerio che lo farà uscire al momento opportuno. La Rowling penso che dopo vent'anni passati nella scuola di magia di Hogwarts con Harry Potter...

Insomma, diventa una schiavitù, anche se ci sono anche molti scrittori che si continuano a divertire. Varesi alterna romanzi con il suo personaggio seriale Soneri con il libro sulla Resistenza, a mio avviso molto bello: ha trovato la sua dimensione alternando il personaggio seriale, con il quale sembra un po' di ritornare alla serata con gli amici, all’occasione in cui si conoscono nuove persone. Io preferisco conoscere sempre nuove persone...

 

DOMANDA: Quindi non sapremo mai se Ivan Cataldo è diventato primo ministro oppure no...

 

RISPOSTA: Si presterebbe molto: in effetti è il romanzo, tra quelli che ho scritto, che ha di più le caratteristiche della serialità e potrebbe essere il plot di una prima serie televisiva, alla quale ne segue poi una seconda in cui lui è diventato primo ministro, oppure non lo è diventato... Però io non scrivo tantissimo, perché  preferisco veramente ragionare su un libro per 2 anni - 2 anni e mezzo, e quindi prima devo sviluppare l'idea che ho in testa, non riprenderne una che ho già sviluppata - se però fossi uno scrittore che ti scrive 10 libri all'anno.... anche se poi magari anche quello è poco seriale… comunque, forse è più facile quando scrivi tanto. A me pare che con le serie ci si trovi un po' ingabbiati: ho molti amici serialisti che in occasioni private hanno confessato che piacerebbe loro scrivere di altro, ma l'editore impone di continuare ciò che ha già avuto successo.

 

DOMANDA: Penso a De Giovanni che deve ormai essere in una specie di lotta col tempo...

 

RISPOSTA: Io De Giovanni l'ho conosciuto che pubblicava ancora per Fandango, e anche se ci vediamo meno, siamo rimasti amici, ma è entrato in una dimensione talmente enorme che si fatica a mantenere i contatti. Quando lui pubblicava ancora per Fandango e l'unico suo personaggio era Ricciardi, mi è capitato due anni fa di invitarlo a un Festival di cui io avevo la direzione artistica: mancavano tre giorni all'inizio del festival e gli ho detto "Lo sai che non ho ancora ricevuto il tuo romanzo?" e lui mi ha risposto "Ma tu non lo hai ricevuto perché io non l'ho ancora finito, ma esce tra tre giorni". Quindi i tempi: mi ha detto che a volte non ha nemmeno il tempo di pensare a cosa fare. Però devo dire che io sono piuttosto convinto che se li scriva proprio lui i romanzi, perché è uno Stakanov della scrittura, è secondo me è un ottimo serialista perché è inevitabile che nel romanzo seriale ci siano comunque delle differenze qualitative... per l'amor di Dio, sicuramente anche Maurizio le avrà, però davvero lui ha degli standard molto alti pur uscendo con 4 libri all'anno e con serialità diversa. Forse avere tante serialità può essere una valvola di sfogo, poi ogni tanto De Giovanni esce con un personaggio seriale nuovo, a cui il lettore si affeziona. Insomma, è un bravissimo mestierante della scrittura, oltre che una persona davvero valida, una delle migliori persone che ho conosciuto nell'ambiente.

 

DOMANDA: Ti faccio un'ultima domanda: ti è rimasto qualche sogno o libro nel cassetto? qualche progetto che hai iniziato e non hai realizzato?

 

RISPOSTA: No, io in realtà sono uno dei pochi che non ha niente nel cassetto. Tutto quello che ho scritto mi è stato pubblicato. Sono rimaste delle idee nel cassetto: io continuo sempre ad avere un'idea - col libro che uscirà l'anno prossimo si chiude una sorta di trilogia nera - e la voglia sarebbe di un romanzo che non sia né umoristico come alcune cose che ho scritto, né nero... forse mi ci metterò dal 2021 al 2023-24.

E questo sogno nel cassetto è costituito dalla nebulosa di una decina di idee che mi stuzzicano, ma devo ancora pensare come metterle insieme: mi piacerebbe fare un romanzone corale, un romanzo che prescinda dai generi e che non sia incasellabile, sul modello dei molti americani che ho più amato alla Roth.

 

15 febbraio 2021