Maria Raffaella Cornacchia - Il labirinto da Ariosto a oggi: un percorso interdisciplinare

 

Il labirinto - «struttura ingegnosa e talmente complicata, per intreccio di stanze, corridoi, gallerie, da rendere assai difficile l’orientamento e quindi l’uscita a chi vi fosse entrato »[1] - è nel suo significato originale e mitologico uno spazio artificiale, un’architettura costruita dall’uomo e distinta dallo spazio naturale, in cui si può nascondere e incarcerare un pericolo (il Minotauro), oppure proteggere se stessi o un bene prezioso (come fanno l’ariostesco castello di Atlante o la biblioteca del Nome della rosa).

Se in origine il labirinto è stato associato all’idea di opera d’ingegno umano, sia pure ottenuta manipolando la natura come fanno i giardini all’italiana, nella fantasia collettiva, tuttavia, il suo significato si è esteso anche a luoghi naturali nel cui intreccio di percorsi e di elementi ripetuti sia facile smarrirsi, anche perché il cielo e gli astri, come in un edificio chiuso su se stesso, smettono di essere stabilmente visibili e/o di offrire sicuri punti di riferimento nello spazio e nel tempo. Principe dei labirinti naturali nella fantasia e nella letteratura europea è dunque il bosco, da quello delle fiabe alla selva oscura e, per l’appunto, «selvaggia» di Dante, alle tante foreste, da Ariosto a Tasso a Shakespeare e oltre. Di qui la rappresentazione topica del bosco-labirinto come locus horridus o come locus amoenus, peraltro spesso connotata appunto dall’inquietudine di una mutevolezza che può bruscamente trasformarlo da pacifico luogo di ambìto ristoro ad agghiacciante recesso di incognite minacce.

Lo smarrimento e il disorientamento causati da qualsiasi labirinto – ostile o difensivo – inducono dunque prevalentemente un senso di pericolo, di angoscia e di paura: e l’ignoto non è solo fiere feroci appostate nell’ombra o dietro un angolo cieco, ma anche l’incapacità di trovare stabili e razionali punti di riferimento, di far fronte all’inconscio senza un Virgilio che ci venga a salvare.

Per questo, è più facile affrontare il labirinto in due: Teseo e Arianna, Dante e Virgilio, Guglielmo e Adso… significa aver qualcuno con cui comunicare e ragionare, ma anche trovare nell’altro il punto fermo, la guida o il sodale, il filo che si dipana e riporta indietro.

Il labirinto si è fatto così, nel corso dei secoli, spazio sempre più metafisico e psichico che fisico, fino a diventare uno dei simboli più potenti e ricorrenti della contemporaneità, di cui schematizzo i più comuni correlativi:

 

  1. lo spazio chiuso e claustrofobico del labirinto come simbolo di solitudine, incomunicabilità, discriminazione e ingiustizia: non a caso, più autori del Novecento, da Borges a Dürrenmatt, hanno rielaborato con moderna empatia la figura del Minotauro, facendone il simbolo dell’uomo moderno, piombato senza colpa in un mondo-prigione incomprensibile.
  2. A partire dalle geniali intuizioni di Ariosto e Tasso, lo spazio inquietante e onirico del labirinto ha rinviato ai tortuosi percorsi dei nostri desideri, delle nostre paure e perfino della follia, fissati ad esempio nel 1980 nei potenti fotogrammi del film Shining di Stanley Kubrick.
  3. L’atto stesso della scrittura, così come quello della lettura e dell’esegesi testuale e filologica, sono stati raffigurati come il vagare di dita o occhi sulla carta del libro-labirinto: per trovare la strada, per risolvere l’enigma che forse conduce all’uscita, occorre decifrare i caratteri, che potrebbero tuttavia essere ingannevoli, lacunosi, dettati a caso, plurivoci o scritti con altro intento da quello che crediamo, e in una lingua sconosciuta. Ogni biblioteca e la letteratura stessa comportano perciò la sfida – tanto dello scrittore quanto del lettore – a un labirinto.
  4. La questione della combinatoria dei caratteri – inscindibilmente legata al problema di trovare la giusta «chiave» per decifrarli, sempre che ce ne sia solo una – riconduce all’immagine galileiana del libro della natura, che non è altro che un «oscuro laberinto», comprensibile solo a patto di decifrarne il linguaggio, che è quello matematico, e i caratteri, che sono figure geometriche. Ma nel Novecento in generale si registra molto meno ottimismo sulla capacità umana di comprendere e conoscere a fondo il labirinto dell’universo, che appare come una infinita biblioteca dalle implacabili geometrie, che però nessun visitatore ha mai potuto percorrere fino in fondo, secondo la straordinaria allegoria borgesiana.
  5. È in particolare la realtà contemporanea, quella della globalizzazione delle comunicazioni, degli usi e dei consumi, che si presta a essere percepita come un labirinto, anzi – secondo uno dei suoi aspetti più caratterizzanti – come il net, la rete o la tela delle interconnessioni informatiche planetarie (talvolta non meno insidiose di una ragnatela). Questo aspetto labirintico della società odierna è spesso raffigurato in letteratura nella città moderna (o post-moderna), anonima e priva di punti di riferimento, tentacolare e massificante, artificialmente illuminata dalle luci delle pubblicità, come appare in innumerevoli rappresentazioni cinematografiche distopiche, per lo più iconograficamente assai debitrici del profetico Metropolis di Fritz Lang (1927).
  6. Ciò non toglie il dovere etico, su cui tanti autori del Novecento (Calvino, Primo Levi, Gadda, Sciascia, Eco ecc.) hanno insistito, di cercare a tutti i costi il «filo» nel labirinto, di perseverare ostinatamente nella conoscenza e nella razionalità, per quanto limitati possano essere gli orizzonti umani: dal secondo Novecento, infatti, il romanzo tende a essere concepito come complessa rete di relazioni che aspirano a rappresentare l’universo intero. Di qui, il successo dell’idea del labirinto specialmente nelle trame poliziesche, in cui – è chiaro – il filo è l’indagine, da condurre comunque, anche se il detective sa che sarà sconfitto dalle forze ostili della storia, della politica, della società, del corrotto o limitato senso comune.

 

Il tema, come si vede, è amplissimo e attualissimo, e di alcuni suoi risvolti chiedeva già conto la traccia B1 dello scritto di italiano  dell’Esame di Stato 2011-2012 (https://www.istruzione.it/esame_di_stato/Secondo_Ciclo/tracce_prove_scritte/2012/P000.pdf), che oggi non verrebbe più proposta in tale forma (il discussissimo «centone»!), ma che pure presupponeva, per essere svolta adeguatamente, un almeno sommario quadro d’assieme di uno dei temi come s’è detto più importanti della letteratura e della cultura contemporanea.

Nella Presentazione che alleghiamo, l’insegnante può trovare un filo d’Arianna (è il caso di dirlo!), che dalla letteratura italiana si allarga ad altre discipline, ma che non pretende né di essere esaustivo né di essere l’unico (del resto, chi ha detto che esista una sola strada per percorrere il labirinto?), ma che ha almeno il merito di non appesantire con lunghe spiegazioni gli agili spunti che ognuno potrà curvare in modo personale e mirato alla propria utenza e ai propri obiettivi.

Personalmente, propendo a svolgere il percorso in quarta superiore, a partire dalla lettura di alcuni famosissimi testi di Ariosto e Tasso, per aprire a questioni e letture della contemporaneità, anticipando così alcuni argomenti di quinta. Perciò, nella Presentazione i testi del '500-'600, presumibilmente inclusi nel libro di testo, sono presentati in forma schematica, mentre quelli novecenteschi sono riportati in forma più estesa.

Tuttavia, oltre alla Presentazione, mettiamo a disposizione anche un apparato documentario che permette di approfondire alcuni autori o aspetti della questione e di far svolgere agli studenti un esercizio di analisi autonoma:

  1. Labirinti nell’Orlando Furioso e nella Gerusalemme Liberata: due testi di Ariosto e due di Tasso, corredati da distinte presentazioni e da una lettura critica per ciascun autore;
  2. Il “labirinto” di Bomarzo: dal giardino all’italiana al gusto del grottesco: un percorso – che può essere svolto «virtualmente» con una ricerca online di immagini o come vera e propria visita didattica – in un labirinto italiano reale, la cui storia millenaria lo fa suggestivo punto di incontro tra epoche e concezioni diverse;
  3. Il Minotauro e il labirinto in Borges: due tra i più celebri racconti dello scrittore argentino,  le cui immagini sono divenute quasi degli archetipi nella fantasia contemporanea e nel cosiddetto Postmodernismo;
  4. J. L. Borges, I due re e i due labirinti – Esercizio di analisi: la proposta di un’analisi testuale da compiere alla fine del percorso rispetto a un breve racconto di Borges meno noto dei due precedenti, presentato con l’originale in spagnolo a fronte per chi volesse compierne un’esame più approfondito sul piano filologico-linguistico o interdisciplinare, con l’aiuto dei colleghi di lingue straniere.

 

 

 15 febbraio 2022

 


[1]     https://www.treccani.it/enciclopedia/labirinto/.