1. Le tracce che non leggiamo quasi mai
L’opinione pubblica, annualmente, riceve attraverso i mezzi di comunicazione un’idea, vaga e sbrigativa, delle tracce assegnate nella sessione ordinaria dell’esame di Stato. Svaniti gli effimeri commenti giornalistici sui temi di giugno, cala una coltre d’indifferenza sulle tracce della sessione suppletiva di luglio (come del resto è naturale, data l’esigua quantità di studenti coinvolti), e ancor più su quelle della sessione straordinaria di settembre, che talora persino noi insegnanti, concentrati sull’avvio delle lezioni del nuovo anno scolastico, dimentichiamo di visionare. Per i docenti di Lingua e letteratura italiana, invece, l’esame delle tracce assegnate nelle sessioni suppletiva e straordinaria è di grande interesse, sia per poterle utilizzare nella didattica ordinaria, con le opportune modifiche, sia per meglio intendere gli orientamenti ministeriali, e su quelli calibrare le esercitazioni didattiche.
In questa sede, sperando di fare cosa non inutile, prendiamo in considerazione le tracce assegnate il 13 settembre scorso nella prima prova della sessione straordinaria 2022-2023.[1]
2. Le tracce della tipologia ‘A’
La proposta ‘A1’ offre al candidato il testo della poesia di Primo Levi, La bambina di Pompei, tratta dalla raccolta Ad ora incerta (1984). Una poesia di Levi, all’esame di Stato, è sempre una gradita sorpresa, e rafforza l’auspicio che questo autore, fra i più grandi del Novecento mondiale, entri stabilmente (anche con le poesie) nella didattica già dal primo biennio della secondaria di secondo grado, con esercitazioni di comprensione e di analisi che sollecitino gli studenti a interpretazioni personali, come egli avrebbe voluto.[2]
La poesia La bambina di Pompei, dunque, è presentata in tre righe concise ed efficaci, nelle quali opportunamente si richiama l’esperienza concentrazionaria dell’autore, a suggerire che nulla che sia stato scritto da Levi possa essere inteso prescindendo da quella tragedia, individuale e collettiva, che è stata la Shoah. È quasi superfluo ricordare che la composizione di poesie precede, nell’attività letteraria di Levi, la scrittura in prosa (risale al febbraio 1943 la poesia Crescenzago), e che alla poesia egli ritornò già alla fine del 1945, mentre lavorava a Se questo è un uomo, coltivandola poi per l’intera vita a periodi alterni (la maggior parte dei componimenti risale al periodo fra il 1980 e il 1984).[3] Molto felice è la scelta del testo, presumibilmente ignoto agli studenti, e opportuna l’assenza di note testuali, così da obbligare lo studente a misurarsi con quel (poco o molto) che sa di Levi, attingendo ad alcune personali nozioni di cultura generale: gli eventi storici legati a Pompei e a Hiroshima, e chi sia la «fanciulla d’Olanda murata fra quattro mura / che pure scrisse la sua giovinezza senza domani» (e qui forse c’è qualche incertezza in più nel riconoscere Anna Frank). La bambina di Pompei richiama subito alla mente la stretta contiguità di temi e sentimenti fra la poesia e la prosa leviana, alle quali è sottesa una sensibilità ove gli eventi esterni divengono anche eventi interiori, riassumendo tutti i principali temi dell’autore: la violenza insita nella storia di tutti i tempi e l’opera dei malvagi nei confronti dei più deboli; i patimenti delle donne e dei bambini, avvertiti come tragedia nella tragedia; la concezione di un tempo storico e naturale molto diverso dal tempo dell’uomo; i rischi nascosti dietro a una ricerca scientifico-tecnologica priva di orientamenti etici categorici e condivisi. L’autore, dopo avere attraversato l’inferno creato dai nazisti, e dopo aver riflettuto per un’intera vita sul senso della storia e della scienza, esprime attraverso la propria voce «l’angoscia di ciascuno» (v. 1), dando corpo, in modo del tutto originale rispetto a Edgar Lee Masters, a una sorta di Spoon river del Novecento, che – analogamente a quanto hanno cercato di fare alcuni fra i suoi migliori amici, ossia Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern – ridà il diritto di parola a chi non l’ha mai avuto.
Per quanto concerne le domande della traccia, la prima è quella, ormai prevedibile, di presentare in maniera essenziale «il contenuto della poesia, indicandone i temi». La successiva domanda richiede di individuare analogie e differenze tra la vicenda storica della «bambina di Pompei» e quelle della «fanciulla d’Olanda» e della «scolara di Hiroshima»: è un quesito chiaro e lineare, ma che tuttavia sprona a riflettere sulle diverse tragedie della storia, ora causate da disastri naturali, contro i quali ben poco c’è da fare, ora provocate intenzionalmente dall’uomo in nome di folli ideologie o deliri di dominio. Il terzo quesito invita a soffermarsi sul primo verso («Poiché l’angoscia di ciascuno è la nostra»), a individuarne la funzione «e quale relazione presenta con il resto della poesia»: evidente è la concezione che il dolore del mondo pervada la nostra e le altrui vite, secondo una meditazione che «offre scorci escatologici che superano tempo e spazi».[4] L’ultima domanda riguarda il significato delle parole «terribile testimonianza / di quanto importi agli dèi l’orgoglioso nostro seme», ove è palese il riferimento a Leopardi, e specialmente ai vv. 231-236 de La ginestra, o fiore del deserto: «Non ha natura al seme / dell’uom più stima o cura / che alla formica: e se più rara in quello / che nell’altra è la strage, / non avvien ciò d’altronde / fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde». Nella seconda parte delle consegne, dedicata all’‘interpretazione’, il candidato deve proporre «un’interpretazione della poesia, mettendola in relazione con altre opere dell’autore, […] o con le tragiche vicende della Seconda guerra mondiale», soffermandosi sugli ultimi quattro versi. In piena sintonia sia con la didattica scolastica sia con la normativa ministeriale, ci sembra che questa traccia consenta appieno allo studente di confrontarsi con una poesia e di relazionarvisi con la propria esperienza formativa e personale.[5]
Nel caso de La bambina di Pompei spicca una caratteristica formale della poesia leviana, che possiamo sintetizzare con le parole di Ferrero: «Il tono alto del dire poetico, in cui torna a echeggiare Dante, è intarsiato di termini medi, parole ed espressioni dialettali e stranieri, modi colloquiali»,[6] segno di una scelta plurilinguistica che non dovrebbe sfuggire al candidato.
La proposta ‘A2’ offre un brano da Senilità di Italo Svevo, tratto dalla parte iniziale del capitolo I del romanzo, ove sono presentati i personaggi di Emilio Brentani e di sua sorella Amalia. Diciamo subito che in un momento storico di ‘scarnificazione’ dei tempi della didattica, a causa dell’emorragia di ore curricolari a favore di attività che poco hanno a che vedere con la letteratura, le prime pagine antologiche che rischiano di essere espunte dalle programmazioni sono proprio quelle dedicate ai libri importanti, ma penalizzati dal non essere ‘il’ capolavoro dello scrittore; talché, davanti a La coscienza di Zeno, un romanzo come Senilità deve ovviamente cedere il passo. Eppure – lo sappiamo – Senilità è un romanzo di grande valore, come già avvertiva il giovane Montale: «Grande sapienza e insieme semplicità di costruzione, unita ad una implacabile scienza del cuore umano, fanno di Senilità un romanzo quasi perfetto».[7] Perciò il brano sveviano della traccia ‘A2’ – pensato probabilmente per intercettare una speciale preparazione dei candidati su Svevo, in occasione del centenario della pubblicazione de La coscienza di Zeno – fornisce senz’altro uno spunto per valorizzare questo autore anche nelle scelte antologiche del biennio.
Correttamente, nella presentazione del testo la traccia avverte che «il romanzo Senilità chiude la prima fase della produzione narrativa di Italo Svevo (1861-1928), che precede l’incontro con la psicanalisi e con l’opera di Freud». L’indicazione è preziosa ai fini della più esatta collocazione del romanzo. Ciò che interessa qui rilevare è che nei manuali la condizione di ‘senilità’ è descritta in modo preciso e didatticamente efficace, come dimostrano alcuni brevi sondaggi. Così il Bruscagli-Tellini: «[Senilità, n.d.r.] vuol dire inerzia e torpore dello spirito, rassegnazione e rinuncia, impermeabilità a sentimenti autentici».[8] Così il Giunta: «Non si tratta, però, di una vecchiaia anagrafica […] bensì di una condizione interiore, di una sorta di stanchezza esistenziale che gli [a Emilio, n.d.r.] impedisce di realizzare le sue ambizioni. […] La senilità non è uno stadio della vita ma, potremmo dire, una vocazione, un destino».[9] Così il Bologna:
Nella concezione di Svevo, l'essere umano è spinto da pulsioni e appetiti che lo accomunano agli altri animali e di cui solitamente non è consapevole. Alcuni individui, guidati dalla loro forza interna, si affidano all'azione senza porsi troppe domande: sono i dominatori, che si dimostrano capaci di integrarsi in una società retta dalla legge del più forte e dalla selezione naturale. Altri individui, definiti da Svevo ‘inetti’ (ovvero ‘inadatti’), si dedicano alla riflessione; pur essendo caratterizzati da una maggiore consapevolezza di sé, essi sono bloccati nell'azione, tanto da non riuscire ad affermarsi nella società.[10]
Nella batteria di domande di ‘comprensione e analisi’ la prima è quella del riassunto. A seguire, altre tre domande in cui si chiede al candidato, rispettivamente, di illustrare gli elementi che «contrappongono» il protagonista al profilo della sorella; di riflettere sulle due occupazioni del protagonista, anche nei relativi scopi, individuando in che cosa esse contrastino; e infine di evincere l’«atteggiamento del protagonista» dalla condizione, descritta nel testo, di chi artisticamente «credeva di trovarsi ancora sempre nel periodo di preparazione». Riguardo alla terza domanda, quella sulle due ‘occupazioni’, non deve esser stato difficile per il candidato riconoscere il motivo autobiografico, ricordando l’impiego di Svevo presso la succursale triestina della Unionbank di Vienna e la sua prima prova letteraria, Una vita, che ebbe qualche recensione non sfavorevole sui quotidiani locali, ma che poi fu presto dimenticata. Sulla seconda domanda, invece, cresce l’aspettativa sulla risposta argomentata del candidato, poiché, secondo alcuni, «l’inettitudine, in Senilità, è rappresentata soprattutto da Amalia»;[11] o, se si vuole, la ‘senilità’ di Emilio si rispecchia in quella della sorella, che costituisce una sorta di ‘doppio’ del protagonista (quanto può aver colto lo studente, anche solo dal brano presentato, di questi ‘rispecchiamenti’ fra personaggi?).
La seconda parte delle consegne, incentrata sull’‘interpretazione’, chiede una «riflessione sul tema dell’inettitudine come elemento della rappresentazione della crisi di valori e di certezze caratteristica della produzione dell’autore», con possibili riferimenti a testi dello stesso autore o di altri, o «ad altre forme d’arte». Dubitiamo che nel canone scolastico sia incluso un romanzo come Con gli occhi chiusi di Federigo Tozzi, che pure è normalmente presente nelle antologie, e che sarebbe prezioso per un confronto su due diverse manifestazioni di ‘inettitudine’. Tuttavia la richiesta della traccia, nella sua semplicità, va diritto al cuore della poetica sveviana, e avvalora il principio secondo cui la letteratura – anche attraverso un autobiografismo non del tutto attendibile, o, se si vuole, creativo – serve a scandagliare l’animo umano, a misurarne i limiti davanti alle esperienze della vita, e anche a ricercare e individuare le opportune strategie ‘terapeutiche’, facendo della scrittura «una ricostruzione che ha il suo reale significato unicamente nel presente, prepara un’arte del vivere e muoversi nel flusso del reale, quel che s’è indicato nei termini a lui [di Svevo, n.d.r.] famigliari d’esame, e coscienza».[12]
3. Le tracce della tipologia ‘B’
La proposta ‘B1’ presenta uno stralcio, incentrato sul miracolo economico italiano, tratto dal saggio storiografico di Paul Ginsborg Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Il testo, nonostante tre tagli, è fondamentalmente chiaro; tuttavia, una nota di spiegazione dello Schema di sviluppo dell'occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-64, meglio conosciuto come ‘piano Vanoni’, sarebbe stata opportuna per fare intendere ai candidati il divario fra il tentativo di pianificare la crescita economica e il libero dispiegarsi delle forze economico-sociali sul mercato, in modo indipendente dalle velleità dirigistiche governative.[13] La ricostruzione proposta nel testo di Ginsborg è sostanzialmente condivisa dalla storiografia, cui si può fare riferimento, nella didattica, anche per le comparazioni di stile narrativo e argomentativo.[14]
Normalmente il ‘miracolo economico’ viene trattato verso la fine dell’anno scolastico, e non di rado sbrigativamente, ma è giusto che una traccia d’esame riporti l’attenzione sugli anni Cinquanta. Tanto più che in alcuni corsi di studio, come quello tecnico economico, il pensiero e la prassi in materia tributaria di Ezio Vanoni (1903-1956) possono essere oggetto di riflessione. Questi sosteneva la necessità di trovare un punto d’incontro fra l’interesse dello Stato e quello del cittadino contribuente, sulla base del principio di civica convivenza fra le parti, ma altresì in vista dell’utilità generale e del debito di solidarietà verso i più deboli; a tal fine, egli esprimeva un orientamento che è tuttora oggetto di dibattito politico: «L’imposta deve essere sopportabile, non deve essere opprimente, non deve scoraggiare la produzione del reddito e non deve diventare causa di evasione».[15] Il suo disegno normativo, ponendo oneri per l’ufficio accertante, per molti aspetti ha anticipato la Legge 212/2000 a tutela del contribuente;[16] ma d’altro canto, con l’obbligo della dichiarazione generale dei redditi egli ha anche responsabilizzato formalmente il cittadino di fronte allo Stato. La qualità di Vanoni come statista è misurabile nelle sue intenzioni, ben riassunte nel giudizio di Giuseppe Rivetti:
Del resto, Vanoni apparteneva a una generazione che si rivolgeva ancora al ‘popolo’ e non alla ‘società di massa’; credeva nella democrazia rappresentativa e al Parlamento demandava le scelte più importanti, attinenti alla vita politica, economica e sociale (e tali erano considerate le riforme fiscali).[17]
La fiscalità era strettamente connessa, nel pensiero di Vanoni, all’impiego di risorse pubbliche per affrontare i problemi economici e sociali. La sua lezione, indipendentemente dai risultati che gli storici gli riconoscono, è ancora attuale, in quanto basata sul pragmatismo e su una visione ‘alta’ della politica al servizio al popolo. Il cosiddetto ‘schema’ Vanoni può essere così sintetizzato:
Lo schema Vanoni, alla cui redazione avevano contribuito esponenti della Svimez come Giordani, Saraceno e Nino Novacco, ma anche consulenti esteri di alta levatura, come Rosenstein-Rodan e Tinbergen, fuse per la prima volta le istanze tradizionali del dirigismo italiano – quali il pareggio della bilancia dei pagamenti, la stimolazione, da parte dello Stato, dei settori energetico e dei beni strumentali, e il superamento dei divari regionali attraverso l'industrializzazione forzata delle aree ‘depresse’ – con alcuni elementi delle teorie post-keynesiane della crescita. Ovvero, quella sorta di ‘teoria delle forze produttive’ che guardava più che altro al momento microeconomico della ‘creazione’ innovativa e alle capacità di ‘connessione’ e ‘trascinamento’ dei singoli investimenti produttivi, venne in qualche modo combinata con una considerazione approfondita degli effetti dinamici a livello macroeconomico.[18]
Le domande di ‘comprensione e analisi’ della traccia richiedono di presentare sinteticamente il contenuto del testo (giustamente senza domande sugli snodi argomentativi, vista la densità informativa del brano); dopodiché sollecitano a individuare la tesi di Ginsborg, con gli argomenti a supporto, a riconoscere e commentare gli aspetti positivi che l’autore riconosce al ‘boom’ italiano, e infine a precisare il fenomeno migratorio (l’«importante fenomeno sociale» cui l’autore si riferisce), evidenziandone «le cause e gli effetti sul tessuto sociale italiano». Nel testo gli «scompensi strutturali» esposti dall’autore sono bene disposti in ordine temporale, grazie all’uso di alcuni connettivi e locuzioni: «il primo di questi»; «inoltre»; «per ultimo». Sotto il profilo linguistico, infine, va senz’altro rilevata una metafora non banale, ossia quella che dipinge «i settori tradizionali dell’economia», rimasti in una condizione di bassa produttività ma capaci di assorbire molta manodopera, come «una sorta di enorme coda della cometa economica italiana». La parte di ‘produzione’ invita a confrontarsi con le considerazioni di Ginsborg «sui caratteri del ‘miracolo economico’ e sulle sue conseguenze nella storia e nelle vite degli italiani nel breve e nel lungo periodo», sviluppando le riflessioni in un testo argomentativo.
La proposta ‘B2’ fornisce un brano sull’evoluzione del linguaggio giovanile, tratto dal contributo del linguista Michele Cortelazzo (professore emerito presso l’Università di Padova) a un recente volume miscellaneo pubblicato, con la curatela di Annalisa Nesi, dall’Accademia della Crusca, di cui Cortelazzo è socio. Si tratta di uno stralcio interessante, estrapolato da un più ampio saggio ove l’autore, dopo aver distinto in sette fasi la storia del linguaggio giovanile, cerca di coglierne le trasformazioni in atto sotto ai nostri occhi, assieme alle cause e alle interazioni con altre forme di comunicazione. Egli ne conclude, in sostanza, che l’evoluzione tecnologica ha prodotto da un lato nuovi modi comunicativi, e dall’altro nuovi modi di espressione linguistica, mentre lo stato attuale sembra caratterizzato piuttosto da una stasi dell’innovazione; talché, per dirla con le sue parole, è in atto «il dissolversi della creatività linguistica dei giovani nella più generale creatività comunicativa indotta dai social, con il prevalere, grazie anche alle innovazioni tecnologiche, della creatività multimediale e particolarmente visuale». Il secondo brano che costituisce il testo affronta la ‘moda’ del ‘parlare corsivo’; ed è, questa, la parte più debole della traccia, soprattutto perché il ‘parlar corsivo’ s’è rivelato una moda effimera, dopo essere asceso agli onori delle cronache, a nostro giudizio, più per il persistente e inspiegabile rilancio mediatico dei video della ‘professoressa’ di corsivoe Elisa Esposito che per l’effettivo attecchimento del corsivoe fra i giovani, i quali, per quel poco che ne sappiamo, sembrano averlo pressoché ignorato.[19]
Le due parti del brano, assemblate dopo un taglio, non ci sembrano tematicamente del tutto coerenti fra loro, e ciò può forse creare qualche perplessità nella produzione del riassunto, soprattutto nell’indicazione dei «principali snodi argomentativi» (questa è la prima richiesta di ‘comprensione e analisi’). Le successive domande richiedono, rispettivamente, di spiegare il significato di «ruolo ancillare» della lingua; di motivare l’espressione di «gioco parassitario», usata dall’autore a proposito del ‘corsivo parlato’; e infine di riepilogare «i fattori che oggi incidono sulla comunicazione giovanile», illustrando «perché essa si differenzia rispetto a quella del passato».
A nostro avviso, in sede di rielaborazione didattica varrebbe la pena di rilevare almeno alcuni luoghi del testo: l’uso dell’avverbio «conseguentemente», per stabilire una relazione di causa-effetto; la locuzione avverbiale (rara) «di converso», corrispondente al latino e converso, per esprimere l’incontrarsi, e reciprocamente integrarsi, dell’evoluzione tecnologica con le istanze linguistiche giovanili; l’uso del verbo «pare» («La lingua pare assumere un ruolo ancillare») per attenuare elegantemente un’affermazione che potrebbe essere avvertita come perentoria; il connettivo «certo», con valore concessivo, con la contro argomentazione introdotta da «ma». Per la seconda parte delle consegne (‘produzione’) è richiesta una riflessione personale, ovviamente argomentata, a partire dalle considerazioni contenute nel brano.
La proposta ‘B3’ verte su un brano estrapolato da Come mangiare un gelato di Umberto Eco. Non soltanto per la qualità – risaputa – di scrittura, ma anche per l’attitudine a osservare il mondo con arguzia e muovere critiche con ironia e intento propositivo, il Diario minimo e il Secondo diario minimo, che sono «il luogo della corrosione – non già della distruzione – dei canoni costituiti», dove si svolge «un’attiva verifica dei saperi esercitata mediante la loro narrazione deformante»,[20] meriterebbero un posto stabile nella didattica scolastica e nelle esercitazioni di tipologia A. Il testo rievoca l’età bambina dello scrittore, che descrive minuziosamente il ‘rito’ del gelato acquistato assieme alla nonna: dall’aspetto del carrettino del gelataio, alle due modalità di confezionare il gelato, sino ai diversi atteggiamenti che le due confezioni impongono a chi se le sorbisce (due coni piccoli, uno per ciascuna mano, oppure una sola cialda un po’ più grande, di forma analoga all’odierno gelato al biscotto). Da lì, con uno scarto tipico dell’arguzia di Eco, si passa all’interpretazione ‘semiotica’ delle due differenti maniere: l’acquisto di due coni da due soldi ciascuno, anziché della cialda da quattro soldi, implicava – secondo l’autore – l’ostentazione di una ricchezza, o anche soltanto di un benessere, che altri all’apparenza non avevano, così da farsi simbolo di un’incipiente società dei consumi, che non s’era ancora manifestata compiutamente, ma che la borghesia piemontese cui apparteneva la famiglia dello scrittore doveva in qualche modo presentire.
Si tratta di un testo semplice (a proposito: poiché i candidati possono consultare il vocabolario, è superfluo dare in nota la definizione di «sibarita»), ma che, a seguire gli stimoli offerti dall’autore, apre la strada a molte e diversificate riflessioni. Per la parte di ‘comprensione e analisi’ viene chiesto innanzitutto il riassunto del brano, «individuando la tesi di fondo». Quest’ultimo aspetto, riconoscibile nel fascino esercitato dall’‘apparenza’ e dall’‘eccesso’, potrebbe essere affrontato dal candidato sulla base dell’obiettivo 12 dell’Agenda 2030, che è normalmente svolto nel curricolo di Educazione civica. Le tre domande successive riguardano, rispettivamente, l’interpretazione del termine «liturgia» in relazione al bambino che acquistava due coni; il senso pedagogico del rifiuto dei genitori dell’autore di acquistargli due coni anziché una cialda, sebbene il costo finale fosse lo stesso; il senso dell’affermazione secondo cui «la civiltà dei consumi […] dà per quattro soldi quello che vale quattro soldi» (ma meglio sarebbe stato citarla intieramente, per evitare un’involontaria perdita di senso). Ci sembra utile insistere sul fatto che, nella pratica didattica, gli studenti debbano prendere l’abitudine di rispondere alle domande articolando o ampliando il discorso, laddove sia possibile: ad esempio, nel rispondere alla domanda 3 un candidato potrebbe osservare che l’educazione intenzionale dei genitori avviene sovente in modo informale, attraverso obblighi e divieti. La ‘produzione’ richiede al candidato di esprimere le sue opinioni «sul tema del rapporto fra individuo e società dei consumi e sui rischi sottesi agli stili di vita che ci vengono quotidianamente proposti», ovviamente in un testo contenente tesi e relative argomentazioni.
Ribadiamo un’osservazione già fatta. Le richieste di comprensione e analisi, a nostro avviso, si soffermano ancora poco sulla lingua, che pure è una delle competenze-chiave di cittadinanza da sviluppare a scuola, sotto gli aspetti della comprensione e della rappresentazione, al punto che le Indicazioni nazionali fissano come obiettivo finale della classe quinta addirittura la capacità di «padroneggiare il patrimonio lessicale ed espressivo della lingua italiana» (sull’ampiezza semantica del verbo ‘padroneggiare’, nella realtà della scuola e degli esami, ci sarebbe invero molto da dire; ma non è questa la sede). Ebbene, se i decisori ministeriali evitano intenzionalmente domande troppo rigide, nella didattica scolastica è invece giusto porre la massima attenzione anche allo stile dell’autore, in quanto i testi ben scritti dovrebbero costituire, per i ragazzi, i ‘modelli’ in cui riconoscere l’espressività della scrittura e da cui trarre ispirazione per la costruzione del proprio stile individuale. La traccia ‘B3’ – la cui natura è più affine all’elzeviro o al divertissement che al testo argomentativo – nasconde, dietro a uno stile medio, una serie di parole che ora colorano in modo straordinario l’evocazione della fanciullezza, ora mettono in rilievo il ragionamento dello studioso. Vediamo soltanto gli avverbi in -mente, alcuni dei quali appartenenti al lessico raro o letterario:
- «agilmente», da cui quasi scaturisce una scenetta parodica, con il bambino che, con consumata perizia, volge la testa a destra e a sinistra per leccare celermente i due gelati, senza lasciarli colare;
- «sontuosamente», a valorizzare i due pilastri dell’ideologia consumistica, ossia l’ostentazione di alcuni e l’ammirazione/invidia di altri (e, trattandosi in fin dei conti di un gelato, sembra un uso antitetico del verbo);
- «assolutamente», a sottolineare il reciso rifiuto dei genitori;
- «mendacemente», che, con la sua preziosità, sembra ingigantire la ‘gravità’ della motivazione falsa fornita dai genitori a sostegno del diniego;
- «oscuramente», detto della vaga intuizione che il rifiuto nascondesse qualcosa di più importante;
- «crudelmente» (la cui spiegazione è richiesta nella domanda 3), che ci dà il punto di vista del bambino di allora, ma ripensato con il sorriso (espresso nella figura dell’iperbole) dell’uomo maturo;
- «economicamente», a suggerire una valutazione più razionale, e illuminata dalla scienza della gestione, di quell’incomprensibile rifiuto;
- «simbolicamente», a segnalare l’accesso alle considerazioni semiotiche sull’aneddoto;
- «giustamente», che sancisce la ‘verità’ insita nelle fiabe (secondo il duplice giudizio del bambino e dell’uomo maturo).
Ma anche la scelta delle parole e la sintassi non sono indifferenti all’effetto estetico del brano. Si veda questo esempio, che nella sua studiata lentezza esprime la solennità del rito, scandito dai due gerundi, con cui il gelataio approntava il cono: «Il cono da due soldi era piccolissimo, […] e si confezionava traendo il gelato dal contenitore con l’apposita paletta e accumulandolo sul cono». Si consideri inoltre la seguente frase, che descrive la ‘tecnica’ usata dal bambino per sorbire il gelato dalla cialda traendone il massimo godimento papillare: «Si faceva scorrere la lingua nell’interstizio sino a che essa non raggiungeva più il nucleo centrale di gelato, e a quel punto si mangiava tutto, le superfici essendo ormai molli e impregnate di nettare». Sembra di rilievo, in un’analisi linguistica, anche il «però» («Io ero però affascinato»), che segna lo scarto fra la ‘sostanza’ del gelato da mangiare e l’‘apparenza’, che – come scrive Eco – suggerisce «l’eccesso», investendo di una speciale aura i coetanei provvisti di due coni.
4. Le tracce della tipologia ‘C’
La proposta ‘C1’ (della quale sembrerebbe interessante esaminare i diversi svolgimenti dei ragazzi e delle ragazze) è inerente alla presenza femminile nello sport. Il testo scelto per offrire lo spunto di riflessione è un articolo di qualche anno fa[21] sulle plurime forme di discriminazione di genere nelle attività sportive. Il brano è interessante, poiché affronta il tema delle discriminazioni sullo stesso terreno su cui si muovono i candidati: l’attività motoria e sportiva a scuola, lo sport dilettantistico, la ‘carriera’ sportiva professionale. L’esperienza è sotto gli occhi di ciascuno di noi, insomma, e le consegne stimolano una riflessione che attinga informazioni dalle vicende d’attualità, dalle letture, dalle conoscenze, dalle esperienze personali.
Siccome le tracce assegnate agli esami di Stato costituiscono anche, in qualche caso, proposte didattiche per gli insegnanti, ci sembra che quanto esposto nell’articolo di Giusi Marchetta inviti a inserire la storia dello sport nella didattica, secondo una programmazione trasversale che, con un’opportuna intenzionalità pedagogica, potrebbe rientrare nell’ambito della didattica di ‘orientamento’.[22] Al proposito, il recente volume miscellaneo Donna e sport,[23] basato su una prospettiva storiografica e sociologica, consente fondamenti sicuri per la costruzione di percorsi didattici pluridisciplinari sulla donna nello sport italiano, sulle vicende femminili nelle specifiche discipline, su figure di atlete di spicco, sull’immagine della donna sportiva, sui momenti dell’emancipazione e sugli ostacoli posti da pratiche discriminatorie.
La proposta ‘C2’ sembra davvero complementare alla precedente. Difatti, dietro lo stimolo di un testo di Maria Antonietta Falchi sulle donne e la Costituzione, le consegne chiedono al candidato di riflettere «su come i principi enunciati dalla Costituzione della Repubblica italiana hanno consentito alle donne di procedere sulla via della parità», e di «illustrare le sue riflessioni con riferimenti a singoli articoli della Costituzione, ad avvenimenti, leggi, movimenti o personaggi significativi per questo percorso». La traccia, con tutta evidenza, sollecita l’impiego di conoscenze storiche e di competenze acquisite nell’insegnamento trasversale di Educazione civica, obbligando (secondo noi molto opportunamente) ad addurre qualche riferimento preciso; talché, pur evitando qualsivoglia forma di ‘nozionismo’, essa cerca di schivare anche la vaghezza, per consentire alla commissione di valutare la qualità delle informazioni addotte e delle relative argomentazioni. I candidati più accorti avranno senz’altro completato la riflessione con considerazioni sullo scarto esistente ancora oggi tra i principi enunciati e la loro effettiva realizzazione.
Entrambe le tracce della tipologia ‘C’, dunque, sono incentrate sulle donne, con testi e consegne che evitano un approccio sterilmente ideologico, bensì puntano sulla concretezza. Al proposito, sul tema inerente la donna e lo sport ci piace pensare che davanti agli occhi del candidato si sia materializzata la scena ove Luis Rubiales bacia (rectius: aggredisce con un bacio) la calciatrice Jenni Hermoso, e che tale episodio egli abbia discusso. E a proposito del problema della parità sul lavoro, saremmo lieti se esso facesse riflettere almeno noi adulti sul fatto che oggi non di rado la maternità è talora intesa, più o meno nascostamente, come una sorta di temporanea inefficienza, o inettitudine, con una conseguente mortificazione professionale. Ci fermiamo qui.
5. Considerazioni sparse
A consuntivo delle tre sessioni, possiamo osservare che le tracce presentate in quest’anno scolastico 2022-2023 sono state caratterizzate da un apparato di consegne alquanto chiaro e pienamente conforme al quadro ministeriale di riferimento. Per quanto concerne quelle di tipologia ‘A’, non sempre gli autori appartengono al canone scolastico (Moravia, ormai, è quasi espunto dalla didattica); ma ciò non è rilevante, poiché l’analisi di un testo si compie con strumenti di narratologia, di retorica e metrica che servono appunto per affrontare l’ignoto, servendosi di poche indicazioni orientative e della propria esperienza di lettori. Su quest’ultimo aspetto, negli istituti tecnici e professionali emergono carenze sempre più plateali; ed è un problema su cui occorre riflettere, considerando che, come docenti di lingua e letteratura italiana, noi siamo l’‘unico’ baluardo a difesa della bellezza e dell’utilità della letteratura, e sovente rappresentiamo anche l’‘ultima’ occasione di lettura prima del termine dell’obbligo scolastico. Posto dunque che le competenze di lettura sono alla base delle tipologie ‘A’ e ‘B’, in sede didattica sembra utile porre intenzionalmente gli studenti di fronte a testi di autori non trattati nel programma; in mancanza di questa pratica, sarà sempre più concreto il rischio, già paventato da Magda Indiveri, di considerare l’autore non noto come un pericolo da evitare, e non come un’avventura della conoscenza da cui lasciarsi sorprendere: «Se si continua a mettere l’accento sulla ‘infattibilità’ delle tipologie A centrate su autori del secondo novecento, la percentuale di chi accoglie l’invito resterà sempre bassa».[24]
Ci sembra di dover ribadire, a consuntivo della lettura delle ventuno tracce, la necessità di limitare le proposte di argomento storico presenti nella tipologia ‘B’ al programma previsto per le classi quinte, per consentire ai candidati d’impiegare informazioni attinte dal programma di studio, e ai commissari di valutarle equamente. Inoltre, siccome la letteratura si compone ‘anche’ dell’aspetto formale, riteniamo buona cosa non marginalizzare mai l’aspetto linguistico di un testo letterario: quand’anche tutte le tracce afferenti alle tipologie ‘A’ e ‘B’ presentate nel 2023 siano parche di richieste specifiche, noi siamo convinti che nella didattica della prima prova sia comunque doveroso abituare gli studenti a supportare le proprie risposte arricchendole con osservazioni linguistiche sul testo in esame. Ribadiamo inoltre, sottovoce, la proposta già avanzata lo scorso anno in questa sede,[25] ossia di agevolare il candidato nel fare connessioni e confronti fra autori e testi letterari fornendogli in allegato alle tracce della tipologia ‘A’ alcuni materiali utilizzabili facoltativamente (considerando, in tal senso, l’eventualità di modificare parzialmente il quadro di riferimento).
Per quanto riguarda le tracce afferenti alla tipologia ‘C’, anche prescindendo dalla proposta ‘C1’ della sessione ordinaria, incentrata sull’ormai ‘famigerata’ lettera al ministro Bianchi di cui tanto s’è discusso, in generale ci sembra che il pericolo in agguato sia che i temi d’attualità vengano svolti all’insegna della banalizzazione della tematica proposta, come è accaduto per la traccia basata su uno spunto, assai profondo, di Marco Belpoliti sul recupero del valore dell’attesa e della sospensione del tempo (‘C2’ della sessione ordinaria). Inoltre, ben tre tracce (la ‘C1’ della suppletiva e le due ‘C’ della straordinaria) sono state dedicate alle donne – le discriminazioni, i femminicidi, le donne alla Costituente – componendo un quadro completo delle tante forme di violenza, di diversità di trattamento, di esclusione da opportunità.
Quale ‘retroazione’ nella didattica dell’incipiente anno scolastico possono indurre le ventuno tracce delle tre sessioni concluse? Ci sembra che Cristiana de Santis abbia sintetizzato ottimamente l’obiettivo della didattica della prima prova, che si concretizza nella realizzazione di una idea ‘matura’ di scrittura, intesa come abilità che non nasce dall’ispirazione né dall’improvvisazione, ma dalla capacità di leggere in profondità un testo (muovendosi tra diversi tipi di testo), di parafrasarne o riassumerne i contenuti, di utilizzare con capacità critica le fonti, di rielaborare in modo originale le conoscenze, di strutturare il proprio pensiero ed esprimerlo in modo chiaro, evitando la superstizione della quantità e l’appiattimento su un ‘italiano scolastico’ ottenuto per innalzamento del registro (linguistico).[26]
[1]Vd. le Tracce della prima prova nel Sito web del Ministero dell’Istruzione e del Merito (pagina consultata il 16 settembre 2023).
[2]Per portare un solo esempio, come suggerisce il manuale di Giunta-Grimaldi-Simonetti-Torchio, trattando Galileo Galilei, nella quarta classe, è utile proporre la poesia leviana Sidereus nuncius (vd. C. Giunta, M. Grimaldi, G. Simonetti, E. Torchio, Lo specchio e la porta. Mille anni di letteratura. Edizione verde, vol. ii, Novara, De Agostini, 2021, pp. 79-80).
[3]M. Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, Milano, Guanda, 2015, pp. 463-482; E. Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Torino, Einaudi, 2007, pp. 75-78; M. Anissimov, Primo Levi o la tragedia di un ottimista, Milano, Baldini & Castoldi, 1999, pp. 542-546; A. Ferioli, Primo Levi nel centenario della nascita: elementi per un bilancio, «I Quaderni di cultura del Galvani», n.s., xxiv, 2019, 2, pp. 61-84.
[4]C. Segre, I romanzi e le poesie, in E. Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Torino, Einaudi, 1997, pp. 91-116: 108.
[5]Secondo il Quadro di riferimento ministeriale approvato con D.M. n. 1095 del 21 novembre 2019, «il testo andrà messo in relazione con l’esperienza formativa e personale dello studente e collocato in un orizzonte storico e culturale più ampio» (p. 3).
[6]E. Ferrero, Primo Levi..., cit., p. 76. Rimandiamo, per un’analisi generale della poesia leviana sotto l’aspetto formale, al saggio di L. Matt, «Scrivere è un trasmettere»: note linguistiche sulle poesie di Primo Levi, «Linguistica e letteratura», xxv, 2000, 1-2, pp. 193-217.
[7]L. Nanni, Leggere Svevo. Antologia della critica sveviana, Bologna, Zanichelli, 1974, p. 143. Da segnalare, per l’utilità nella didattica: G. Tellini, Svevo, Roma, Salerno, 2013; G. Baldi, Le maschere dell'inetto. Lettura di Senilità, Torino, Paravia scriptorium, 1998; D. Brogi, Il tempo della coscienza: Senilità, in R. Luperini, M. Tortora (a cura di), Sul modernismo italiano, Napoli, Liguori, 2012; M. Tortora, “Senilità” romanzo modernista, in S. Costa, M. Venturini (a cura di), Le forme del romanzo italiano e le letterature occidentali dal Sette al Novecento, vol. ii, Pisa, ETS, 2010, pp. 453-464; M. Tortora, Sul finale di Senilità, in M. Sechi (a cura di), Italo Svevo: il sogno e la vita vera, Roma, Donzelli, 2009, pp. 3-18.
[8]R. Bruscagli, G. Tellini, Il palazzo di Atlante. Le meraviglie della letteratura, vol. iiiA, Dall’Italia unita al primo Novecento, Torino, Loescher, 2018, p. 734.
[9]C. Giunta, M. Grimaldi, G. Simonetti, E. Torchio, Lo specchio e la porta..., cit., vol. iii, p. 489.
[10]C. Bologna, P. Rocchi, G. Rossi, Letteratura visione del mondo. Edizione blu, vol. iiiA, Dall’Unità d’Italia alla fine dell’Ottocento, Torino, Loescher, 2020, p. 74.
[11]A. Borlenghi, Nota introduttiva a Italo Svevo, in Id. (a cura di), La letteratura italiana: storia e testi, vol. lxiv, t. 5, Milano-Napoli, Ricciardi, 1966, p. 102.
[12]Ivi, p. 107.
[13]Vd. P. Saraceno, Gli anni dello Schema Vanoni (1953-1959), a cura di P. Barucci, Milano, Giuffrè, 1982.
[14]Vd. il giudizio di Simona Colarizi: «Ma questo tumultuoso sviluppo non si converte in altrettanto progresso del paese, nel senso di trasformare con le stesse proporzioni e negli stessi tempi le condizioni di vita della popolazione. Anzi, l'assenza di un piano di sviluppo finalizzato alla riforma delle strutture della società contribuisce ad accumulare sulle vecchie nuove storture, impedendo che il rilancio economico risolva i pesanti squilibri presenti in una società dove le fasce di miseria e di arretratezza permangono vistose. In questa prospettiva c'è una totale abdicazione anche da parte dei settori economici a partecipazione statale alla loro funzione pubblica nel sociale. L'economia mista che si viene affermando in Italia non presenta nell'imprenditoria statale ruoli, contenuti e obiettivi diversi da quelli del settore privato. Manca nel complesso – se si escludono alcuni tentativi rimasti lettera morta, come quello di Vanoni nel '55 – un preciso piano di sviluppo nazionale, al quale le imprese a partecipazione statale leghino il loro intervento nella società. Le aziende pubbliche seguono, come quelle private, la strada delle opportunità più contingenti del mercato, espandendosi il più delle volte in quei campi che l'industria privata non ha coperto, con una funzione in gran parte integrativa e comunque parallela a quella del capitalismo confindustriale» (S. Colarizi, La Seconda guerra mondiale e la repubblica, Torino, UTET, 1995, pp. 699-700).
[15]D. Fausto, L’attività finanziaria nei contributi scientifici e nell’azione politica di Ezio Vanoni, in D. Ivone (a cura di), Ezio Vanoni tra economia politica cultura e finanza, Napoli, Editoriale scientifica, 2009, pp. 155-196: 169.
[16]Legge 27 luglio 2000, n. 212, Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente (pagina consultata il 16 settembre 2023).
[17]G. Rivetti, La modernità del pensiero di Ezio Vanoni. Prime forme di fiscalità dal volto umano, in Id. (a cura di), Immaginare il futuro. La lezione di Enrico Mattei ed Ezio Vanoni, Macerata, EUM, 2019, pp. 17-28: 23.
[18]R. Petri, Dalla ricostruzione al miracolo economico, in G. Sabbatucci, V. Vidotto (a cura di), Storia d'Italia, vol. v, La Repubblica: 1943-1963, Milano, Mondadori, 2011, pp. 313-440: 359-360.
[19]Ci si consenta per celia di ricordare, come anticipatore del corsivoe, Cattivik, il personaggio creato nel 1965 da Bonvi (il modenese Franco Bonvicini) e disegnato da Silver (il modenese Guido Silvestri).
[20]G. Altamura, La parodia come ‘veleno e medicina’: il Diario minimo di Eco, in Id. (a cura di), Umberto Eco, il giocoliere dell'intelligenza. L'umorista, il filosofo, il narratore, Bari, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, s.d., s.a., pp. 5-21: 9 (pagina consultata il 16 settembre 2023). Vd. U. Eco, Diario minimo, Milano, Mondadori, 1963; Id., Il secondo diario minimo, Milano, Bompiani, 1992.
[21]G. Marchetta, Forte è meglio di carina, «La Ricerca», n.s., vi, 2018, 14, pp. 19-21 (pagina consultata il 16 settembre 2023).
[22]Vd. Linee guida per l’orientamento ai sensi del D.M. n. 328 del 22 dicembre 2022 (pagina consultata il 16 settembre 2023).
[23]M. Canella, S. Giuntini, I. Granata (a cura di), Donna e sport, Milano, Angeli, 2019.
[24]M. Indiveri, Tipologia A 2023. Qualcosa di nuovo, qualcosa di antico, «Griselda online», 10 luglio 2023 (pagina consultata il 16 settembre 2023).
[25]A. Ferioli, Le tracce "A" dell'Esame di stato 2022. Prova ordinaria e suppletiva, «Griselda online», 18 luglio 2022 (pagina consultata il 16 settembre 2023).
[26]C. de Santis, Tracce di maturità (linguistica se non altro), «Linguisticamente», 22 giugno 2023 (pagina consultata il 16 settembre 2023).
21 dicembre 2023