Storie di superstiti e assenze in Dissipatio H.G di Guido Morselli e Io sono leggenda di Francis Lawrence
1. Problemi di metodo e soluzioni
Introdurre Guido Morselli tra lo sparuto numero di autori novecenteschi che si studiano a scuola può sembrare un’operazione - se non ambiziosa - quantomeno ostica. Questo per almeno due ordini di motivi. Il primo è da attribuirsi allo stile della scrittura di Morselli, il quale non risulta sempre di facile comprensione. Infatti sebbene l’italiano dello scrittore sia piano e lineare, il lessico alto e l’ampia ricorrenza di citazioni possono scoraggiare un primo tentativo di approccio ai suoi testi. A ciò si aggiunga anche la complessa vicenda editoriale di Morselli che rende, se non impossibile, improbabile la canonizzazione dell’autore. Ironico e iconico è infatti il processo di pubblicazione delle opere morselliane - per tutta la vita respinte dalle diverse case editrici - incominciato appena qualche mese dopo la morte, per suicidio, dell’autore (il 30 luglio 1973). Eccettuata la fama postuma raggiunta dallo scrittore lombardo (d’adozione) in seguito all’esplosione del “caso Morselli”, la fortuna del grande pubblico non arrise mai alla sua opera; né le cose sono cambiate in questi ultimi trent’anni, in cui i libri di Morselli si sono sempre più configurati come destinati a pochi, studiosi o lettori colti. Ciò non toglie, tuttavia, che un percorso didattico orientato alla riscoperta di Morselli e alla sua introduzione a scuola possa fornire spunti di riflessione validi e significativi. Per raggirare il doppio ostacolo, che abbiamo esposto, ci proponiamo di incontrare Morselli all’interno del suo ultimo romanzo, Dissipatio H.G., e di farlo accostando quest’ultimo al film Io sono leggenda. L’opera cinematografica, frutto di un riadattamento dell’omonimo romanzo del’ 54 di Richard Matheson, ben si presta infatti, non solo a fornire alcune chiavi di lettura dell’apocalisse morselliana, ma anche a costituire una strategia di avvicinamento al testo didatticamente utile.
Notiamo qui solo cursoriamente (torneremo in conclusione sulla questione, suggerendo anche approfondimenti e letture) l’attrattività di un tema che costituisce un elemento portante e ricorrente nell’immaginario contemporaneo, e che si lega a questioni enormi come l’olocausto nucleare; le tragedie pandemiche; l’invasività dell’uomo nel pianeta (nell’età dell’Antropocene); il problema ecologico e della sostenibilità dell’impatto ambientale.
2. Un importante richiamo intertestuale: Le Operette morali
Il percorso didattico che ci apprestiamo a tracciare non può prescindere dal chiamare in causa il nome di Giacomo Leopardi: un accostamento, quello di Morselli al classico ottocentesco, che mentre conferma la potenza filosofica e immaginativa di alcune intuizioni del Recanatese (e quindi, in definitiva, la sua ‘attualità’) consente di collegare Morselli a un autore ben radicato nella pratica scolastica.
Scomodare un grande, come vedremo, non risulta un’azione azzardata e conchiusa in sé. Non è possibile, infatti, ignorare l’atmosfera ironica e beffarda che si respira in Dissipatio H.G. e che così da vicino somiglia a quella di alcune Operette morali. Specie in quelle nelle quali si parla della scomparsa dell’uomo.[1] Il tema dell’estinzione della specie umana è predominante soprattutto in Dialogo di Un folletto e di uno gnomo.
Link 1 – Dialogo di un folletto e di uno gnomo
In questa sede Leopardi immagina la discussione tra due creature fantastiche: uno gnomo che viene mandato dal padre a scoprire cosa stanno combinando gli uomini che non si vedono più in giro e un folletto che, con sussiegosa soddisfazione, ne annuncia la sparizione. Occorre porre l’attenzione sul tono demistificatore con cui il folletto irride le pretese umane di essere la ragione del mondo. Si pensi al seguente brano:
GNOMO Né anche si potrà sapere a quanti siamo del mese, perché non si stamperanno più lunari.
FOLLETTO Non sarà gran male, che la luna per questo non fallirà la strada.
GNOMO E i giorni della settimana non avranno più nome.
FOLLETTO Che, hai paura che se tu non li chiami per nome, che non vengano? o forse ti pensi, poiché sono passati, di farli tornare indietro se tu li chiami?[2]
Ciò che intende dire il folletto è che la fine dell’uomo non pregiudica la continuità del mondo e della vita in generale. Anzi a essere preso di mira è proprio l’antropocentrismo che si abbarbica sulla convinzione che la razza umana sia indispensabile alla Terra. Un simile tono sarcastico e demistificatorio echeggia in Dissipatio H.G., dove l’anonimo protagonista, che è l’ultimo uomo rimasto sul pianeta, racconta della situazione paradossale in cui si trova. Dalla notte del 2 giugno, infatti, l’umanità s’è come volatilizzata senza lasciare alcuna traccia e per un ironico contrappasso solo lui, intento a tentare il suicidio all’interno di una grotta, è stato eccettuato dal giudizio universale. Questa cronaca degli eventi, cui segue anche una sparuta cronaca interiore, tradisce il punto di vista fortemente anti-antropocentrico dell’ultimo uomo. Sono diversi i passi in cui le sue parole si scatenano contro i suoi simili:
La loro colpa peggiore, o più recente, era l’Imbruttimento del mondo. Si usava aggiungere altre imputazioni: l’Inquinamento, l’Inferocimento (anzi, con eufemismo, la ‘violenza’). L’Inflazione. (Senza eufemismo: la peste monetaria).[3]
Un ulteriore punto di contatto tra l’operetta sopracitata e il testo morselliano è il seguente brano, tratto dal Dialogo di un folletto e di uno gnomo:
Gnomo. Sia come tu dici. Ben avrei caro che uno o due di quella ciurmaglia risuscitassero, e sapere quello che penserebbero vedendo che le altre cose, benché sia dileguato il genere umano, ancora durano e procedono come prima, dove essi credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per loro soli.[4]
Il desiderio espresso dallo Gnomo sembra offrire l’abbrivio alla narrazione di Morselli. Sebbene infatti intercorra oltre un secolo e mezzo tra le due opere, l’apocalisse di Dissipatio H.G. sembra costruirsi attorno al suggerimento dello gnomo. Lasciare un ultimo superstite perché constati l’inutilità delle pretese antropocentriche dell’umanità: questa è l’operazione narrativa compiuta da Morselli, come si evince all’inizio del romanzo.
In apertura del libro l’ultimo uomo (o ‘ex uomo’, come egli si definisce) annovera le tracce rimanenti degli esseri umani: due di natura verbale (proveniente da un notiziario e dalla radio) e due visive (immagini pubblicitarie). L’elenco delle “reliquie” denuncia una razionalità per nulla scalfita dal mese e mezzo trascorso in assoluta solitudine. Inoltre l’avvicendarsi delle differenti degradazioni di panico, incredulità, paura e rassegnazione riassume in poche parole l’intero racconto dell’ultimo uomo. Dissipatio H.G. è infatti la narrazione di un io che si definisce fobantropo in quanto ha paura dell’uomo «come dei topi e delle zanzare, per il danno e il fastidio di cui è produttore inesausto»,[5] che dopo aver giocato a lungo a parentesizzare[6] l’esistenza altrui (cioè a immaginarsi l’unico essere umano vivente) si ritrova veramente l’unico sopravvissuto. Nulla accade di eclatante, pauroso o avventuroso nella trama di questo romanzo che può essere letto nei termini di un dialogo in assenza che il protagonista pronuncia attendendo l’altro, come vedremo in seguito.
3. Io sono leggenda e Dissipatio H.G.
Diretto nel 2007 dal regista Francis Lawrence e interpretato da Will Smith, il film narra la storia di Robert Neville, scienziato e tenente dell’esercito americano, nonché ultimo superstite di una terribile pandemia. New York, 2012, quella che era stata spacciata come cura per il cancro degenera in un virus detto di Krippin – dal nome della dottoressa che lo ha sviluppato – che uccide la stragrande maggioranza della popolazione. In alcuni casi però il virus, degenerando, ha reso le persone infette simili a degli zombie, private di ogni caratteristica umana, razionale ed emotiva, costretti a nascondersi dalla luce solare. Inoltre soltanto l’1% della popolazione mondiale è immune al contagio e tra questi c’è il protagonista che si convince di essere rimasto totalmente solo al mondo. Senza addentrarci ulteriormente nella trama, cominciamo con l’individuare alcune somiglianze con Dissipatio H.G., pur senza dimenticare le significative differenze. Nell’opera di Morselli, infatti, nessuna epidemia annienta gli uomini, né un disastro naturale li cancella dal pianeta o una misteriosa nube purpurea (ci riferiamo all’omonimo romanzo di Matthew P. Shiel) li uccide in massa. L’ultimo uomo, e anche il lettore, non saprà la vera ragione dell’assenza dell’umanità. Da un giorno all’altro, dalla notte alla mattina gli uomini, le donne, i bambini abdicano senza lasciare alcuna traccia di sé. Occorre soffermarsi un momento sul brano in cui il protagonista tenta di darsi una spiegazione, chiamando alla raccolta il suo bagaglio erudito.
Link 3 – Dissipatio humanis generis
Ciò non soltanto perché esso consente di comprendere meglio l’ambigua vicenda in cui egli si trova invischiato, ma anche perché ci consente alcune riflessioni sullo stile di Morselli. È impossibile non notare il massivo gioco citativo cui l’autore si lascia andare. Nel romanzo di Morselli la citazione assume un valore fondamentale: in quanto le parole degli altri non si limitano a confermare e ad avvalorare le proprie idee, ma istaurano anche una viva conversazione con la voce narrante. Nel contesto di un’apocalisse quasi totale, l’introduzione di brani o nomi noti assume una fondamentale funzione dialogica iscrivendosi in un tentativo apotropaico di colmare la solitudine del sopravvissuto.
Ancora un aspetto degno di essere messo in luce è l’assoluta falsità e inattendibilità delle opere e degli autori citati. Non esiste insomma alcun Salviano da Treviri e neppure una Dissipatio Humani Generis attribuibile a un certo Giamblico. Ecco che allora il desiderio di irridere e gettare in confusione orde di potenziali studiosi, che si intravede dietro questi falsi riferimenti bibliografici, lascia trapelare un’ulteriore peculiarità del romanzo morselliano: l’uso sistematico dell’ironia. Si legga, a tal proposito, la chiusura del brano sopracitato, dove l’ultimo uomo si chiede se si è salvato dalla dissoluzione perché è pagano o perché è un peccatore e conclude che non è possibile escludere l’uno o l’altro dei motivi.
Addentrandoci nel tentativo di rintracciare le somiglianze del romanzo morselliano con Io sono leggenda, sarebbe auspicabile la visione in classe di alcune sequenze del film.
Link 4: Io sono leggenda inizio ita - YouTube
La scena iniziale mostra Robert Neville a bordo di una ruggente macchina da corsa. Tutt’intorno è deserto e silenzioso. Le piante hanno incominciato a crescere sull’asfalto e ad arrampicarsi sugli edifici. Il protagonista è colto attraverso una ripresa dall’alto, che rende la desolazione di quella che un tempo era stata la Grande Mela, mentre insegue a tutta velocità un branco di cervi. L’immagine degli animali che fuggono tra le carcasse di auto parcheggiate, sullo sfondo di negozi dalle insegne consunte, risulta molto evocativa. E altrettanto potente è la scena, di qualche minuto successiva a questa, nella quale una leonessa ruba la preda di Robert Neville per sfamare i suoi leoncini. Con la fine del governo dell’uomo, la natura sembra aver ripreso il dominio del mondo. Gli animali hanno invaso la città, così come le piante, cacciano e vivono tra le decadute insegne dell’umanità. Uno scenario simile è descritto dal protagonista di Dissipatio H.G. nel capitolo VII. Qui l’ultimo uomo dice di aver ricevuto un’importante – seppure non richiesta – prova dell’irreversibilità dell’evento: la visione di una famiglia di camosci scesi a valle. Accanto a questa evidenza se ne pone poi un’altra: il proliferare e il riprodursi degli uccelli che sono diventati numerosi. Il superstite legge dietro questi eventi il chiaro segno dell’assenza dell’uomo. Da quando infatti la razza di bipedi si è volatilizzata, la natura sembra essersi risvegliata. Essa ha vinto sull’uomo, con gli animali che prendono possesso delle cose, invadono gli edifici, dissacrano i templi umani, come i «I gatti [che] si inseguono ai piedi dei monumenti della finanza Mitteleuropea, anzi Continentale. Ci fanno l’amore, strillando perversamente.»[7] o la gallina che beccuzza foglie fradice dietro i cancelli dell’Unione Bancaria.
Link 5 – La natura riprende possesso del mondo
La solitudine irrisolta dei due protagonisti (del romanzo e del film) li spingono a ricercare un dialogo con l’esterno. La parola pronunciata ad alta voce è vissuta come strumento di difesa della propria umanità. Così Robert Neville rivolge i suoi discorsi alla sua cagnolina Sam e l’ultimo uomo cita e riporta racconti del passato per istaurare un dialogo coi scomparsi. Un punto in comune di sorprendente valore umano è il rapporto che i due personaggi istaurano coi manichini. Fatti di cartapesta o plastica essi sono gli unici detentori delle fattezze umane ed evocano la memoria di un’umanità trascorsa, meno autentica forse ma più disciplinata e silenziosa.
Si veda il seguente filmato:
Link 6: Io sono leggenda buongiorno Fred ita - YouTube
Robert Neville si reca insieme a Sam presso una videoteca dove restituisce un filmato e ne prende in prestito un altro. La cosa sorprendente è che egli saluta i manichini e gli rivolge delle domande come se essi fossero davvero vivi e capaci di rispondergli. Verso la fine della sequenza egli ha notato una donna di spalle e sembra essere attratto da lei tanto da promettere a Sam (sempre parlandole ad alta voce) che l’indomani tenterà di approcciarla. Interessante, in questa sede, è notare il processo di umanizzazione che viene messo in atto da Neville nei confronti dei manichini. In assenza degli altri esseri umani, questi fantocci che ne riproducono le fattezze consentono di preservare una parvenza di normalità. È chiaro poi che il protagonista è ben cosciente del carattere finzionale, ma rassicurante, di questa sua farsa. Un passaggio molto simile si legge in Dissipatio H.G. dove l’ultimo uomo decide di ripopolare la città, servendosi di alcuni manichini sottratti al Grande Emporio.
Il superstite ironizzando sull’assunto di Roland Barthes «che la materia è ben più preziosa della vita» investe i manichini del ruolo di sopperire all’assenza dell’umanità. Pur essendo consapevole dell’inutilità di un simile tentativo di ripopolamento, il protagonista non manca di mostrare un attaccamento affettivo ai suoi amici. Sicché quando essi vengono gettati a terra dal vento, si decide a porli a sedere in macchina così da permettere che l’umanità «ritrov[i] con soddisfazione i suoi atteggiamenti prediletti». La differenza sostanziale ricavabile dalle situazioni riportate, tra loro abbastanza simili, consta nel giudizio ironico che traspare nel brano di Dissipatio H.G. Se l’atteggiamento di Neville è neutrale e tradisce solo il bisogno di una parvenza di normalità, al contrario quello dell’anonimo protagonista dell’apocalisse morselliana si carica di ambiguità. Da una parte traspare, infatti, la nostalgia di un’umanità perduta eppure dall’altra tale mancanza non è avvertita nei termini di una totale disgrazia. L’ironia del protagonista pone più di una riserva a questa nostalgia. Insomma la solitudine grava, ma non tanto da far rimpiangere il mondo popolato dagli uomini; non al punto da riuscire a dimenticare e perdonare le colpe dell’umanità: l’inquinamento, l’imbruttimento del mondo, il rumore ecc. ecc.
In entrambi i casi, tuttavia, risulta evidente che i due personaggi vedano nella creazione di un’alterità un procedimento necessario per non smarrire la propria identità. Accanto alla costruzione di una realtà abitata da presenze fantasmatiche (si pensi al dottorino Karpinskiy nel caso di Dissipatio H.G. o ai continui ricordi di Neville sulla sua famiglia) o da manichini, s’affaccia anche il desiderio di un reale contatto con l’altro. È il caso di quanto accade all’ultimo uomo dopo la notte del 2 giugno. Quando si sveglia frastornato dalla botta che ha dato contro uno spuntone di roccia, uscendo dalla grotta dove ha tentato il suicidio, il protagonista non sospetta ancora nulla. Sarà il rinvenimento di un’auto incidentata a spingerlo a cercare soccorsi per prestare aiuto agli eventuali feriti. Ma in città non c’è un’anima viva. Sulle prime egli non si scoraggia: il 2 giugno è infatti la festa nazionale del Ringraziamento e ciò potrebbe spiegare la calma delle strade. Il primo sospetto sorge nel momento in cui egli si avvede che persino la stazione è vuota, che nessun treno parte o arriva. Dei gendarmi poi nessuna traccia. Il dubbio diventa via via più invasivo quando egli decide di recarsi all’aeroporto di Teklon.
Link 8 – La ricognizione in aeroporto
Grazie al telefono dell’istallazione dell’italiano Mattiacci, egli ha raggiunto lo studio dentistico del Dr. Ibn Yussef, Ahmed, presso il 142 Boulevard de la Poissonnière e sebbene abbia udito soltanto una voce preregistrata, decide di tentare un viaggio in Francia. Una volta giunto all’aeroporto, tuttavia, deve ammettere la desolazione che vi si respira. Nessun volo parte e nessuno arriva. Tutto è calmo e disabitato. Anche qui l’umanità s’è dissolta nel nulla. Il progetto dell’ultimo uomo di vegliare in attesa di qualcuno che arrivi sarà deluso dall’evidenza: dopo 11 ore di attesa nessuno avrà fatto capolino. Eppure la ricerca forsennata di qualcuno prosegue imperterrita: all’escursione in una vecchia base militare segue quella nella città dell’ex fidanzata Tuti. Più oltre egli tenterà persino di recarsi nelle vecchie miniere di Alpa per vedere se qualcun altro è stato eccettuato, come d’altronde è capitato a lui, per il fatto di essere sottoterra. Anche in questo caso, però, nulla da fare. Al superstite non resta che convincersi del paradossale stato in cui si trova, ma riconosciuta l’eccezionalità della sua vicenda non demorde. Ecco, allora, che ritorna all’aeroporto e lascia un messaggio per ogni possibile avventore:
Link 9 – La ricerca degli altri superstiti
L’ex uomo prega chiunque legga il messaggio di venirlo a trovare presso Widmad, dove abita. Lo stesso messaggio disperato, ma al tempo stesso colmo di aspettativa, è affidato alla radio dal superstite Robert Neville.
Link 10: Io sono leggenda sono un sopravvissuto ita - YouTube
Ogni giorno a mezzogiorno, quando il sole è più alto in cielo, il protagonista si reca nel porto di South street e dà appuntamento a eventuali superstiti, promettendo loro cibo, assistenza e protezione. In ambedue i casi il porto e l’aeroporto sono luoghi di passaggio e di incontro. E la speranza di imbattersi nell’altro diviene tanto preponderante che la vita interiore dei personaggi si acuisce. Povere di eventi le loro giornate si colmano invece di ricordi tratti dal passato. Il caso più emblematico è leggibile tra le pagine di Dissipatio. Il protagonista, difatti, è tanto proteso verso la sua vita interiore da registrare persino le conversazioni avute in passato. Si pensi, ad esempio, a quella col professor Mylius che è quasi integralmente riportata, per via dello strano assunto dell’amico ormai scomparso:
Mylius – Occorre partire dalla premessa realistica di ciò che significa per noi ‘essere morti’. Impartecipazione al mondo esterno, insensibilità, indifferenza. Stabilito che la morte è questo, si conclude che la vita le assomiglia, il divario essendo puramente quantitativo. Idealmente, la vita dovrebbe essere apprendimento, esperienza, interessi […][8]
Ciò che afferma sembra quasi una profezia della morte in vita che spetterà al protagonista. Ma ancora più emblematica di questa tendenza del personaggio morselliano a ricercare un contatto con l’alterità è il continuo affollarsi di brani di conversazioni e ricordi del periodo di degenza presso Villa Verde e più nello specifico del dottorino Karpinky che lo aveva in cura:
L’avvicendarsi di episodi tratti dalla memoria del protagonista e riletti in prospettiva raggiunge la sua acme in un particolare momento pregno di suspense narrativa. L’ultimo uomo riceve infatti una chiamata dalla cabina telefonica accanto alla quale si trova. Risponde e rimane sorpreso e meravigliato. La voce, per nulla metallica, che ode dall’altra parte è quella di Karpinsky. Ma possibile che proprio l’unico morto per davvero (di fatti il dottorino era stato pugnalato intervenendo durante una rissa tra colleghi) sia l’unico vivo? L’unico capace di mettersi in contatto con l’ultimo uomo?
Link 12 – Allucinazione Karpinsky
La promessa di Karpinsky cambia totalmente l’andamento della trama. Da questo momento non è più l’ultimo uomo a cercare qualcuno, ma egli sa di essere atteso e deve tentare di capire dove avverrà l’incontro. Sorvoliamo sul potentissimo simbolismo di Karpinsky, sulla funzione ieratica incarnata dal suo farsi imago Christi e limitiamoci a constatare come la creazione di un altro, reale o immaginario che sia (non c’è dato di saperlo), sia garanzia della sopravvivenza del soggetto. Il superstite morselliano, infatti, non ama l’umanità e non soffre particolarmente la solitudine di cui s’è sempre circondato, ma a un certo punto della vicenda necessita di un baluardo a cui aggrapparsi per non smarrire la propria identità.
Come asserisce compiutamente Ettore Finazzi Agrò, infatti:
Antidoto alla paura di un annullamento dell’io, pertanto, il tu appare una strada ineluttabile verso la ricostruzione del soggetto: un suo doppio necessario che socializza la parola sottraendola all’inconcludenza del solipsismo […]. Anche un egoista convinto, un asociale inveterato come il protagonista di Dissipatio H.G. deve prenderne atto, non senza aver prima tentato, tuttavia, una difesa aristocratica della propria capacità di pensare e di esprimersi in absentia. […].[9]
Lo stesso affollamento di ricordi e conversazioni del passato caratterizza la vita dello scienziato Robert Neville.
Link 13: Io sono leggenda sigillano l'isola ita - YouTube
In questo brano il protagonista ricorda un momento pregnante del suo passato. Quello in cui va a prendere la moglie e la figlia per farle fuggire prima che la città di New York sia messa in quarantena e i ponti siano fatti esplodere. Il virus, infatti, è diventato molto più aggressivo e può essere trasmesso per via aerea. Questo non è l’unico momento in cui Neville si lascia andare alle memorie del passato. In diverse occasioni la sua vita di sopravvissuto viene sconvolta da flashbacks che approfondiscono la sua caratterizzazione psicologica. Sia in Io sono leggenda che in Dissipatio H.G., le memorie del passato consentono di preservare la propria umanità e di non smarrire il proprio sé all’interno del nulla in cui si è precipitati. La conclusione del film, tuttavia, non somiglia affatto a quella del romanzo di Morselli. Alla fine, infatti, Robert Neville sarà raggiunto da Anna e Ethan, altri due superstiti diretti verso una colonia di sopravvissuti e l’esito positivo della sua sperimentazione umana gli consentirà di salvare la razza dall’estinzione e di far sì che il mondo si ripopoli. Al contrario Dissipatio H.G. rimane aperto, senza alcun finale.
Il protagonista si è trasferito nell’odiata Zurigo, da lui soprannominata sarcasticamente Crisopoli (ovvero città dell’oro), con la speranza di incontrare Karpinsky, ma alla fine del romanzo nessuna palingenesi è sopravvenuta. Niente di nuovo o di definitivo accade. L’ultimo uomo siede su una panchina e guarda la vita che si prepara nell’eternità.
4. Perché è importante leggere Morselli a scuola?
A questo punto del nostro percorso, conviene trarre le conclusioni. Introdurre Guido Morselli a scuola – e farlo attraverso questo romanzo apocalittico - potrebbe essere utile per affrontare alcune tematiche determinanti. Una di queste è l’ecologia. L’ambientalismo, come gruppo dedito al sostegno delle politiche ambientali e alla tutela della natura nasce a metà degli anni ’60 del Novecento. Sulla scorta di ciò, Dissipatio H.G. potrebbe essere letto in chiave dell’amore dell’ultimo uomo (nonché di Morselli)[10] nei confronti dell’ambiente e del suo odio contro gli uomini per la loro inveterata abitudine di sporcare, di inquinare, di tormentare gli animali. La presenza della natura tiene compagnia all’ultimo uomo che non soffre per il silenzio da assenza umana, perché continua a essere circondato da animali che emettono i loro versi.
Link 15 – Il potere consolatorio della natura
La natura che consola e conforta l’ultimo uomo non si è accorta della notte del 2 giugno. Non sembra avere cambiato le proprie abitudini o il proprio corso anzi tutto procede identico: gli uccelli non hanno smesso di cantare, i ghiri di farsi i denti, i gufi di uscire di notte. L’ indifferenza della natura offre il destro per un ulteriore riflessione sul testo: quella relativa all’anti-antropocentrismo. Occorre dire che Morselli è un convinto negazionista della centralità dell’uomo e della sua superiorità sul resto del creato.
In diverse sedi egli ha espresso le sue rimostranze circa la tendenza dell’essere umano a sentirsi padrone del mondo. Per tutti valga questo brano, frutto di una riflessione scaturita dalla foto della Terra scattata, dalla Lunar Orbiter, a 40 km da essa e uscita sul «Corriere della sera» il 27 agosto 1966:
[…] Ci siamo tutti, i morti come i vivi, e c’è tutto, la materia e lo spirito, i pozzi di petrolio e le colonne del Partenone, i relitti dei galeoni in fondo agli oceani e gli incunaboli dei musei, le minigonne e le grotte degli anacoreti, ciò che resta della gloria di Cesare e dei successi di Maurice Chevalier, i fossili del Devoniano e la volontà di potenza, le Tavole della Legge e le schedine del Totocalcio. —, quest’immagine ridimensiona il valore dell’uomo e della sua azione, dimostrandone la pochezza rispetto allo spazio sconfinato che contiene il suo mondo […] Con questa foto finisce la Storia come creazione dell’uomo; non finisce invece la storia come ciclo biologico ed evoluzione attraverso i secoli e l’uomo, soggetto relativo, deve finalmente riconoscere di esistere appartenendovi.[11]
La foto del Pianeta Terra, visto dall’alto, cancella ogni pretesa antropocentrica. L’uomo non è che un’infinitesima parte del mondo: non ne è il centro né la ragione della sua esistenza. Sicché è pienamente comprensibile l’irrisione beffarda del sopravvissuto di Dissipatio H.G. nei confronti di una possibile fine del mondo.
La fine del mondo?
Uno degli scherzi dell’antropocentrismo: descrivere la fine della specie come implicante la morte della natura vegetale e animale, la fine stessa della Terra. La caduta dei cieli. Non esiste escatologia che non consideri la permanenza dell’uomo come essenziale alla permanenza delle cose. Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non che possano finire dopo di noi. Il vecchio Montaigne, sedicente agnostico, si schierava coi dogmatici, coi teologi: «Ainsi fera la mort de toutes choses notre mort».
Andiamo, sapienti e presuntuosi, vi davate troppa importanza. Il mondo non è mai stato così vivo, come oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo. Non è mai stato così pulito, luccicante, allegro.[12]
5. Ulteriori suggerimenti
Ambientalismo e anti-antropocentrismo sono dunque due facce della stessa medaglia per Guido Morselli e per il suo ultimo personaggio. A partire da questi temi è possibile orientare la riflessione sull’attualità. Le alunne e gli alunni potrebbero domandarsi quanto ancora sia diffusa la convinzione che l’uomo sia il centro del mondo e che il creato sia al suo servizio e in quali casi tale convinzione risulta evidente. Un ulteriore spunto sarebbe quello di introdurre l’Agenda 2030, con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, e provare a discuterne in classe. Sarebbe parimenti interessante avviare un dibattito sulla fine del mondo per provare a rispondere alla domanda che sembra essersi posto lo stesso Morselli: cosa accadrebbe se davvero l’umanità sparisse dal pianeta? L’inquinamento cesserebbe o si presenterebbero altre problematiche?
Ancora un sentiero da percorrere potrebbe essere quello di approfondire la tematica dell’apocalisse. Ad esempio si potrebbe fare una cernita di altri autori italiani – o stranieri – del Novecento che hanno scritto della fine del mondo. Solo per fare due nomi si pensi al Buzzati del racconto La fine del mondo o al romanzo La stella Assenzio di Livia De Stefani. Quest’attività potrebbe rendere ancora più intelligibile l’originalità del romanzo di Morselli. Dissipatio H.G. è, difatti, un romanzo post-apocalittico sui generis in quanto manca dello stile apocalittico e conserva un italiano piano, regolare, una flemma fuori dagli schemi.
E allora, per concludere, il mondo di Dissipatio H.G. è un mondo abitato dall’assenza umana e dalla convinzione che «l’idolatria della comunicazione era un vizio recente. E la società, dopotutto, era semplicemente una cattiva abitudine».[13]
Così, in fin dei conti, il lettore può assistere, assieme all’ultimo uomo, al depositarsi degli strati d’erba che invadono l’asfalto e a poco a poco cancellano anche il ricordo di una specie che un tempo si credeva necessaria e che non era altro che una manciata di polvere impastata di arroganza.
[1] Oltre al Dialogo di un folletto e di uno gnomo, su cui ci concentriamo, si veda il Dialogo tra Ercole e Atlante e L’accademia dei Sillografi.
[2] Dialogo di un folletto e di uno gnomo in G. Leopardi, Operette morali, a cura di L. Melosi, Rizzoli (BUR), Milano, 2008, p.158,
[3] G. Morselli, Dissipatio H.G., Adelphi, Milano 1977, p. 65.
[4] G. Leopardi, Operette morali, cit., p.159.
[5] G. Morselli, Dissipatio H.G., cit., p. 45.
[6]Per approfondire la parentesizzazione - definita da Domenico Mezzina, «meccanismo ermeneutico-narrativo morselliano consistente in una temporanea sospensione dei normali parametri di vita e di percezione»[6] (Domenico Mezzina, Le ragioni del fobantrobo, Stilo editrice, Gorgonzola 2011, p. 143) – si vedano anche:
E. BORSA, S. D’ARIENZO, Note al testo di Un dramma borghese in Romanzi I., Adelphi, Milano 2002 pp.1589-1590.
I. BATASSA, Nei dintorni del fantastico: Morselli e Buzzati, in AA.VV., Guido Morselli, Un Gattopardo del Nord, a cura di Linda Terziroli e Silvio Raffo, Pietro Macchione editore, Varese 2016 p.17.
[7]Dissipatio H.G., p. 12.
[8] Ivi., p. 77.
[9] E. Finazzi Agrò, Apocalypsis H.G.: una lettura intertestuale della Paixao sugundo G.H. e della Dissipatio H.G, Roma, Bulzoni Editore, 1984, pp. 82-83.
[10] Si veda a tal proposito A. Bortuluzzi, Morselli ecologista nella città giardino, in AA. VV., Guido Morselli, un Gattopardo del nord, a cura di Linda Terziroli e Silvio Saffo, cit., p.28.
[11] G. Morselli, Diario, Adelphi, Milano 1980, pp.278-280.
[12] ID., Dissipatio H.G., cit., p. 56.
[13] Ivi, p. 74.