Convegno internazionale di studi a cura di Carla Subrizi
Data:
Luogo: Sapienza, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento SARAS, Aula Chabod, III piano
19 febbraio 2024 | 9:15 - 13:00
Sessione 1: Storia dell'arte e femminismo. Una questione aperta
Arianna Punzi, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Sapienza Università di Roma
Gaetano Lettieri, Direttore del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo (SARAS), Sapienza Università di Roma
Chair: Carla Subrizi
Carla Subrizi (Sapienza Università di Roma) Una visione espansa della storia. Per introdurre il Convegno “Storia dell’arte e femminismo. Trasformazioni, conferme e prospettive di ricerca”
Come riconsiderare alcune tappe di una storiografia dell’arte femminista oggi, già in un XXI secolo avanzato, con alle spalle almeno 50 anni di interventi, tentativi, prese di posizione radicali nei confronti della storia dell’arte? Su cosa ha insistito la storiografia femminista? È possibile definire un tale percorso di ricerca seguendo un’articolazione in sequenza, come solitamente avviene nella storia? O tale storiografia prevede di cogliere come in un lungo laboratorio, orientamenti e contraddizioni, flash back e anticipazioni, rimozioni recuperate dal passato rese possibili da quello che avviene nel presente più vicino? Perché la storia delle donne è una storia che assume a volte percorsi non solo marginalizzati nel tempo ma che vogliono restare ai margini, perché una visione che parte dai margini è una visione che considera il tempo o lo spazio della storia come una superficie espansa, nella quale sono le relazioni a costituire i punti in cui si annodano i fatti per poi riaprire percorsi differenti, in altre direzioni. Cosa è una storia in cui si giustappongono i fatti, in cui la trasversalità sostituisce le gerarchie, in cui i rapporti di adiacenza, secondo diversi punti di vista, rivelano forme di contiguità e alleanza differenti? In cosa possiamo cogliere il senso di queto termine: differenza? Molti aspetti concettuali, inerenti le forme della storia, dei metodi presunti tali con cui la indaghiamo, i tentativi e le ipotesi che in alcuni decenni sono stati messi alla prova per riconsiderare gli approcci possibili alla storia e per svelare come la storia non sia mai oggettiva o neutra, saranno presenti in questo Convegno. Quello che ci teniamo a porre al centro della riflessione è una serie di questioni che se continuamente si ripropongono, per altro verso ci lasciano ancora al centro di nodi che è più difficile sciogliere: femminista non è un aggettivo che muta il senso del nome a cui si affianca, la storia delle donne non è la storia del femminismo, aggiungere nomi dimenticati o omessi dalle grandi narrazioni non è sufficiente. Cosa infatti succede (o non succede!) se si inseriscono nuovi nomi e storie di donne al sistema della storia già fatta? Come cambia tale sistema se la storia delle donne diventa l’azione che invece produce incursioni che mettono a soqquadro o in crisi il sistema di partenza? Ogni nuovo tassello non può aggiungersi senza variare le coordinate che lo accolgono, il dialogo produce trasformazioni, le relazioni non lasciano immutati i termini che si pongono in rapporto. Il femminismo non studia la storia delle donne soltanto: indaga le forme della storia (paradigmi, fondamenti, modelli reiterati) che hanno prodotto inclusioni, esclusioni, rimozioni e lacune. Usare questo termine, femminismo, è qui fatto con attenzione: la scelta determinata e consapevole da parte di storiche dell’arte di rivedere e riflettere sui paradigmi e i modelli storiografici stessi a partire da una prospettiva critica appunto femminista. Cosa ha voluto dire un punto di partenza di rilettura della storia dell’arte radicato nel femminismo? Cercheremo dunque di, se non rispondere, indagare la nostra attività di storiche e storici dell’altra indagando il sistema stesso che include le nostre pratiche di ricerca. Lavoreremo insieme, in questa occasione del Convegno, per porre alcune questioni, con nuova urgenza, tenendo conto di tante affermazioni, lavoro, riflessioni fatte nel tempo. Ricongiungere i punti di un lungo dibattitto e di una storia già emersa in alcuni decenni, è un compito che questo Convegno non può omettere.
Carla Subrizi è Professoressa Associata di Storia dell’arte contemporanea presso La Sapienza Università di Roma, dove è anche Direttrice della Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici. Ha fondato e dirige con Franca Sinopoli e Mariella Combi la rivista “Novecento Transnazionale. Letterature, arti e culture”. È Presidente della Fondazione Baruchello, per la quale dirige la programmazione. È curatrice scientifica delle ricerche finalizzate alla pubblicazione del Catalogo Ragionato di Gianfranco Baruchello. I suoi interessi si rivolgono alla storia dell’arte dal secondo dopoguerra alle ricerche più recenti, alle metodologie della storia dell’arte all’interno del dialogo con approcci e prospettive riguardanti gli studi di genere e il femminismo, la storia delle idee e della cultura. Negli ultimi anni si è occupata anche delle ricerche artistiche e storico-artistiche particolarmente incentrate sull’ambiente e l’ecosistema. Tra le sue monografie più recenti, oltre a numerosi saggi, La storia dell’arte dopo l’autocoscienza. A partire dal diario di Carla Lonzi (2020), Note a margine. L’arte come esperimento del sapere (2020), Gianfranco Baruchello. Archive of Moving Images (2017), Baruchello. Certain Ideas (2014), Azioni che cambiamo il mondo. Donne, arte e politiche dello sguardo (2012), Introduzione a Duchamp (2008). Ha organizzato e curato mostre in Italia e all’estero.
Griselda Pollock (University of Leeds) The Two Challenges Art History, the discipline, Presents to Feminism: Artists and Theories
By ceasing to acknowledge women’s participation or even co-creation of art in all eras, academic and museum art history of the twentieth century trapped feminist art historians initially in the work of recovery. Over the last fifty years, it has been repeatedly demonstrated that however much we feminists present the evidence, in each decade women artists are still being presented as rediscovered. Structurally, what is it in the discourse that is art history that makes the recovery fail? Firstly, it is the model of an art history of ‘artists’, the model of Vasari descended from the classical rhetoric of the hero or the great man, the exemplar for masculinity. So, I have argued that feminism cannot integrate into this model of art history, and that art history in this form cannot survive the critique of feminism. But feminism and feminist art history as it has been practiced in the Anglophone community are not identical. Secondly, different models focusing for instance on the history of the image in the tradition of Warburg or the semiotic-materialist-ideological analysis of representation in the Marxist tradition have been mobilised by some feminists but then quarantined from patriarchal and most feminist forms of art history as theory, an alien invasion into the field of art history. This is both an external and an internal challenge. In my presentation I shall present a feminist art historical project from the 1940s, reminding us of the still vibrant mid-20th century feminism and its intellectual predecessors in the later 19th century and early 20th century across many academic fields relevant to art history. I shall also locate the method in relation to the key concepts which I have proposed for my own practice as a theoretically informed feminist intervening in the discipline and the field of art history. This also challenges tendency for critical issues to be presented as recent developments of postcolonial or transnational, or queer revisions of ‘feminist art history’.
Griselda Pollock is Emeritus Professor of Social and Critical Histories of Art, director of the Centre for Cultural Analysis, Theory and History (CentreCATH) at the University of Leeds, and internationally recognized as a leading feminist art historian and cultural theorist. Recipient of the 2020 Holberg Prize for her contributions to feminist art history and cultural studies, her many books include Old Mistresses: Women, Art and Ideology (coauthored with Roszika Parker), Vision and Difference: Femininity, Feminism and Histories of Art, and Differencing the Canon: Feminism and the Writing of Art's Histories.
Federica Muzzarelli (Alma Mater Studiorum Università di Bologna) Per una storia della fotografia femminista. Riletture e riscritture delle pratiche artistiche di resistenza
Nella recente Storia mondiale delle donne fotografe, le due studiose francesi Luce Lebart e Marie Robert hanno dichiarato di volersi esplicitamente inserire nel processo di rilettura femminista che da circa quarant’anni attraversa la storia della fotografia. Ma ciò che si fa oggi negli studi e nelle ricerche scientifiche mutua quello che fu già il metodo di resistenza che le donne attuarono nel loro sforzo di riscrittura femminista della storia: prescindere dai contesti sociali e culturali per reclamare uno spazio autonomo rispetto a una dimensione completamente dominata dall’identità maschile. Per mettere in pratica questa azione di sabotaggio al sistema, l’azione femminista partì dall’osservazione di ciò che era più vicino e più immediatamente indagabile, ciò in cui si rispecchiavano la condizione esistenziale e i desideri repressi: i legami famigliari, la ritualità quotidiana, l’indagine autobiografica, la ricerca identitaria. Dimostrando che in realtà c’erano sempre state ma, solo, non avevano avuto voce né possibilità di raccontarsi proprio perché vicine a pratiche marginali ed extra-artistiche. Così, la riscrittura di queste pratiche fotografiche significa oggi non solo un riequilibrio e un allargamento di conoscenza, ma un vero ripensamento della prospettiva metodologica e teorica della storia dell’arte.
Federica Muzzarelli è Professoressa Ordinaria di Storia e idee della Fotografia presso il Dipartimento delle Arti, Università di Bologna. Coordina il centro di Ricerca FAF (Fotografia Arte Femminismo) ed è PI di un progetto PRIN 2020 ("La fotografia femminista italiana. Politiche identitarie e strategie di genere"). È membro del Collegio del Dottorato Nazionale "Immagine, Linguaggio, Figura" e fa parte del Comitato Scientifico della GNAM di Roma. Ha scritto monografie, saggi e articoli scientifici sul rapporto tra donne e fotografia. È in uscita la sua ultima monografia dal titolo: Fotografia e femminismo tra 800 e 900. Diari, Album e Scrapbook.
Giovanna Zapperi (Université de Genève) Un disordine esperienziale. Note sugli scritti femministi di Anne Marie Sauzeau Boetti.
Nel suo visionario testo del 1975, Negative capability as practice in women’s art, Anne Marie Sauzeau Boetti affronta il dilemma che definisce la pratica artistica delle donne durante gli anni Settanta, tra il desiderio di riconoscimento e quello di una rottura rispetto alle strutture maschili che definiscono l’arte e la cultura. Questa conferenza prende le mosse dagli scritti che la critica d’arte francese dedica alle artiste attive nell’Italia degli anni Settanta come traccia per un modello epistemico alternativo per pensare la storia dell’arte nel suo insieme.
Giovanna Zapperi è Professoressa Ordinaria di Storia dell’arte contemporanea all’Università di Ginevra. È l’autrice diversi saggi, tra cui i volumi: L’artiste est une femme. La modernité de Marcel Duchamp (PUF 2012), Carla Lonzi. Un’arte della vita (Derive Approdi 2017), e con Francesco Ventrella Art and Feminism in Postwar Italy. The Legacy of Carla Lonzi (Bloomsbury 2021). Ha inoltre curato insieme a Nataša Petrešin-Bachelez l’esposizione collettiva Defiant Muses. Delphine Seyrig and Feminist Video Collectives in France, 1970s-1980s (Lam, Lille e Museo Reina Sofia Madrid 2019-2020; Kunsthalle Wien e Würtenbergischer Kunstverein Stuttgart 2022- 2023).
Raffaella Perna (Sapienza Università di Roma) La fotografia femminista italiana: prospettive di una ricerca in corso
L’intervento propone una riflessione sui criteri storico-critici adottati dal gruppo di ricerca del progetto PRIN 2020 La fotografia femminista italiana (coordinato dall’Università di Bologna, con la partecipazione delle due unità locali di Sapienza e dell’Università di Parma). Il progetto intende studiare e valorizzare il contributo delle donne nella cultura fotografica italiana, dagli inizi del Novecento agli anni Ottanta. La ricerca muove dallo studio non soltanto delle pratiche apertamente militanti, ma anche dell’opera di fotografe attive nella prima metà del secolo non legate all’attivismo, ma il cui sguardo si è fatto portatore di istanze ed esigenze emancipatorie. La definizione del perimetro della ricerca e delle metodologie ha posto numerosi interrogativi relativi alle scelte lessicali, alla tradizione degli studi e alle teorie entro le quali inquadrare il progetto, agli obiettivi da raggiungere, alle fonti a cui attingere al fine di rileggere la storia della fotografia italiana da una prospettiva femminista. Nell’intervento si proverà a dare risposta a queste domande e si motiveranno le scelte compiute, frutto di una riflessione condivisa del gruppo di ricerca.
Raffaella Perna insegna Storia dell’arte contemporanea alla Sapienza Università di Roma. È responsabile di unità del progetto PRIN 2020 Italian Feminist Photography e del PRIN 2022 Writing of Women around the Camera. Fa parte del Centro di ricerca FAF (Fotografia, Arte, Femminismo). Dal 2022 è responsabile del Network inter-universitario per conto della Fondazione Quadriennale di Roma. Tra i suoi libri: Piero Manzoni e Roma (Electa, 2017), Arte, fotografia e femminismo in Italia negli anni Settanta (Postmedia Books, 2013), In forma di fotografia (DeriveApprodi, 2009). Ha curato e co-curato diverse mostre, tra cui: Mario Dondero. La libertà e l’impegno (Palazzo Reale, Milano 2023); Ketty La Rocca. Se io fotovivo (Camera, Torino, 2022); The Unexpected Subject 1978 Art and Feminism in Italy (Frigoriferi Milanesi, 2019); L’altro sguardo. Fotografe italiane 1965-2018 (Triennale di Milano e Palazzo delle Esposizioni, Roma, 2016, 2018).
Lara Conte (Università degli Studi di Roma Tre) Pratiche femministe e ricerca fotografica. Un caso di studio.
A partire dalle ricerche condotte nell’ambito del PRIN 2020 - La fotografia femminista italiana. Politiche identitarie e strategie di genere, il presente contributo si propone di mettere a fuoco la sperimentazione di artiste e autrici che nel contesto genovese, tra anni Sessanta e Settanta, si sono confrontate a vario modo con il medium fotografico. L’affondo su figure come Lisetta Carmi, Nanda Lanfranco, Renata Boero e Giuliana Traverso permetterà di far riferimento a molteplici questioni legate alla militanza e alla pratica femminista, alle strategie di autoaffermazione e di riposizionamento dello sguardo, alla relazione con il contesto sociale e culturale della città, nonché alle dinamiche della ricezione e alla pratica dell’Archivio come prospettiva non lineare di indagine.
Lara Conte è Professoressa Associata di Storia dell’arte contemporanea presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università degli Studi Roma Tre. Le sue ricerche sono incentrate sullo studio dell’arte e della critica del secondo Novecento, con la messa a fuoco di narrazioni alternative, nelle dinamiche della ricezione, delle relazioni transnazionali, del nuovo orizzonte della scultura, della performance art e dei rapporti tra pratiche, critica e femminismo. Tra le sue pubblicazioni: Materia, corpo, azione. Ricerche artistiche processuali tra Europa e Stati Uniti.1966-1970 (Electa, Milano 2010); Paolo Icaro. Faredisfarerifarevedere (Mousse Publishing, Milano 2016); Artiste italiane e immagini in movimento. Identità, sguardi, sperimentazioni (con F. Gallo, Mimesis, Milano 2021); Sculpture in Action. Eliseo Mattiacci in Rome (Ridinghouse, Londra 2022); Costellazioni della Performance Art in Italia. 1965-1982 (con F. Gallo, Silvana, Cinisello Balsamo, MI 2024). Ha cocurato le mostre Io dico io / I say I (Galleria Nazionale, Roma, 2021) e Territori della Performance. Percorsi e pratiche in Italia 1967-1982 (MAXXI, Roma, 2022-2023). Fa parte del gruppo di ricerca PRIN 2020 - La fotografia femminista italiana. Politiche identitarie e strategie di genere (Principal Investigator Federica Muzzarelli, responsabili di unità Raffaella Perna e Cristina Casero).
Cristina Casero (Università degli studi di Parma) Come e perché. Le fotografe negli anni '70: alcuni aspetti si cui riflettere
Negli anni Settanta molte donne e molte artiste si sono avvicinate alla fotografia, spesso per condurre consapevolmente un discorso femminista o quanto meno una ricerca identitaria, che da personale si è fatta collettiva. Con quali strumenti leggere oggi queste ricerche? Rispetto a quale canone? Il mio intervento mira a condividere queste riflessioni, che per me si presentano oggi in occasione di ogni caso di studio.
Cristina Casero insegna Teorie e tecniche della Fotografia e Storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Parma, dove è professoressa associata. Dal 2022 dirige il CSAC, Centro Studi e Archivio della Comunicazione. I suoi studi si sono dapprima concentrati sulle esperienze della cultura figurativa italiana del secondo dopoguerra e sulla scultura ottocentesca italiana, con particolare interesse per i legami della produzione visiva con le questioni politiche, sociali e civili dell'Italia del tempo. Su questa linea di interesse sono anche le indagini sugli ultimi quaranta anni del Novecento, dedicate soprattutto all'immagine fotografica, analizzata nelle sue diverse accezioni. Tra i contributi più recenti, del 2016 è la monografia Paola Mattioli. Lo sguardo critico di una fotografa (Postmedia Books) e del 2020 Gesti di rivolta. Arte, fotografia e femminismo a Milano 1975 – 1980 (Società per l'Enciclopedia delle Donne). Nel 2021 ha curato il volume Fotografia e femminismo nell'Italia degli anni '70: indagine critica e testimonianza (Postmedia Books) e pubblicato il libro Uno sguardo che riflette. Ricerche di fotografia concettuale in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta (Meltemi).
Francesco Ventrella (University of Sussex) Citazione e relazione nelle storie femministe dell’arte
Questo intervento si propone di riflettere sulla funzione relazionale della citazione come pratica teorica femminista e queer nella scrittura delle storie dell’arte. Secondo la teorica femminista Sara Ahmed, “citation is feminist memory. Citation is how we acknowledge our debt to those who came before; those who helped us find our way when the way was obscured because we deviated from the paths we were told to follow” (Ahmed, 2017). Ponendosi a cavallo tra riflessione metodologica e contributo storiografico, la citazione si fonda sul dialogo come metodo per costruire genealogie femministe. Intesa dentro la sfera della parola, la citazione potrebbe sembrare lontana dal campo visuale di cui tradizionalmente si occupa la storia dell’arte; eppure, come strumento relazionale, la citazione rimane uno strumento essenziale per intessere il rapporto tra storia ed esperienza messo in discussione dal femminismo, anche nella storia dell’arte. Emanuela de Cecco ha discusso la relazione nelle pratiche artistiche come “proposta attiva” rivolta ad un pubblico che non è solo un osservatore (de Cecco, 2005). Questa “proposta attiva” si presenta anche rispetto al ruolo relazionale che Adriana Cavarero ha assegnato alla citazione e alla parola parlata (Cavarero, 2003). Mettendo in relazione delle voci, e alterando la posizione da cui si fa ricerca, le citazioni possono cambiare le storie dell’arte? Facendo riferimento al dibattito femminista e queer, ma anche prendendo in considerazione istanze decoloniali nelle geopolitiche dello sguardo, questo intervento interroga la citazione non solo come prassi accademica, ma anche come mezzo di “risonanza.”
Francesco Ventrella è Professore Associato nel Dipartimento di Storia dell’Arte all’Università del Sussex, dove è anche affiliato al Centre for the Study of Sexual Dissidence. Si occupa del rapporto tra storiografia, corpo e fenomenologia, con particolare attenzione al ruolo delle sensazioni, genere e sessualità nelle scritture d’arte di fine secolo. Pubblicazioni su questi temi sono apparsi su Art History, Studi Culturali, British Art Studies e European Journal of Women’s Studies. Ha curato un numero di Parallax su ‘Enthusiasm’ (2011); con Meaghan Clarke ha curato un numero speciale di Visual Resources sul tema Women and the Culture of Connoisseurship (2017); con Giovanna Zapperi ha curato il volume Feminism and Art in Postwar Italy: The Legacy of Carla Lonzi (Bloomsbury, 2020).
Maria Antonietta Trasforini (Università degli Studi di Ferrara) Arte e femminismo in Italia negli anni ‘70 e ‘80 e matrici teoriche del termine Cultura
L’intervento propone una lettura del rapporto fra femminismo e mondi dell’arte in Italia nel decennio Settanta e inizio Ottanta, a partire dalla definizione/individuazione di tre grandi matrici teoriche del termine Cultura: una decostruttiva ispirata a Linda Nochlin, una essenzialista ispirata a Carla Lonzi, una storico-psicoanalitica ispirata a Anne Marie Sauzeau-Boetti/Lea Melandri. Nella divaricazione fra cultura politica del movimento, mondi dell’arte e ambienti accademico-istituzionali, col conseguente ritardo dell’ingresso nelle università dei Women’s-Gender Studies, furono le strutture, le istituzioni, le associazioni di femminismo culturale a funzionare da ambienti di militanza, ricerca ed elaborazione culturale e artistica, con ricadute significative sul rapporto fra arte e femminismo, sul lavoro delle artiste, e su una esplicita elaborazione teorica di una genealogia di genere.
Maria Antonietta Trasforini ha insegnato Sociologia dei processi culturali e Sociologia dell’arte all’Università di Ferrara. Ha scritto di professioni nella modernità, di arte e genere, di cultura urbana legata ai mondi dell’arte. È autrice fra l’altro di Arte in città (2003) e Nel segno delle artiste. Donne, professioni d’arte e modernità (2007). Ha curato Arte a parte. Donne artiste fra margini e centro (2000), Donne d’arte. Storie e generazioni (2006), La precarietà degli oggetti. Estetiche ordinarie in contesti di povertà (con C. Lunghi, 2010).
19 febbraio 2024 | 15:00 - 19:00
Sessione 2: Identità e differenza nella cultura visiva. Geopolitiche dello sguardo
Chair: Paola Ugolini
Maria Serena Sapegno (Sapienza Università di Roma) Provare a rileggere le arti e il mondo con uno sguardo femminista
Rileggere la nostra cultura con uno sguardo di donna e di femminista significa inevitabilmente di non “accontentarsi di essere fatte accomodare più o meno gentilmente al tavolo di chi fa tradizione”, ma implica mettere in discussione alcuni dei nodi su cui poggia l’intero sistema.
Maria Serena Sapegno ha insegnato Letteratura Italiana e Studi di Genere presso l’Università di Roma “La Sapienza”, fondatrice del Laboratorio di Studi Annarita Simeone, Sguardi sulle differenze. Studiosa di letteratura italiana antica e rinascimentale, di pensiero utopico, di trattatistica politica dalle origini, della formazione di una tradizione letteraria nazionale. Da ultimo ha pubblicato Figlie del padre. Passione e autorità nella letteratura occidentale (Feltrinelli 2018). Molte sue ricerche ruotano attorno alla scrittura delle donne e ai suoi problemi teoretici. Collabora da sempre alle attività del movimento e del dibattito femminista anche con interventi su riviste di teoria femminista; dal 1998 al 2009 ha rappresentato la Sapienza nella rete di Studi di genere ATHENA della Commissione Europea. Dal 2000 coordina alla Sapienza il Laboratorio di studi femministi Sguardi sulle differenze, protagonista di numerosi convegni nazionali e internazionali e di diverse pubblicazioni. È stata tra le fondatrici del movimento SeNonOraQuando.
Maite Méndez Baiges (Universidad de Málaga, Gruppo di ricerca “Desnortadas. Territorios del género en la creación artística contemporánea”) Riaprire Venere. Per una riscrittura della storia del nudo femminile nell'arte occidentale
La scena di un'anatomia eseguita su un giovane corpo femminile nel dipinto a olio di Enrique Simonet L'anatomia del cuore (realizzato a Roma nel 1880) si riferisce a una particolare categoria di rappresentazione del nudo femminile nell'arte occidentale: quella della "Venere aperta o tagliata". Il corpo nudo aperto è sinonimo di mancanza di “ritegno”: supera i limiti del canone artistico europeo, aggredisce la forma per enfatizzare la carne o la materia. E allo stesso tempo, non possiamo essere sicuri se vada contro o rafforzi, deliberatamente o meno, gli stereotipi del femminile. Questa proposta esplorerà diversi modi di “aprire” i corpi delle donne nell'arte occidentale e nella cultura visiva, antica e moderna: dalle veneri anatomiche ai parti cesarei, dai musei medici alle bancarelle dei luna park, dalle rappresentazioni delle autopsie a quelle delle vulve, dalle storie mitologiche pagane ai cicli martirologici cristiani. La penetrazione, attraverso queste fessure, nelle viscere dei corpi femminili può procurare nuove considerazioni sulle costruzioni dei corpi e dei generi, sulla loro realtà e sulla loro rappresentazione, attraverso un approccio femminista.
Maite Méndez Baiges è professoressa ordinaria di Storia dell'Arte Contemporanea all'Universidad de Málaga. È direttrice dell'Istituto universitario per la ricerca sul genere e l'uguaglianza di questa Universitá (IGIUMA) e promotrice della Red de Investigación en Arte y Feminismos (riaf.es). È la ricercatrice principale del progetto di ricerca "Desnortadas. Territori di genere nella creazione artistica contemporanea". Il suo libro più recente è Les Demoiselles d'Avignon and Modernism, Firenze University Press, 2021.
Elo Vega (Universidad de Málaga, Gruppo di ricerca “Desnortadas. Territorios del género en la creación artística contemporánea”) Anatomia di un dipinto: Y tenia (co)razón
Il Museo di Malaga ospita un celebre dipinto realizzato all'Accademia di Spagna a Roma nel 1890. In occasione della celebrazione dei 150 anni di questa istituzione, ho proposto una rilettura critica dell'opera inserendo nel Museo un lavoro appositamente realizzato. Per questa occasione è anche stato avviato un seminario formato da un gruppo di creatori e ricercatori (la maggior parte dei quali ex residenti dell'Accademia: Maite Méndez Baiges, Pantxo Ramas, Leire San Martín, Justo Navarro, Javier Cuevas del Barrio, Shirin Salehi, Sara Jiménez, Rogelio López Cuenca e Alicia Narejos) per lavorare, teorizzare e discutere sui temi che attraversano entrambe le opere, , con una prospettiva situata sia dalla storia dell'arte che dalla memoria storica, passando per la psicoanalisi, la lotta femminista, la politica, l'educazione e la letteratura.
Elo Vega è artista visiva e ricercatrice. Dottoressa in Ricerca in Arti e Scienze Umane, il suo lavoro affronta questioni sociali, politiche e di genere da una prospettiva femminista anti-patriarcale, attraverso progetti artistici (mostre, pubblicazioni, interventi in spazi pubblici e lavori su Internet) che sono allo stesso tempo dispositivi di critica della cultura e strumenti politici.
Javier Cuevas del Barrio (Universidad de Málaga, Gruppo di ricerca “Desnortadas. Territorios del género en la creación artística contemporánea”) Da una lettera a una spazzatura. L'opera di Dora García tra femminismo, psicoanalisi e storia dell'arte.
Il lavoro di Dora García ci permette di dispiegare un “denkraum” tra femminismo, psicoanalisi e storia dell’arte. In particolare, la sua performance The Sinthome Score (realizzata per la prima volta nel 2013) affronta alcune questioni del pensiero lacaniano, dal momento che il titolo e la concezione della performance si basano sul Seminario XXIII Le sinthome (1975-76) di Jacques Lacan, studiato da García attraverso Oscar Masotta. Questo Seminario si concentra sulla funzione della scrittura secondo James Joyce a partire dall'esclamazione “The letter! The litter! (La lettera! La spazzatura!)”, un gioco sul significante che si riferisce a una lettera trovata in un cestino della spazzatura, il cui contenuto non può essere decifrato. García utilizza questo Seminario di Lacan per affrontare il complesso rapporto tra il linguaggio e il resto, ciò che non può essere intrappolato dall'immagine o dalla parola.
Javier Cuevas del Barrio insegna di Storia dell'arte presso Universidad de Málaga. Una delle sue principali linee di ricerca si concentra sull'uso della teoria psicoanalitica nella storia e nella critica dell'arte, con particolare attenzione all'intersezione con il femminismo e la teoria queer. Attualmente è ricercatore del progetto di ricerca “Desnortadas. Territorios del género en la creación artística contemporánea”, diretto da Maite Méndez Baiges.
Maria Alicata (Sapienza Università di Roma) Per una genealogia artistica femminile: Eva Menzio e il caso Artemisia tra ricostruzione storica e biografica.
Negli anni Settanta parallelamente alla rinnovata attenzione verso le artiste, si diffonde anche la volontà di riscoprire le figure del passato. Artiste e storiche dell’arte alla ricerca di riferimenti femminili studiano biografie, documenti e opere rimosse dalla memoria con l’intento di riflettere sulle lacune della storiografia. L’8 aprile del 1976 si inaugura a Roma la Cooperativa di Via Beato Angelico, spazio fondato e gestita da sole donne, con l’esposizione Un quadro di Artemisia Gentileschi a cura di Eva Menzio, che con l’occasione pubblica un catalogo/giornale incentrato sulla vita e l’opera dell’artista attiva nel Seicento, riportando la sua biografia a partire dalla nascita nel 1593, la trascrizione di alcuni documenti, una bibliografia, l’elenco delle opere con riproduzioni fotografiche in bianco e nero e relative collocazioni. In mostra venivano esposti, oltre al dipinto dell’Aurora, fotografie di altre opere e documenti tra cui la trascrizione degli atti del processo per stupro che Orazio, padre di Artemisia, aveva intentato contro Agostino Tassi nel 1612. Nel 1981 esce presso le Edizioni delle donne Atti di un processo per stupro: Artemisia Gentileschi, Agostino Tassi a cura di Eva Menzio che raccoglie la trascrizione della documentazione originale conservata negli Archivi Vaticani. Il volume costituirà da quel momento un punto di partenza per storiche dell’arte come Mary Garrard o Griselda Pollock nell’importante saggio Differencing the Canon pubblicato nel 1999. La mostra del 1976 viene qui letta come un caso studio, un’idea progettuale e di attivismo culturale tra ricostruzione storica e biografica a distanza.
Maria Alicata è Dottore di ricerca in Storia dell’arte con una tesi sul cinema d’artista e la performance in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta. La sua ricerca è incentrata sull’arte italiana dal secondo dopoguerra, l’archivio come pratica artistica, l’intermedialità, il cinema d’artista e la storia delle esposizioni. Ha lavorato per istituzioni pubbliche e private come la Fondazione Adriano Olivetti, il MACRO Museo d'Arte Contemporanea di Roma, la Fondazione Baruchello e il MAXXI Museo Nazionale della Arti del XXI Secolo. Ha recentemente co-curato la mostra personale di Maria Lai, Wowen Wrtings al Museo Es Baluard di Palma di Maiorca. È docente presso la Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici dell'Università La Sapienza di Roma, dove attualmente lavora a un progetto di ricerca sulla storia espositiva dei musei italiani del dopoguerra.
Lara Demori (Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte) Artivismo materno. La rappresentazione della maternità nell’arte latino-americana contemporanea
Il presente contributo indaga l’emergere di una rappresentazione distopica del corpo materno che a partire dagli anni Settanta si sviluppa nel lavoro di artiste latinoamericane quali Marta María Pérez Bravo (Havana, 1959), Johanna Hammann (Lima,1954-2017), Barbara Carrasco (El Paso, 1967), Monica Mayer (Città del Messico, 1954) e Josely Carvalho (San Paolo, 1942). Questa iconografia sovverte la visione tradizionale della maternità, radicata nell’immaginario collettivo, come premurosa e amorevole, contrapponendole una figurazione spesso brutale, violenta, in cui si riflettono le tradizioni locali, i valori religiosi e le situazioni sociopolitiche tipiche di alcune realtà dell’America Latina. A mio avviso, queste immagini suggeriscono una comprensione del corpo femminile come apparato politico e militante e prodotto sociale. Importante, nel rispetto di questa analisi, è anche una riflessione metodologica, che vede prendere in considerazione le teorie del femminismo terzomondista e quelle del femminismo transnazionale.
Lara Demori è Postdoctoral Fellow e assistente scientifica presso la Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte. Dopo aver conseguito il Dottorato presso l’Università di Edimburgo, è stata ricercatrice e assistente curatrice presso il Haus der Kunst Museum di Monaco di Baviera e il Philadelphia Museum of Art. Attualmente, sta lavorando alla sua prima monografia sul lavoro di Piero Manzoni e Hélio Oiticica che verrà pubblicata da Routledge entro la fine dell’anno.
Teodora Georgievova (Sapienza Università di Roma) Il rapporto tra le donne e la Chiesa paleocristiana a Roma: punti d’interesse e approcci metodologici nel contesto degli studi femministi e di genere
Nel mio contributo, approfondirò l'evoluzione degli approcci alla questione della rappresentazione femminile nella Roma tardoantica, concentrandomi soprattutto sul rapporto tra le donne e la Chiesa paleocristiana e sulle manifestazioni visive correlate. L’intervento si propone di tracciare lo sviluppo degli approcci metodologici e l’emergere di questioni nell’ambito accademico italiano e internazionale dagli anni Ottanta ad oggi, cercando di cogliere tra di questi gli aspetti di convergenza o divergenza. La questione del rapporto tra le donne e la Chiesa paleocristiana è di grande interesse per i ricercatori non solo nel campo della storia dell'arte, ma anche in quelli della storia delle religioni, degli studi culturali, dell'antropologia sociale e della storia. Riconoscendo che gli interrogativi di ricerca posti dagli storici dell'arte sono interconnessi con indagini disciplinari più ampie, la mia analisi utilizzerà una prospettiva interdisciplinare. Questo contributo cerca di verificare un quale misura in cui gli studi femministi e di genere hanno influenzato il percorso delle riflessioni dei ricercatori e le metodologie applicate. Inoltre, sostiene un approccio basato sui dati come strada promettente per la ricerca futura in questo campo.
Teodora Georgievova, è dottoranda in Storia dell’arte medievale presso La Sapienza Università di Roma con un progetto intitolato Immagine romana della donna cristiana dal IV al VII secolo, che mira a scoprire il grado di coinvolgimento delle donne nella rappresentazione della Chiesa cristiana e nei suoi rituali, nonché le motivazioni dietro di questo fenomeno e le comunità femminili coinvolte. Durante i suoi precedenti studi presso il Masaryk University nella Repubblica Ceca, si è concentrata sul cambiamento nella ritrattistica delle imperatrici bizantine tra il IV e il VI secolo in risposta alla trasformazione della percezione delle donne nella società tardoantica. Ha anche esplorato il collegamento tra le corone provenienti da Bisanzio, offerte come doni diplomatici, e il rito dell’incoronazione nei regni stranieri che le hanno ricevute.
Irene Quarantini (Sapienza Università di Roma) Dialettiche dell'isolamento. Per una geografia di artiste e attivismo
A partire dall’analisi della mostra Dialectics of Isolation: an exhibition of Third World Women Artists of the US, che ha avuto luogo presso la A.I.R. Gallery di New York nel 1980, l’intervento vuole mettere in luce la risonanza contemporanea dei temi proposti, fra tutti il riconoscimento - o meglio - l’attestazione di esistenza di artiste non bianche nell’ambiente artistico newyorkese e l’identificazione della lotta femminista con quella del Movimento dei paesi non allineati (The NonAligned Movement - NAM), al tempo in forte ascesa. La mostra, curata da Ana Mendieta, Kazuko Miyamoto e Zarina (Hashmii), fornisce un’importante occasione per riflettere in modo più approfondito sull’influenza che l’esposizione ha esercitato non solo in ambito artistico, ma anche sulla riscrittura delle sorti del movimento femminista americano, facendo delle lotte femministe non solo un potente strumento di creatività artistica, ma sottolineando la necessità di confrontare la cultura dominante con l’esistenza e il valore delle esperienze non bianche dentro e fuori dal mondo dell’arte.
Irene Quarantini è dottoranda in Museologia e Storia dell’arte contemporanea presso La Sapienza Università di Roma, con un progetto che riguarda i nuovi approcci metodologici e museologici avviati con la riorganizzazione di alcuni musei etnografici europei tra cui il Museo delle Civiltà di Roma. I suoi interessi accademici includono i processi globali di decolonizzazione dei musei, le interrelazioni fra arte contemporanea e antropologia, i fenomeni di trasformazione delle grandi mostre internazionali (biennial culture) e il loro impatto a livello globale. Negli anni ha collaborato con vari enti pubblici e privati (Biblioteca Hertziana – Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte, Palazzo delle Esposizioni, Peggy Guggenheim Collection, Galleria Alessandra Bonomo).
20 febbraio 2024 | 9:30 - 13:30
Sessione 3: Il XX secolo: cosa narrare, come narrare
Chair: Maite Méndez Baiges
Laura Iamurri (Università degli Studi di Roma Tre) Cosa narrare, come narrare: ipotesi per una monografia su Cloti Ricciardi
La trasformazione radicale impressa anche agli studi di storia dell’arte dai femminismi e dalle prospettive teoriche e metodologiche che ne sono derivate è ormai un dato acquisito, anche se fatica a filtrare nei testi divulgativi e di base. È stato e continua a essere un lavoro di costante interrogazione degli strumenti disciplinari, e di messa in discussione delle pratiche e delle consuetudini trasmesse nella formazione universitaria. Nel mio intervento intendo ragionare sul senso e sulla possibilità di uno studio monografico prendendo come esempio la vicenda di Cloti Ricciardi, artista e femminista, che alla militanza ha dedicato una parte importante della sua vita e del suo lavoro, forse la più nota, mentre rimangono ampiamente da studiare i lavori pittorici degli anni Sessanta e le sculture realizzate a partire dagli anni Ottanta, in modalità e contesti diversamente problematici.
Laura Iamurri è Professoressa Ordinaria di Storia dell’Arte Contemporanea e componente del collegio dei docenti del Dottorato di Ricerca in “Storia territorio e patrimonio culturale” all’Università Roma Tre. I suoi interessi di ricerca vertono principalmente sulle relazioni tra le opere contemporanee e i discorsi della storia e della critica d’arte. Dal 2006 ha dedicato numerosi studi a Carla Lonzi. Ha inoltre lavorato sul complesso nodo delle relazioni tra artiste, sistema dell'arte e femminismo negli anni Settanta.
Sharon Hecker (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano) Passare il Bastone della Parola [Passing The Talking Stick]: l’Edited Volume come strumento per un approccio femminista alla scrittura accademica
Questa presentazione pone la domanda se può esistere un nuovo approccio alla scrittura accademica che possa essere più inclusivo, dialogico e femminista. Uno di questi modelli, a mio avviso, può essere l’Edited Volume. Ispirandomi alla pratica dei nativi americani di far girare il “Bastone della Parola” [Talking Stick] in un cerchio per democratizzare e creare una comunicazione rispettosa, racconterò lo sviluppo della mia esperienza di lavoro in collaborazione su otto volumi di questo tipo. In base alla mia esperienza, l'Edited volume può diventare più di una semplice raccolta di saggi che descrivono singoli casi di studio relativi a un tema generale condiviso in cui ogni autore tende a rimanere isolato nel suo “baccello” di pensieri. E può anche rifiutare gli schematici volumi di saggi sulle persone considerate “importanti”, come un libro di testo, dove ci sono sempre esclusioni ed inclusioni, che sono troppo spesso legati a meccanismi di potere. Se affrontato consapevolmente, l'Edited volume può essere una forma di scrittura intellettuale che privilegia il pensiero orizzontale piuttosto che quello monolitico e verticale, nonché uno spazio produttivo per la condivisione di idee e la generazione di conversazioni diverse intorno a un'unica questione, che poi può portare ad altre conversazioni e idee future anche al di fuori del volume.
Sharon Hecker (PhD) è storica dell'arte e curatrice specializzata in arte italiana. Autrice di molti libri e saggi su Medardo Rosso, ha scritto anche su Angelo Morbelli, Lucio Fontana, Luciano Fabro, Francesco Lo Savio e Marisa Merz. Tra i suoi libri: Un monumento al momento: Medardo Rosso e le origini della scultura contemporanea, edito da Johan & Levi (2018); con Marin Sullivan, Postwar Italian Art History Today: Untying ‘The Knot’ (2018); con Raffaele Bedarida, Curating Fascism: Exhibitions and Memory.
Elena di Raddo (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano) “E fu un’altra esperienza frustrante”. Artiste dell’astrazione nel “sistema dell’arte” e ripercussioni sulla loro narrazione
Ripensare la storia dell’arte significa anche prendere in considerazione il ruolo che le donne hanno avuto all’interno del "sistema dell’arte", analizzare in che modo il loro apporto alla ricerca artistica si sia potuto manifestare non solo, ovviamente, nelle opere, ma anche attraverso convegni o mostre in gallerie, istituzioni pubbliche e spazi alternativi. Dalle ricostruzioni storiche emerge che ancora oggi è possibile tracciare vie “dimenticate” o “sottovalutate” dell’arte a causa di una lettura tacitamente al maschile. Lo dimostrano le recenti esposizioni internazionali sull’astrazione, che hanno contribuito a far emergere dall’oblio figure dimenticate, ma soprattutto, hanno avviato nuove riflessioni e letture trasversali intorno a tale corrente artistica.
Elena Di Raddo è Professoressa Associata di Storia dell’arte contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e di Brescia. Dirige il Master “Progettare Cultura. Arte e Design”, Almed, Università Cattolica e Politecnico di Milano. Insegna Storia dell'arte contemporanea nei corsi di laurea in Lettere Moderne, Beni Culturali ed Economia e Gestione dei Beni Culturali. È membro del Comitato direttivo del Centro di ricerca sull'astrattismo italiano (CRA.IT). Le sue aree di studio sono principalmente la pittura di fine Ottocento e inizio Novecento, l’arte astratta europea e l’arte italiana/europea degli anni Sessanta e Settanta. È membro del Comitato scientifico di alcuni Musei (Fondazione Museo Boschi-Di Stefano, Museo Diocesano di Brescia, Museo Paolo VI di Concesio). È stata consulente scientifico per diversi musei e ha curato mostre per spazi pubblici e privati. Tra le sue pubblicazioni: Anni ’70: l’arte dell’impegno: I nuovi orizzonti culturali, ideologici e sociali nell’arte italiana (Milano 2009); Anni Settanta. La rivoluzione nei linguaggi dell’arte (Milano 2015); Arte fuori dall’arte. Incontri e scambi fra arti visive e società negli anni Settanta (Milano 2017); Alle origini di una nuova era. Primordialismo e astrattismo negli anni Trenta in Italia (Milano 2020); Astratte. Donne e astrazione in Italia 1930-2000 (Como 2022).
Barbara Drudi (Accademia di Belle Arti L’Aquila) Nuove illuminazioni: Lucia Drudi Demby la scrittura dall’autonomia alla regola e ritorno
Scrittrice e sceneggiatrice, Lucia Drudi Demby (Venezia 1924- Firenze 1995), era mia zia paterna e sorella di Gabriella Drudi a sua volta moglie di Toti Scialoja. Lucia (familiarmente detta Tatina) iniziò la sua parabola letteraria con brevi prose liriche di tema artistico pubblicate a poco più di vent’anni sulle pagine de “L’Immagine” (diretta da Cesare Brandi). Un talento giovanile cristallino, incoraggiato proprio da Brandi ed espresso negli anni Cinquanta su riviste prestigiose come “Botteghe oscure”, “Il Caffè” e “Arti Visive”. Negli anni Sessanta cominciò a lavorare per il cinema e la televisione nonché come traduttrice (sue le versioni italiane de “La mia Africa” e “Erehwon”). Dopo la temporanea separazione dal marito, il romanziere afro-americano William Demby, dall’inizio degli anni Settanta prese a dare maggior spazio alla sua scrittura creativa, frequentando i gruppi femministi: Elena Gianini Belotti, Adele Cambria, l’Associazione La Maddalena. Pur non entrando mai tra le “militanti”, Lucia sentì in quella condivisione femminile una rinnovata consapevolezza e una possibile libertà espressiva che trasferì nella scrittura, acquistando un’originalità linguistica tutta sua. Traccerò in questo mio intervento un suo profilo, evidenziando i mutamenti e la maturazione della sua personalità umana e creativa dall’esordio alla svolta decisamente sensibile verso la “questione femminile”.
Barbara Drudi vive a Roma ed è docente di Storia dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle Arti di L’Aquila. Tra i suoi libri: Toti Scialoja. In una luce chiarissima. (Gli Ori 2023); Gabriella Drudi. Scritti scelti (Gli Ori 2023); Milton Gendel. Uno scatto lungo un secolo”, (Quodlibet, 2017); Arti Visive - La rivista di Ettore Colla 1952-1958 (Gli Ori 2011) e Afro da Roma a New York (Gli Ori 2008).
Sergio Cortesini (Università degli Studi di Pisa) Nuove espressioni, diverse tradizioni: contro-letture femministe e “frocie” nella storia dell’arte negli anni Settanta
Negli anni Settanta, la pratica dell’autocoscienza ha caratterizzato non solo i collettivi femministi ma anche quelli omosessuali. Oltre all’elaborazione teorica e politica, l’esplorazione del proprio corpo e del piacere nell’autocoscienza ha ispirato forme di riappropriazione affettiva dei corpi della storia dell’arte, sovvertendo la linearità dello storicismo e le concatenazioni della filologia. L’interpolazione tra capolavori della storia dell’arte, forme naturali, e immagini di vulve in Per una nuova espressione di Suzanne Santoro (1974-79), o l’interpretazione di Pontormo in chiave gay leather in Madame Pontormo di Corrado Levi (1977) furono radicali atti di denunce del “rimosso” sociale e di storiografie anti- patriarcali. Prendendo spunto dai casi paralleli di Santoro e Levi, proverò a discutere le sfide di una nascente storiografia femminista e omosessuale, esterna al perimetro dell’accademia, includendo le “riscoperte” di artiste storiche promosse dalla Cooperativa Beato Angelico e di una genealogia di artisti nelle riviste omosessuali.
Sergio Cortesini è Professore Associato e insegna Storia dell'Arte Contemporanea all'Università di Pisa. È uno studioso di aspetti politici e ideologici dell'arte, del mercato e della critica d'arte italiana e americana negli anni Trenta del Novecento. Ha svolto ricerche sulla fortuna di Felice Casorati negli Stati Uniti; sul pittore antifascista Peter Blume; e sul muralismo negli anni del New Deal. È autore del libro One day we must: le sfide dell'arte e dell'architettura italiane in America 1933-1941, Milano, Johan & Levi, 2018. Cortesini si intessa anche di storia dell'arte da una prospettiva queer. In questo ambito di studi, ha contribuito con i saggi La fondazione del FUORI e la mobilitazione degli artisti 1971-1974 e William Seabrook and Man Ray. Visualizing Sadomasochistic Intersubjectivity, entrambi sulla rivista “Whatever”. Ha, inoltre, organizzato il convegno internazionale On Other Shores: Queer Counter-narratives in Southern Europe and Mediterranean Art History 1800-2000 (Pisa, dicembre 2022).
Annarosa Buttarelli (Filosofa, Direttrice scientifica della Fondazione Scuola Alta Formazione Donne di Governo) Note di un metodo. Tra María Zambrano e Carla Lonzi
Il mio intervento si basa sulle scelte, le metodologie e i sistemi di alleanze tra filosofe di cui ho analizzato il pensiero all’interno di alcuni saggi, in particolare Sovrane. L’autorità femminile al governo. Un esempio è costituito da Diotima e da come il suo approccio si rapporta al pensiero più noto di Platone e Socrate. Come è possibile costruire un'altra narrazione anche per quello che riguarda il pensiero? Sembra a volte che si possa solo essere "contro", negare o costruire una contro storia, ma l'analisi del pensiero delle donne si riconosce e dà la possibilità di mostrare altri punti di vista. Annarosa Buttarelli filosofa, saggista e formatrice, attualmente è docente presso le Alte Scuole post-lauream dell’Università Cattolica di Milano. È Direttrice scientifica della Fondazione Scuola Alta Formazione Donne di Governo. È Responsabile Scientifica del Fondo Carla Lonzi presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. È consulente fissa della Commissione Parlamentare sui Femminicidi. Tra i suoi libri: Sovrane. L'autorità femminile al governo (il Saggiatore). Recentemente è uscita la monografia Bene e male sottosopra. La rivoluzione delle filosofe (Tlon, 2023). Nei primi mesi del 2024 uscirà Carla Lonzi, Feltrinelli, Collana "Eredi".
Giorgio Fichera (École des hautes études en sciences sociales, Paris) La Contadina che si spulcia di Piazzetta. Un contributo figurativo all’epistemologia della sessualità
Attraverso l’analisi plastica e iconografica della Contadina che si spulcia, dipinto di Piazzetta conservato al Museum of Fine Arts di Boston che si presenta come un concentrato di temi figurativi cinque-seicenteschi, questo intervento propone un contributo alla storia dell’epistemologia delle sessualità e di genere. L’opera, eseguita intorno al 1720, rende visibile quel cambiamento epistemico che vuole la donna come unico oggetto rappresentabile del desiderio. Alla scomparsa di un’iconografia che alludeva al possibile rapporto sessuale anche tra uomini, il dipinto, pur conservandone una traccia, contrappone l’espressione figurativa di quelle binarità (uomo-donna; eterossessuale-omosessuale) analizzate da Eve Kosofsky Sedgwick. Questo cambiamento iconologico e epistemico assume nel Settecento valore (d’apparenza) sociale, affermandosi definitivamente come dominante durante i due secoli successivi.
Giorgio Fichera ha conseguito il Dottorato di Ricerca presso il Centre d’histoire et théorie des arts dell’Écoles des hautes études en sciences sociales di Parigi di cui è membro associato occupandosi di questioni queer. Tra il 2014 e il 2015 partecipa al progetto di ricerca Les gestes amoureux finziato dal LabEx CAP (Laboratorio d’Eccellenza Creazione-Arti-Patrimonio). Ha insegnato a contratto Storia dell’arte moderna presso l’Università Paris 1 Panthéon-Sorbone e l’Univesité de Lille. Attualmente è chargé de cours di Storia dell’arte all’Université Catholique de l’Ouest di Angers. Le sue ricerche sul visivo incrociano storia e teoria delle arti e teoria critica.
Mattia Cucurullo (École des hautes études en sciences sociales, Paris) Il Salvatore, la madre e la (Ma)donna. Ri-leggere la figuratività cristiana nell’opera di Salvador Dalí sulla scia del pensiero femminista.
Ricorrente nella produzione di Dalí, la figura della Madonna si incarna in una moltitudine di iconografie che riflettono, in maniera quasi programmatica, le ossessioni personali e gli stilemi surrealisti dell’artista. Tuttavia, prendendo in contropiede l’apparato psicoanalitico sfruttato da Dalí per la costruzione – autoreferenziale e idiosincratica – della propria estetica, possiamo rileggere l’eredità figurativa cristiana che, esacerbata nel suo immaginario, affronta il tema della rappresentazione del materno, del femminile e, infine, della donna. L’iconologia analitica di Hubert Damisch ci consente di esplorare la sua opera alla luce del concetto freudiano di figurabilità, rivelando il potere del dispositivo cristiano delle immagini di evocare e ri-presentare scenari antichi, relativi alla preistoria dell’individualità. La Madonna di Port Lligat (1950) – al di là dell’associazione di Gala con Maria e di Dalí con Gesù, il Salvatore – offre un caso di studio grazie all’abbondanza di riferimenti metapittorici. Luisa Accati, nelle sue ricerche storiche e antropologiche, si è lungamente soffermata sul culto di quest’ultima figura nella cultura cristiana, in particolare nell’area cattolica del mediterraneo, verificando come la condizione di dipendenza femminile prescritta dai ruoli tradizionali si confronta con la tirannia di un figlio che rivendica il possesso del corpo della madre. Tali riferimenti teorici ci offrono una chiave di lettura per intendere l’opera di Dalí come un ritorno e, soprattutto, un’appropriazione del ventre materno.
Mattia Cucurullo è dottorando presso L’École des hautes études en sciences sociales con la tesi “La représentation de la Madone à travers les écrits de Freud, Kristeva et Damisch. Une étude de la culture visuelle entre sémiotique, iconologie et psychanalyse” sotto la guida di Giovanni Careri. Ha studiato presso l’università Sapienza (2014-2019), frequentando il corso di laurea triennale in Studi Storico-artistici, discutendo la tesi “Georges Bataille. Scritti sull’arte” con Marco Ruffini. La laurea magistrale in Storia dell’arte si conclude con la tesi “Corpi pensanti e linguaggi pulsionali. Figurazioni della differenza nella teoria francese e in Alina Szapocznikow” discussa con Elisa Coletta e Marco Ruffini. Nel 2020 vince la borsa della Scuola di Specializzazione in Beni Storico-artistici della Sapienza, discutendo la tesi “(Ri)tessere le narrazioni della via e del museo. Un’opera di Maria Lai nella collezione del MAXXI” discussa con Carla Subrizi e Sofia Bilotta.